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Alpinismo in festa / I 90 anni di Kurt Diemberger

Nel confortevole nido d’aquila di Monte San Pietro, tra le belle ville immerse nella boscaglia di questo verde sobborgo di Bologna dove da tempo risiede con la moglie Teresa e il figlio Igor, Kurt Diemberger ha scalato una nuova vetta di questa sua vita avventurosa. Il 16 marzo il grande alpinista austriaco ha compiuto novant’anni, un traguardo straordinario per un uomo che non ha mai esitato a mettere in gioco la vita per coronare i suoi sogni raccontandosi in libri e film premiatissimi. Fino a tarda età Kurt ha infatti scalato e compiuto spedizioni nel deserto ed ai poli.

Nato a Villach, in Austria, il 16 marzo 1932, vincitore nel 2013 del Piolet d’Or alla carriera, massima onorificenza internazionale nel mondo della montagna, dal 1997 Diemberger è socio onorario del Club Alpino Italiano. Lucia, figlia di sua nipote Jana, lo rese dieci anni fa bisnonno felice. Alla sua figliolanza nata dalle precedenti nozze con Maria Antonia Sironi da buon patriarca Kurt dedicò uno dei suoi tanti libri, ”Danzare sulla corda” (Corbaccio, 2009) pubblicato in Italia dopo l’edizione tedesca uscita per i tipi di Piper Verlag GmbH di Monaco. Sul frontespizio appaiono i nomi dei figli Hildegard, Karen, Igor, Georg e delle nipoti Jana, Yantse.

Nell’alpinismo himalayano Diemberger ha lasciato un’impronta indelebile con i due ottomila saliti in prima assoluta, unico alpinista vivente al mondo.

E non ha mai smesso di danzare acrobaticamente sulla corda, Kurt, con la sua garbata anarchia. Tutti riconoscono le sue funamboliche capacità di uscire indenne da situazioni critiche. Qualche maldicenza si è accompagnata nel ’57 alla scalata al Broad Peak con i connazionali Marcus Smuck (capospedizione), Fritz Wintersteller ed Hermann Buhl che perse la vita durante la ritirata dal Chogolisa insieme con Kurt. Per anni i compagni di cordata hanno insinuato che Kurt aveva sottratto il diario di Buhl con uno scopo: cancellare prove a suo carico. Poi i giapponesi hanno ritrovato anche un secondo diario e le maldicenze si sono squagliate come neve al sole. 

“In realtà”, racconta Diemberger, “avevo appena venticinque anni e dai diari risulta che Buhl si preoccupava di me come potrebbe fare un padre, stigmatizzando qualche mio difetto…”. Kurt ricambiò la simpatia che il grande Buhl gli riservava con un gesto cavalleresco: aiutandolo a salire sulla vetta del Broad Peak da cui Kurt stesso era appena disceso dopo averla conquistata con Smuck e Wintersteller.

Nato il 16 marzo 1932 a Villach, in Carinzia, Kurt Diemberger studiò economia e commercio a Vienna prima di diventare guida alpina. Pioniere nell’uso della cinepresa ad alta quota, è autore di libri e lungometraggi, premiato nel 1962 al Filmfestival di Trento per “La Grande cresta di Peuterey”. Nel 1989, sempre a Trento, vinse la Genziana d’Oro con il film “K2 Sogno e destino”. Nella foto Kurt nella sua veste di appassionato cercatore di cristalli (ph. Serafin/MountCity)

S’infiamma Kurt rievocando episodi inediti della sua vita di funambolo. Come quando faceva la guida alpina, e al rifugio Gouter sul Monte Bianco si accorse che il suo cliente era in preda alla disperazione perché gli era caduto il portafoglio nel pozzo nero. Nessun problema. Kurt non esitò a calarsi a testa in giù tra i reflui munito di indispensabili pinze da caminetto e fu così che il cliente riebbe il portafoglio. 

Nella citata autobiografia, Kurt racconta anche la volta in cui non gli riuscì di filmare una stupenda e irripetibile alba nell’aria sottile degli ottomila semplicemente perché sul più bello la cinepresa fece i capricci. O la volta che al Colle Sud la cinepresa rimasta sepolta nella neve venne scongelata su un fornello a gas facendola rosolare con cautela come un maialino allo spiedo. O ancora, quando rimasto solo nel bosco gli fu di conforto il tenue baluginare delle lucciole imprigionate nel suo pugno. Excelsior Kurt! (Ser)

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