Letture / La ventata di “marin” che sconvolse le Alpi
La ventata di marin, vento che soffia sulle Alpi Marittime, viene preannunciata da una sottile linea grigia. Si apre così, con questa visione che fa pensare a un’allarmante metafora, “Assalto alle Alpi”, il nuovo libro di Marco Albino Ferrari pubblicato da Einaudi (130 pagine, 12 euro il prezzo di copertina). Considerato l’argomento e la notorietà dell’autore, scontato era l’interesse per la presentazione in maggio al Trento Film Festival. Tornando al marin, si apprende che, sospinto dalle brezze del mare verso le Alpi, questo vento fa di colpo sparire ogni cosa in una nebbia densissima. L’effetto dura per tre giorni. Poi, puntuale dal cielo scende o meglio un tempo scendeva la neve. Non una neve qualsiasi, bensì quella buona neve tanto cara a Rolly Marchi, quella bianca visitatrice che per i contadini e i valligiani è stata e forse lo è ancora una promessa di buoni raccolti.
Oggi non è più così e questo non è l’inizio di una favola. Con una calcolatissima virata la storia diventa cronaca, la scrittura si fa incisiva, il dramma cova in un ambiente che si fa tenebroso. Rieccolo il marin, trasformato in benefica nevicata che poi tanto benefica non è. Secondo l’autore segna infatti nel dopoguerra l’inizio di un’avventura industriale senza precedenti che tutti ritengono ingenuamente provvidenziale, cioè la diffusione dello sci di massa. Una pratica unica e incomparabile ma anche un disastro che costituisce il fulcro di quell’assalto alle Alpi a cui si riferisce il titolo del libro.
A questo punto Ferrari mette ulteriormente a frutto la sua abilità nel cambiare registro per offrirci un’immagine a 360 gradi dell’odierna situazione delle Alpi. Montagne che, per farla breve, egli ritiene seriamente, irrimediabilmente minacciate da modelli di sviluppo del passato e oggi inammissibili.
Certo, il quadro oggi si presenta fosco proprio come quando si approssima il marin, quello cattivo. Ma alla luce della sua esperienza di giornalista e scrittore che ne fa una delle voci più autorevoli della cultura di montagna, Marco Albino Ferrari sa come condurre il lettore nel mondo in continua evoluzione delle Terre Alte. Impressionando, coinvolgendo il lettore senza dargli tregua fino all’ultima pagina.
Secondo Ferrari esiste un pericolo reale per il futuro delle Alpi. Il pericolo che tutto rimanga come adesso. E che si continui a immaginare lo stesso sviluppo di oggi con nuovi impianti di sci ignorando o fingendo di ignorare la tirannia del climate change. Su questi aspetti medita Ferrari sull’aereo in cui vola (altra metafora, sembrerebbe). Dall’alto gli appaiono le rovine lasciate dall’oro bianco dopo il declino degli anni ottanta, simili a frammenti di vetro che si lasciano calpestare. Ma sono dettagli inconsistenti al confronto con le avventure fallimentari con le quali ci si ostina in questo millennio a puntare grosse partite di denaro pubblico.
Già, sembra incredibile che su certe stazioni sciistiche si continui a investire. Come è il caso di Viola StGrée in Piemonte, più volte citata nel libro. E’ proprio vero, annota Ferrari: a dispetto dei nuovi impianti sciisticii il marin continua a non essere più foriero di neve. Dunque è un vento che fa solo danni. Ma nel nostro prossimo futuro c’è un’altra minaccia che pende sulle Alpi, il continuare ad attingere a vecchi stereotipi idealizzanti che riducono la montagna a luogo salvifico di pura “bellezza”, ovvero a parco divertimenti per il turista in fuga dalle città.
Dell’assalto alle Alpi, l’autore elenca alcuni fattori scatenanti: la progressiva assenza umana, l’inesorabile processo di rinaturalizzazione, l’abbandono di intere vallate e interi villaggi. Fu un sogno, ai tempo cui la società sembrò liberata dall’indigenza, l’acquisto della seconda casa. Ma fu un vero disastro. Ora nelle località di villeggiatura i “letti freddi”, così sono chiamati in gergo tecnico-surrale, si scaldano due, tre, massimo quattro settimane ogni anno per poi ripiombare nel gelo della solitudine.
A Foppolo, un tempo “perla” delle Orobie, si registra un record sconvolgente: ogni cento abitazioni, solo sei sono occupate da residenti reali. Le altre novantaquattro risultano case fantasma. Siamo nella punta massima di un fenomeno che di fatto ritroviamo diffuso un po’ ovunque sulle Alpi, con l’eccezione della Provincia di Bolzano che ha saputo adottare altre politiche di accoglienza.
Ma mai disperare. Si apprende dal libro di Ferrari che il riutilizzo delle seconde case può innescare “un processo virtuoso di rigenerazione territoriale”. Nuove forme di destagionalizzazione si annunciano. Architetti e imprese specializzate stanno lavorando per rendere appetibili quelle case ormai dismesse o sottoutilizzate. Le case fantasma, come le chiama Ferrari. Ed ecco che, dulcis in fundo, fa capolino nel libro la soluzione che molti si aspettano. Pensandoci bene, l’economia in montagna non è in crisi. Perfino l’escursionismo è in forte ascesa e i rifugi tendono ad allungare la stagione estiva. Risorse e buone pratiche non mancano. Non sarà il caso, per dare un futuro alle Alpi, di cominciare a guardare queste nostre montagne con uno sguardo nuovo, consapevole, rispettoso come suggerisce Marco Albino Ferrari? (Ser)
Ho letto il libro e ne consiglio assolutamente la lettura a tutti coloro che amano la montagna
perché descrive alla perfezione la sua attuale situazione, desolante grazie all’ottusità dei governanti passati e presenti, oltre a mettere in risalto delle vie d’uscita per migliorarla.
E mi chiedo cosa ci sta a fare il Cai con la sua Tam, tutela ambiente montano, che non esprime quasi mai
un parere negativo sulle scelte sbagliate di sindaci e governatori.