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Letture / Vi racconto il mio amico Alberto Re

“Saliremo sugli altipiani,

dove vola la rondine dell’alba

che bagna nelle fonti le ali d’oro

ed intesse il nido sulle case immense dei monti.

Saliremo oltre i cembri, oltre i pini,

dove si è soli sotto il cielo nudo,

soli – se gridi nel silenzio il vento 

il nostro nome detto da Dio

e sia l’ora di andare”

(Antonia Pozzi)

“Guida alpina, il mestiere più bello del mondo!

Qualcuno lo dice, per me lo è”

(Alberto Re)

Appena prima delle feste di Natale, Alberto Re mi chiama per comunicarmi che “era nato” il libro che da tempo desiderava scrivere. Ne avevo già letto la prima recensione di Serafin su Mountcity. Chiamo alcuni amici di Alpiteam e decidiamo di andarlo a trovare nella sua Sauze d’Oulx. Volevamo la sua firma “inchiodata” sulla copertina del suo libro “Orizzonte montagne”. Una vita da guida alpina”, edizioni Priuli&Verlucca.

“Un libro semplice
 e accattivante. 
Da leggere!”

Ho appena terminato di leggere le sue cinquecento pagine. Il primo libro di Alberto scritto nell’arco di quattro anni, testi pescati dai suoi diari e da un cuore pulsante di esistenza vissuta. Da leggere! Bello, semplice e accattivante nel suo svolgersi in un fitto dialogo tra i tantissimi e vividi ricordi, nomi, amicizie, scelte di vita, incontri, viaggi per il mondo, montagne salite e apertura di vie nuove. Il libro non è il classico récit d’ascension in cui l’alpinista che si racconta appare nel suo travestimento e nella ricerca spasmodica del senso, della giustificazione, dello sforzo di trovare e di elaborare a tutti i costi un valore dell’impresa alpinistica. 

Il libro di Alberto, come in una seduta analitica, avviene attraverso un lavoro della memoria, dove l’alpinismo, come scelta di vita, è domanda, spinta inesauribile, continuo passaggio e sollecitazione rivolta all’altro. Un libro in cui la montagna fa irruzione nell’autore esibendosi provocatoriamente a lui imprigionandolo a lei. “Incantamento e incatenamento” (A. Bocchiola). Un alpinismo che inventa la montagna come spazio e luogo estremo, ossia frequentabile ma esposto; un alpinismo che salda l’esibizione della montagna allo sguardo dell’alpinista: orizzonte montagne. 

“Salire per 52 volte 
la est e ritrovarla 
sempre affascinante”

Per Alberto l’alpinismo non è una passeggiata! Diviene un percorso di emancipazione, anche dalla montagna stessa, rinnovando continuamente la propria passione in un ripetitivo “ancora e ancora”. Salire per ben 52 volte la est del Monviso e ritrovarla sempre affascinante, non è un atto d’amore? In tal caso “l’intenzionalità non è una proprietà della coscienza, ma una caratteristica dell’essere-nel-mondo” (C. Sini)

Una vita da guida alpina. Nelle pagine iniziali del libro, Aberto descrive bene la nascita di un desiderio, di una spinta verso “l’oltre” nel tentativo di vedere l’invisibile. Uno sguardo che rimbalza dentro di sé. Egli scrive: ”Da ragazzo sentivo una forte attrazione per gli orizzonti geografici, reali e dell’immaginazione. Mi affascinavano. Cresciuto in campagna, cercavo di salire sugli alberi più alti e sui cocuzzoli circostanti la nostra borgata per allungare lo sguardo verso spazi lontani, esplorare quel che da casa non vedevo. Lo sguardo verso la pianura andava dalla collina torinese alle Alpi Marittime, ma, in direzione opposta, la dorsale alpina impediva di vedere oltre il profilo delle creste. Le montagne nascondono il vero orizzonte”. 

L’infinito lo chiama, il suo desiderio sollecita la curiosità, le montagne sono la sua vocazione, Alberto si avvia verso una nuova nascita. E poi continua: ”Ho sentito nel corso degli anni crescere sempre più intenso il desiderio di raggiungere quelle montagne, salire le vette più alte per vedere al di là e appagare la mia curiosità. Scoprire cosa e chi c’era dietro quelle quinte, dietro valli rivestite di foreste, dietro pareti rocciose e ghiacciai. Un desiderio insaziabile che ha accompagnato la mia crescita alpinistica, amatoriale prima e professionale poi, come guida alpina,

coinvolgendo tutti gli appassionati che si sono affidati alla mia corda”.

Sottobraccio con don Luigi Ciotti. In apertura Alberto Re con alcuni dei “suoi” ragazzi durante la scalata al Monviso. (ph. Serafin/MountCity)
“Scelte di vita affettive 
e professionali precise, 
a volte sofferte”

Il desiderio di Alberto lo porta a scelte di vita affettive e professionali precise, a volte sofferte; l’esperienza del suo desiderio è un’esperienza che strutturalmente costeggia il rischio dello smarrimento, della perdita, del non ritrovarsi più, come su una grande montagna dalle pareti immani e creste infinite la cui cima sfiora “l’inutilità”. Quel desiderio che Alberto ha voluto inseguire e vivere pienamente come esperienza sua propria, come incontro con la sua intimità più radicale che parla, ogni volta che appare, e dice qualcosa del suo essere più profondo. E al tempo stesso è una forza che non governa, che lo oltrepassa, una trascendenza, una continua ricerca di quegli orizzonti che sono oltre le montagne, oltre  se stesso. Orizzonte che abita in lui ed è oltre di lui. 

Alberto è stato attraversato dal suo desiderio e il libro che ha scritto ne è la più diretta testimonianza. Nelle pagine desideranti di farsi leggere emerge con forza l’esistenza di un uomo che vuole vivere la vita, che ha sete di vita e che prende la forma dell’appello dell’altro, dell’invocazione dell’altro, come fosse una preghiera: la vita umana è vita che si rivolge all’altro. E l’altro ha il volto dell’amico, del cliente, dell’appassionato, del collega, di tutti coloro a cui Alberto si è rivolto, di tutti coloro che si sono rivolti a lui. Come istruttore della Gervasutti, come accademico e come guida e tecnico del Soccorso alpino. Come Presidente Nazionale delle Guide Alpine.

Alberto Re, persona e alpinista, è parte fondante di quell’angolo della storia dell’alpinismo piemontese che, attraverso il Nuovo Mattino, ha legato il proprio nome e la propria corda a Gian Piero Motti, Ugo Manera, Giancarlo Grassi, Guido Rossa, Guido Machetto, Giorgio Bertone, Franco Garda, Pino Dionisi e agli istruttori della “Gervasutti” e a tanti altri.

“Un viaggio 
per guardare fuori 
e dentro di sé”

Alberto Re, il cui curriculum alpinistico attraversa le grandi classiche dell’arco alpino, su roccia e ghiaccio, anche in inverno, per poi inoltrarsi in spedizioni extraeuropee con prime salite e ripetizioni significative fino ad organizzare nella primavera del 1985 una spedizione internazionale al Gasherbrum II, 8035 m, rivive con le pagine del suo libro il racconto del suo desiderio: diventare guida alpina. Quel desiderio che lo ha spinto a salire le montagne del mondo per scoprire, con uno sguardo leopardiano, come ricorda il past-president Vincenzo Torti nella presentazione, la curiosità per l’altro che lo ha portato alla conoscenza di sé conoscendo volti, storie, culture, montagne e “gli interminati spazi di là da quella” come si esprime il poeta. Quel guardare oltre, come scrive Alberto, gli permette di orientarsi su questa “straordinaria sfera” che continua a girare regalando meravigliosi panorami. E, aggiunge, gli permette di incontrare e scoprire uomini e donne di culture diverse e poter scambiare con loro un sorriso, una parola, un gesto di amicizia. Un viaggio per guardare fuori e dentro di sé. Per Alberto Re, essere guida alpina, è soprattutto questo e le montagne ne sono lo strumento essenziale. Le montagne come “setting terapeutico” come spazio e luogo in cui vivere il proprio desiderio e nella misura in cui esso ci attraversa, dilata l’orizzonte della nostra vita.

Per Alberto essere guida alpina è condivisione e testimonianza di una passione. Una passione che ho potuto condividere con lui nei molti anni che ha collaborato con Alpiteam. Nel libro, nascosto tra le righe dello svolgersi del suo racconto, emerge un breve capitolo riguardante l’incontro con Alpiteam. 

Ho conosciuto Alberto nel 2002 a Cervinia in occasione del Cervino Film Festival. Ero il vicedirettore del corso di alpinismo organizzato per la comunità terapeutica “Arca” di Como che opera nell’ambito delle dipendenze patologiche. Lo abbiamo conosciuto grazie ad Antonio Carrel,

anch’egli rimasto nel nostro cuore. Alberto ci accompagnò sul Breithorn.

Alberto Re (a sin.) con Beppe Guzzeloni, istruttore di alpinismo e autore di questa recensione.
“Una vita vissuta 
in montagna 
e per la montagna”

Da quella salita, da quell’anno, Alberto ci ha seguiti organizzando salite sulle alpi occidentali. Dal rifugio Giacoletti, al Granero, dal Campo Base, al Remondino, al Bourcet e alla Sbarua, allo Jervis, allo Scarfiotti, al rifugio Lago Verde egli si è legato alle nostre corde facendoci conoscere posti nuovi, salendo nuove cime, donandoci tanto entusiasmo. Un entusiasmo nato da più di cinquant’anni di vita vissuta in montagna e per la montagna. Alberto è stato un vero istruttore, un “insegnante” che ha lasciato il segno (in-signum), portatore e trasmettitore non solo di esperienze appassionanti, ma di simboli, di chiavi ermeneutiche per interpretare la realtà e la vita. Un esempio di autentica “montagnaterapia” che ha indicato un orizzonte e stimolato una funzione generativa. Senza retorica, senza parole vane, senza azioni eclatanti. I ragazzi della Comunità, ma anche gli istruttori di Alpiteam, hanno trovato in Alberto Re soprattutto una persona, oltre che ad un alpinista, che ha saputo indicare loro un esodo introducendo al rischio della libertà connessa alla vita.

Alberto, per me, è stato ed è, una pietra miliare, una pietra su cui è stato possibile camminare e crescere umanamente. Le montagne, mi diceva una sera mentre sedevamo fuori dal rifugio Granero, ci amano e la nostra vita per loro è preziosa. Ognuno di noi la riceve, ognuno di noi deve donarla. Le montagne ci donano la loro vita, noi dobbiamo esprimere con tutto il cuore la nostra gratitudine. 

Beppe Guzzeloni

Con il collega guida alpina Cesare Maestri, celebre “ragno delle Dolomiti” (ph. Serafin/MountCity)

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