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Caso Jj4 / La complessa ricerca della verità 

Sul “Caso Jj4” si sono espressi di recente degli ordinari tuttologi (Severgnini, Lucarelli, Colò, Gassman, Serra) e quelli della montagna (Messner, Cognetti, Salsa, Corona). In questo sito “tra zero e ottomila” sono stati poi ripresi da varie fonti alcuni aggiornamenti sul destino dell’orsa che per difendere i cuccioli si accanì con il runner fino a ucciderlo e ora potrebbe essere abbattuta. Un utile contributo alla ricerca della verità sui provvedimenti da adottare può venire dalla lettura di un importante contributo dell’esperto Mauro Fattor, docente al Master Fauna e Human Dimension dell’Università dell’Insubria, collaboratore di National Geographic Italia, appartenente all’Associazione Teriologica Italiana e giornalista professionista dal 1990 (ex caporedattore dell’Alto Adige).“Uno spirito libero e profondo”, lo definisce Luigi Casanova, illustre ambientalista, nel segnalarne in modo positivo lo scritto che pubblichiamo nella speranza che possa “aiutare tutti noi a riflettere, anche chi viene citato in modo critico”. Non c’è da stupirsi in ogni modo se l’esperto Fattor (che ringraziamo di cuore) a conclusione del suo scritto riconosce che “qualche volta, quando le cose sono complesse, bisognerebbe prendersi il lusso di non avere opinioni: sarebbe molto più onesto intellettualmente”. (Ser)
Mauro Fattor (dal sito dell’Associazione Teriologica Italiana). 

Gestire animali selvatici è un lavoro, una professione. Servono competenze complesse, un approccio interdisciplinare. In questo mondo storto, invece, se Luigi Boitani vuole scrivere un libro sui lupi la casa editrice è capace di imporgli una prefazione di Licia Colò. Dunque è facile capire cosa sia accaduto, e ancora stia accadendo, dopo la tragica morte di Andrea Papi e la cattura dell’orsa JJ4. Sintetizzando: la tempesta perfetta degli opinionisti da bar. Che hanno dilagato complice il mutismo dei tecnici, quelli trentini soprattutto, a cui la giunta provinciale da quasi 15 anni ha imposto la regola del silenzio o, più propriamente, ha messo la mordacchia.

Nessun tecnico che lavori per la pubblica amministrazione è autorizzato a parlare di orsi e della loro gestione. L’argomento è tabù e deve restare appannaggio della politica. Così era con Dellai, così è stato con Rossi e così è con Fugatti che, semmai, adottando una prospettiva falsamente securitaria, ha solo perfezionato certi meccanismi di esclusione. Un ridicolo paradosso. Unica eccezione in questo panorama è quella di Filippo Zibordi, teriologo trentino di valore, libero professionista e quindi libero e basta, costretto a saltare da un’intervista all’altra per cercare di riportare al principio di realtà una discussione spesso, questa sì, fuori controllo.

Per il resto è la sagra dei tuttologi a gettone, che si dividono in tre categorie. Parafrasando Jannacci: quelli che “io ho visto gli orsi in Alaska dunque io so, oh yeh”; quelli che “io vivo in montagna dunque vi spiego, oh yeh” e poi ci sono i casi umani. Di questi ultimi però è meglio non occuparsi.

Prendiamo i primi. L’elenco è sterminato. Tra i più noti, a parte l’immarcescibile Licia Colò, ci sono Selvaggia Lucarelli, Beppe Severgnini, Aldo Cazzullo, Ornella Muti, Alessandro Gassman. Tra i secondi invece vanno iscritti d’ufficio Reinhold Messner, Mauro Corona, Paolo Cognetti, Annibale Salsa. Buoni per tutte le stagioni. Sui primi, in fondo, non occorre spendere molte parole. Si scende surfando sul piano inclinato della notorietà unita all’incompetenza più assoluta e, va da sé, i risultati non possono che essere conseguenti.

I secondi invece sono decisamente più perniciosi, per via di quella certa allure di intellettuali “montanari”. Sono i cantori di una montagna perennemente sulla difensiva, marginale, incompresa e abbandonata a se stessa e del montanaro come baluardo. 

Dietro c’è l’idea di una guerra non dichiarata tra montagna e città, tra urbano e rurale. C’è l’idea della trincea e dell’eroismo di chi resiste, più volte evocati, soprattutto da Salsa. Molto ci sarebbe da dire su questa visione. Davvero la montagna è solo questo? O non è questo piuttosto il modo, del tutto stereotipato, ottocentesco, di guardare ad una realtà che è molto più di questo vittimismo, di questo cupio dissolvi che non rende onore a chi in montagna vive, lavora, produce idee, cultura, economia. E che, soprattutto, è “montanaro” anche se non fa il pastore? 

Questo a partire da due semplici considerazioni. La prima: che la montagna non è una. Che comparare Trentino, Alto Adige, Val Grana, Appennino marchigiano o abruzzese mettendo tutto nello stesso minestrone è una colossale sciocchezza. La seconda: che tutti noi conosciamo imbecilli di fondovalle e imbecilli di montagna, e il contrario. Che le buone idee qualche volta nascono in alto e scendono in basso e che altre volte nascono in basso e arrivano in alto. Idee che fanno l’interesse di tutti. Ma se proprio vogliamo restare nella metafora della trincea, chi fa la guerra per mestiere dice che per ogni uomo in trincea ce ne devono essere tre che lavorano nelle retrovie, per garantire al disgraziato col fucile di restare là dov’è. Questo è più o meno quello che accade oggi a chi oggi fa agricoltura e pastorizia in montagna, con la società che riconosce il suo sforzo e che lo sostiene, anche finanziariamente. È un eroe? Non lo so, ognuno può giudicare da sé.

Aperta parentesi. Mi tocca fare una digressione personale. Vivo e lavoro in un paesino di 27 abitanti di un Comune che ne ha 228. Il bar è chiuso sei mesi all’anno e per farmi una birra il venerdì sera devo farmi dieci chilometri, per fare una spesa decente 25. Qui nessuno si sente un eroe, proprio per niente. Se proprio devo pensare a un eroe mi viene in mente qualcuno che tutti i giorni si alza per andare a insegnare in una scuola di Scampia o chi, in una qualunque delle nostre orrende periferie urbane, vive in 50 metri quadrati con quattro figli e un solo stipendio. Penso che in montagna si viva bene e che sia un privilegio. E credo che tanti trentini che vivono in montagna siano d’accordo con me. Chiusa parentesi.

Cosa c’entra questo con JJ4? C’entra. Perché questo modo estremo e stantio di concepire la montagna e chi la abita, il mondo dei Salsa, dei Messner e dei Cognetti, finisce per incrociare quello degli incompetenti famosi della categoria uno. Quanto accaduto in Trentino con la morte di Andrea viene compresso, ridotto, banalizzato, dentro la logica binaria del “o noi o loro”. O l’uomo o l’orso, con l’unica opzione di poter scegliere se una sponda o l’altra. Tertium non datur, nessuna ipotesi terza. Salsa demonizza l’ideologia “cittadina” della natura incontaminata e il delirio animalista ma non si accorge di essere la prima vittima di un pregiudizio uguale e contrario: la mitizzazione astratta del “montanaro”, ponendolo per contrasto sullo stesso piano.

Eppure, evitare questa trappola era semplice. Bastava fare un passo indietro e dire: “Scusate, ma perché chiedete a me del Life Ursus, di Andrea Papi e di JJ4? Io sono un antropologo – oppure sono uno scrittore o sono un alpinista – e di grandi predatori non so nulla e ne capisco ancor meno, anche se abito in montagna. Chiedete a chi lo fa di mestiere, all’Ispra, ai teriologi, a chi vi pare, ma sentite qualcuno che parli con qualche cognizione di causa. Ripartiamo da lì. Oltre l’emozione. Oltre la demagogia”. Semplice ma impossibile. Evidentemente. 

Cognetti, che stigmatizza l’errore fatto a monte con l’avvio del progetto Life Ursus senza in realtà saperne nulla, dice che Messner è d’accordo con lui e che lui di Messner si fida. Beata innocenza. Reinhold Messner: l’uomo che è riuscito a dire che Luis Durnwalder era l’erede di Alex Langer. Della serie anche i grandi alpinisti possono dire grandi fesserie, in politica e non solo.

Qualche volta, insomma, quando le cose sono complesse, bisognerebbe prendersi il lusso di non avere opinioni. Sarebbe molto più onesto intellettualmente. Alla fine, infatti, dal polverone sollevato da tutto questo turbinio di scalcagnati opinionisti quello che resta davvero fuori dal dibattito, ucciso dalle fazioni contrapposte, è un ragionamento più complessivo sulla nostra responsabilità in tempi di crisi della biodiversità. Responsabilità sociale e responsabilità ambientale. Su come farsi carico di entrambe. A ben guardare, è questa la grande sfida lanciata da Life Ursus tanti anni fa, una sfida che resta attualissima. Ed è da lì che bisogna ripartire.

Mauro Fattor

da Il Dolomiti

Trento, 19 aprile 2023 

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