I pastori trentini? Dei veri artisti
Lasciate dai pastori sulle pareti rocciose del monte Cornón che nel Trentino sovrasta gli abitati di Tesero, Panchià, Ziano e Predazzo, una serie di testimonianze pittoriche, realizzate con pennelli rudimentali e ocra rossa, sono oggetto di studio da parte del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina. Se n’era parlato in MountCity. Ecco un aggiornamento del Museo che in proposito ha dato alle stampe un documentato volume.
La ricerca compiuta dall’istituzione museale di San Michele sulla roccia del Monte Cornón viene ora sintetizzata nel volume “Sguardi sulle scritte dei pastori” presentata al Museo etnografico trentino San Michele. La curatrice della ricerca e del volume (edito nelle Collane del Museo) è Marta Bazzanella, funzionaria conservatrice. In più di cinque secoli sugli spalti rocciosi della montagna della Val di Fiemme sono stati lasciati quasi messaggi dai pastori che pascolavano pecore e capre affidate loro dai contadini del fondovalle.
Tutti i segni/scritte che i pastori hanno lasciato sono arrivati fino a noi perché i custodi delle greggi li hanno dipinti usando dell’ocra rossa reperibile sulla stessa montagna – il ból o ból de bèssa, di pecora -, chiamato così perché in passato serviva a contrassegnare le pecore. Per fissare il colore sulla roccia, i pastori si avvalevano del latte degli stessi ovini o caprini mescolato, usando un ramoscello di ginepro, all’ocra rossa.
La scritta più antica – scrive la curatrice Marta Bazzanella – è di data incerta, fra il 1430 e il 1470. Le scritte rosse sedimentate sulle rocce chiare del Monte Cornón sono visibili percorrendo le strade e i sentieri della montagna. Raccontano frammenti di storie che contribuiscono a “definire” il tessuto socio economico del territorio alpino della Val di Fiemme. La ricercatrice, coadiuvata da Silvia Dal Piaz e Ovidiu Tanase, ha documentato questa preziosa testimonianza con un apparato fotografico notevole nel prestigioso volume. “Un mondo più di animali che di uomini. Considerazioni sull’economia dell’incolto nella storia antica di Fiemme”, è il titolo del contributo di Enrico Cavada già funzionario della Soprintendenza per Beni Culturali della provincia autonoma di Trento, mentre Federico Troletti, storico dell’arte e componente del Comitato Scientifico del METS, interviene con “I contesti delle incisioni storiche in Valcamonica”.
Il lavoro di ricerca si è potuto realizzare grazie anche alla compartecipazione del Bacino Imbrifero Montano dell’Adige, della Comunità territoriale della Val di Fiemme e delle Amministrazioni comunali di Panchià, Predazzo, Tesero e Ziano di Fiemme. La decorazione risulta come un’opera collettiva trans-temporale, alimentata da una profonda compostezza. Le scritte e gli elementi decorativi dimostrano un’introiezione non superficiale di elementi grafici e decorativi che caratterizzano le aree sacre – chiese, edicole religiose ecc – e cimiteriali. A dimostrazione della profonda attenzione dei pastori agli elementi iconici e aniconici della cultura a loro contemporanea.
Nella storia la figura del pastore fu spesso collegata – a livello di immaginario collettivo – all’arte musicale, alle composizioni poetiche e alla pittura. La leggenda del pastore-pittore fu tra l’altro utilizzata per narrare l’origine di Giotto. Giorgio Vasari riprese nelle sue “Vite” (1550) la leggenda del giovane Giotto-pastore, scoperto un giorno nella natura mentre disegnava una pecora su una pietra.
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