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Marmolada dopo il crollo: impossibile salvarla

Secondo il ricercatore del Cnr Jacopo Gabrieli il futuro del ghiacciaio della Marmolada è segnato, dovevamo pensarci prima. “Le temperature”, spiega, “sono in aumento per le attività umane”

“Ogni tanto mi si chiede: fra 15 anni, la Marmolada non ci sarà più? Cosa possiamo fare per salvarla? La risposta è: niente, ormai è persa. Alla Marmolada non possiamo farci nulla, dovevamo pensarci 30 anni fa. È questa la difficoltà nell’affrontare il cambiamento climatico: dell’azione che facciamo noi oggi, vedremo i risultati fra 10, 15, 20 anni”. Jacopo Gabrieli, ricercatore Cnr, bellunese, a chi gli pone specifiche domande non fa mistero del fosco quadro che caratterizza il futuro delle Dolomiti..

Cosa dobbiamo attenderci in tema di cambiamento climatico? “Bisogna stare attenti perché c’è un fraintendimento tra la meteorologia e la climatologia. Il fatto che questo sia un inverno particolarmente siccitoso, non vuol dire nulla dal punto di vista climatico. Anche che fosse il secondo consecutivo non ha un grande significato perché la climatologia è un qualcosa che parla di medie molto lunghe, quindi di 10, 20, 30 anni. Faccio questa osservazione perché si corre il rischio che il prossimo inverno sia estremamente nevoso e allora sentiremo dire: ‘Ah vedi, il cambiamento climatico non esiste, erano tutte cavolate quelle della neve…’. No, queste sono situazioni meteorologiche particolari, altro è il trend, la tendenza che stiamo sperimentando ormai da 20, 25 anni”.

E il trend che cosa dice? “Ci dice che le temperature sono in aumento a livello globale di 1,1 gradi rispetto alla norma e qui sulle Alpi il valore è di 2-2,5. Questo è innegabile e la scienza ci dice che è dovuto all’attività umana, quindi all’emissione di gas serra in atmosfera. Poi il fatto che non nevichi d’inverno e quindi i ghiacciai siano completamente scoperti ci fa già presagire che primavera e che estate avremo perché siamo in condizioni davvero tragiche. Se le temperature saranno come quelle dell’anno scorso, i ghiacciai perderanno tantissima massa anche quest’anno e avremo sempre meno risorsa idrica a disposizione”.

Impressiona Jacopo Gabrieli la Pianura Padana, “una vasca da bagno piena di inquinanti”. “Abbiamo imparato negli anni”, spiega, “ad inquinare meno. Anche l’evoluzione dei sistemi di combustione e di controllo degli agenti inquinanti ha funzionato. Quello che non abbiamo ancora saputo fare è ridurre in maniera drastica e molto veloce l’emissione di tutti quei gas che fanno cambiare il clima, i cosiddetti gas climalteranti, tra i quali la principale è la CO2 e per far questo c’è solo una cosa da fare: evitare di bruciare combustibili fossili. Questa è la sfida da qui ai prossimi anni. Bisogna quindi passare a un’energia che sia libera da quelli che sono i combustibili fossili. Detto questo, anche se noi fossimo bravi e domani mattina chiudessimo tutti i rubinetti che emettono CO2, il clima cambierà lo stesso perché ormai quello che è fatto è fatto”.

Il primo studio sui meccanismi del collasso

A meno di un anno di distanza dalla tragedia della Marmolada un team internazionale di ricercatori coordinato dal Aldino Bondesan dell’Università di Padova ha pubblicato uno studio che costituisce il primo lavoro sulle possibili cause e i meccanismi del collasso. La valanga si arrestò in un canalone dopo aver percorso circa 2,3 chilometri lungo il pendio. Il crollo avvenne nella parte alta del versante settentrionale della Marmolada, a quota 3.213 metri, e interessò un lembo sommitale del ghiacciaio, nei pressi di Punta Rocca. L’energia sismica rilasciata dall’evento è stata paragonabile a un terremoto di magnitudo pari a 0,6.

“Un’analisi dettagliata delle immagini satellitari e aeree stereoscopiche, scattate prima e dopo l’evento, ci ha consentito di analizzare le modalità di collasso”, spiega Bondesan. “Il distacco è stato in gran parte causato da un cedimento lungo un crepaccio mediano, in parte occupato da un enorme volume di acqua di disgelo generato dalle temperature altamente anomale della tarda primavera e dell’inizio dell’estate. Al momento dell’evento erano stati raggiunti in quota i 10.7 gradi”.

La fitta rete di crepacci insieme con la morfologia e le proprietà della superficie rocciosa basale hanno predisposto questo settore glaciale al collasso, “la cui causa scatenante – sostiene Bondesan – è da individuarsi nella pressione sovrastante causata dall’eccesso di acqua di fusione”.

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