Cechov lo intuì: il clima impazzirà

Rileggendo le opere teatrali di Anton Cechov (1860-1904) ho scoperto con meraviglia la sua capacità di prevedere il futuro catastrofico della vita sulla Terra grazie all’opera distruttrice dell’uomo. A rivelarlo, ne Lo zio Vania per la prima volta sulla scena a Mosca nel 1899 (in apertura un’immagine della commedia), sono le parole del medico Astrov Lvovic, il personaggio in cui l’autore si identifica:

L’uomo è fornito di ragione e di forza creatrice per moltiplicare ciò gli è dato, ma fino a oggi egli non ha creato, bensì distrutto. Le foreste sono sempre, sempre meno; i fiumi si prosciugano, la selvaggina si estingue, il clima si rovina, e ogni giorno la terra diventa sempre più povera e più brutta. Ecco, tu mi guardi con ironia e tutto ciò che dico non ti sembra serio, e forse è davvero stramberia, ma quando passo davanti alle foreste che io ho salvato dalla scure oppure quando sento come stormisce il mio giovane bosco, che ho piantato con queste mie mani, io mi rendo conto che il clima è per un poco anche in mio potere, e che se fra mille anni l’uomo sarà felice la colpa sarà un poco anche mia.  

Parole che mi commuovono e mi sorprendono. Vuol dire che 125 anni fa c’era qualcuno che si rendeva conto di quanto sia nociva l’azione scriteriata dell’uomo, l’essere vivente che continuiamo a chiamare “homo sapiens”.  Certo Cechov non pensava che la ragione e la forza creatrice dell’uomo avrebbero continuato a essere usate per inventare e costruire cose sempre più nocive per l’ambiente portando la vita sulla Terra al limite, ma era la fine del diciannovesimo secolo e il progresso tecnologico che si stava affacciando portava qualche speranza per un miglioramento di vita. Oggi, nel ventunesimo secolo, di speranza che l’homo sapiens sia degno di questo nome me ne è rimasta ben poca. 

Marina Nelli

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