Alpeggi / Il rumore scomparso dei “sonagli”

Alle campane di bronzo che si mettono al collo delle bovine dedica nel mensile “Lepontica” di febbraio questo appassionato ricordo lo scrittore ossolano Paolo Crosa Lenz, un racconto  che riproduciamo per gentile concessione dell’autore.

L’alpe Quagiui (1563 m) era l’alpeggio più grande dell’alta Valgrande. Il toponimo la dice lunga: Quagiui da quagiàa (lavorare il latte per fare formaggio). Altri alpeggi “grassi” richiamano. Erano prati, oltre 40 tra baite e stalle, una capacità di carico di oltre 100 bovini e molte centinaia di capre, alcune decine di maiali. Veniva caricato da sette – otto famiglie di Colloro con il sistema della boggia (la conduzione comune della mandria). L’alpe era formato da tre nuclei di rustici, alcuni con non comuni tetti a tre o quattro falde. Fu caricato l’ultima volta nel 1967 con 12 mucche e 35 capre. 

Gli anni ‘60 del Novecento in Italia furono gli anni del boom economico (il frigorifero, la lavatrice, la Cinquecento); sugli sperduti alpeggi della Valgrande furono gli anni dell’abbandono, la resa di una civiltà d’alpeggio che aveva concluso il suo ciclo storico. Le date della fine di un mondo sono implacabili: l’alpe Valle di sotto fu abbandonato nel 1965, Borgo delle Valli nel 1965, Valpiana nel 1967, Cortevecchio nel 1965, Fornale nel 1965, Crot di sopra nel 1968. 

“Quando sono nella stalla vorrebbero sentire ancora il tintinnio dei loro sonagli mentre riposano e ruminano”. (ph. Serafin/MountCity)

Con l’abbandono dell’alpe Serena nel 1969 il ciclo si chiuse e in Valgrande tornò il silenzio. Un silenzio assoluto che non era più rotto dal suono dei “sonagli”.  Oscar Lux, in un breve romanzo straordinario, così racconta il “rumore” scomparso delle Valgrande. “I sonagli sono le campane che si mettono al collo delle bovine e servono a rintracciarle quando nel pascolo c’è la nebbia e quando si sono incautamente allontanate. I campanacci attaccati a grandi collari di cuoio sono di due tipi diversi: quelli a forma di campana, fatti di bronzo fuso, che sono i più antichi hanno in rilievo decorazioni che rappresentano fiori di montagna, cuori, croci, ghirlande e qualche volta delle madonnine.

Questo tipo di campane ha l’inconveniente che talvolta si incrina negli urti contro le rocce ed allora perde la risonanza squillante. Altre campane sono quelle di un acciaio brunito speciale, detto di Chamonix, fatte a forma di tulipano rovesciato, con l’apertura inferiore più ristretta. Questo tipo ha grandezze diverse, rigorosamente classificate secondo una numerazione che ne definisce la dimensione. Quelle di Chamonix sono pregiatissime per il suono squillante che ha una risonanza eccezionale e diversa da quelle di bronzo. Le campane delle bovine, a parità di grandezza e di tipo, hanno un suono diverso l’una dall’altra e il pastore ne distingue la risonanza anche da lontano e rintraccia con essa le singole bovine. Per questo motivo le campane rappresentano per i proprietari del bestiame un patrimonio affettivo che si tramanda di padre in figlio e da una bestia a quella che le succederà nella stalla. Alcuni allevatori sono così gelosi delle loro campane che ne bloccano definitivamente le fibbie per impedire che possano essere rubate. Anche le fibbie dei larghi collari, sono talora bellissime. Possono essere fatte di metallo comune oppure in bronzo con i loro contorni ondulati e con rilievi a piccole borchie che sembrano costituire un cesello ricco e minuto. 

Queste fibbie vengono riservate alle bovine più selezionate, alle nobili campionesse del latte. Nietzsche aveva detto che i pescatori sono gli uomini più ricchi del mondo, perché al tramonto, hanno i remi d’oro. Così si potrebbe dire degli alpigiani che al tramonto hanno le fibbie e le campane d’oro. Il suono delle campane piace anche alle bovine. Alcune di esse quando sono ferme nella stalla, vorrebbero sentire ancora il tintinnio dei loro sonagli mentre sdraiate a terra riposano e ruminano. È buffo vederle proprio quando agitano ritmicamente la testa per sentirle suonare. Sembra che questo lieve scampanio concili la loro tranquillità e la loro digestione.”

Paolo Crosa Lenz

da”Lepontica”, febbraio 2023

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