Leggi razziali / L’autocritica del Club Alpino Italiano 

Era il 17 maggio 1938 quando, in base a un regio decreto dell’Italia fascista convertito in legge, il Club Alpino Italiano venne ribattezzato nel più italico Centro Alpinistico Italiano. Pochi mesi dopo, il 17 novembre 1938, vennero invece varate le famigerate leggi razziali che il Cai recepì l’8 maggio 1939 imponendo ai soci di qualsivoglia categoria (onorari, vitalizi, ordinari e aggregati) l’appartenenza esclusiva alla “razza ariana”. 

Dopo 80 anni, il Cai si è deciso a riaprire la questione razziale e ha inaugurato un percorso di autocritica. Mercoledì 25 gennaio 2023 a sancire l’inedito percorso è stato un incontro con l’Unione delle comunità ebraiche italiane e la Comunità ebraica di Roma. La Sezione del CAI Milano ha invece indetto per venerdì 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, una serata “per non dimenticare”. Anche la Sezione di Roma si è impegnata sull’argomento. Nessun dubbio che sia l’inizio di un percorso che porterà anche a individuare tutti i soci espulsi (anzi “epurati”) 84 anni fa, e a riammetterli alla memoria come è giusto.

A Milano la storica Sezione del Cai può dirsi soddisfatta per l’esito della serata del 27 gennaio. Sala piena e interessata e relatori preparati e all’altezza del compito Qui sopra una foto del tavolo dei relatori (purtroppo fare foto non era una priorità quella sera, ed è stato un peccato).

E’ stata anche consegnata una “Tessera alla memoria” al discendente di un socio epurato. Si sperava che fossero di più questi eredi ma la ricerca continua. E’ toccato a Carlo Lucioni, past presidente della Sezione e storico ispettore dei rifugi sezionali, riepilogare nell’introduzione la trasformazione dell’alpinismo tra gli anni ’20 e ’40 del secolo. Tutte le cime delle Alpi erano state salite e l’attenzione degli alpinisti si concentrava sulle “pareti difficili”. Fu il periodo in cui nacque il sesto grado. In un clima di accesa competizione vennero realizzate salite che oggi consideriamo storiche (Gran Jorasses, Eiger, Badile etc.)

“La battaglia del sesto grado”, ha precisato Lucioni, “non ha riguardato solo gli alpinisti, ma ha avuto anche un risvolto nazionalistico. In quegli anni si sviluppò l’interesse del regime fascista per l’alpinismo. Il Partito Nazionale Fascista (PNF) volle servirsi delle imprese degli alpinisti come leva propagandistica e di controllo diretto delle giovani generazioni. A questo fine non bastò gestire con medaglie l’alpinismo di punta. Fu necessario associare l’atto atletico a una visione epica ed eroica dell’alpinismo con venature spiritualistiche se non addirittura mistiche. La visione che si instaurò fu razzista, in cui gli uomini non sono tutti uguali e il modo di pensare del tutto incompatibile con la democrazia”. 

“E infatti”, ha osservato Lucioni, “l’obiettivo del PNF è stato quello di condizionare i comportamenti dei  soci, trasformando il CAI in una propria appendice, in un percorso che porterà nel 1938/39 alla epurazione dei soci non ariani, premessa a ben più tragici eventi. Il Club Alpino Italiano (CAI) ha quindi dovuto subire negli anni del regime fascista una progressiva omologazione alle regole imposte dalla dittatura che lo trasformò da libera associazione a ente a supporto del regime. Tra le molte imposizioni, quali il cambiamento del nome, l’abolizione delle regole democratiche interne e il passaggio alle dipendenze prima del CONI e poi direttamente del PFN, vi fu negli anni 1938 e 1939 l’applicazione delle leggi razziali che portò alla epurazione dei soci di razza non ariana”. 

“Con una Circolare ‘riservatissima’”, ha puntualizzato Lucioni, “si ordinò alle Sezioni di dare esecuzione agli ordini superiori precisando che ‘tutti coloro che devono essere esclusi dal CAI in quanto non ariani saranno considerati dimissionari’. Pur non avendo ancora il CAI realizzato una completa ricostruzione storica degli eventi di quegli anni, non ci sono dubbi che tutte le Sezioni, anche se con diversa sollecitudine e rigore, hanno dato esecuzione a questi ordini. Ciò è accaduto anche alla Sezione del CAI Milano, dove numerosi soci vennero esclusi dalla vita associativa”. 

Sta di fatto che dopo anni di silenzio, recentemente gli organi centrali del CAI hanno promosso un percorso per il recupero della memoria di quanto accaduto tramite la ricostruzione storica dei fatti. 

Settantacinque furono espulsi

Da una recente ricerca nell’archivio storico della Sezione di Milano è emerso che furono 75 i soci, tra cui 13 donne, che vennero esclusi in seguito alle Leggi razziali. Con la “Serata della memoria” la Sezione ha deciso di rendere edotti i propri soci su quanto accaduto coinvolgendoli nella condanna di questi fatti e nel doveroso riconoscimento delle responsabilità, onorando la memoria degli iscritti vergognosamente cacciati. Qui sopra la tessera consegnata agli eredi di un socio espulso.

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