Montagna protagonista, lo spiega “Dislivelli”
Rifacendosi all’espressione calcistica “palla al centro” d’obbligo quando si riprende a giocare dopo avere segnato, la rivista Dislivelli.eu si presenta alla fine del 2022 nel fascicolo (in pdf) luglio-novembre con un tema su cui occorre riflettere. Riguarda il (presunto) protagonismo della montagna che effettivamente è o si vorrebbe che fosse al centro dei pensieri di molti di noi.
Lo scrittore alpinista Enrico Camanni racconta per cominciare come oggi la montagna abbia un nuovo ruolo nella letteratura, con decine di romanzi ambientati nelle terre altre. Buono a sapersi. Gli architetti Antonio De Rossi e Laura Mascino spiegano a loro volta come nelle terre alte non si tratti più di valorizzare un gruppo di case, ma di renderle nuovamente abitabili e produttive, interrogandosi su come possano servire per il futuro delle vite individuali e collettive.
Il bravo giornalista Leonardo Bizzaro esamina poi la montagna nell’ottica dei media, quindi si dedica agli ottomila diventati un circo e infine alla traballante economia dello sci. Un bel fardello con molti nodi da sciogliere. Maurizio Dematteis riflette infine sul tramonto dell’immaginario di un turismo in montagna legato solo allo sci, e lo fa alla luce delle ricerche per un suo libro appena uscito sulla fine dello sci di massa. Ma di molto altro ancora si parla in questa documentatissima pubblicazione aperta ai contributi delle migliori firme della montagna.
E poi, davvero come si legge, è una nuova letteratura sulla montagna quella che affronta oggi l’esame del pubblico “specializzato”? Ne sembra convinto Camanni, una delle migliori penne d’alta quota. A suo avviso attualmente si scrive di montagna “come non mai”. Anzi, la montagna andrebbe letterariamente “di moda”. Nel senso, riflette Camanni, che “la letteratura alpina è uscita dalla nicchia in cui si era auto reclusa e prova a parlare a tutti, utilizzando spesso chiavi popolari che si ispirano alle storie familiari, alla natura curatrice, al silenzio, all’ascolto e alla contemplazione”. Il dibattito è aperto e un’analisi andrebbe anche riservata all’operare dei critici specializzati, merce piuttosto rara.

A un primo superficiale esame, già cinque anni fa la letteratura alpina sembrò in effetti uscire dalla nicchia. Non fu estranea al fenomeno la vittoria del Premio Strega 2017 da parte delle “Otto montagne” di Paolo Cognetti. Uscirono subito dopo l’evento almeno duecento libri ambientati tra Dolomiti, Sud Tirolo, Valle d’Aosta, Val di Susa, Val Venosta. Una valanga di libri che però non sempre volarono ad alta quota.
In quegli anni un critico venne biasimato dalla sparuta pattuglia dei colleghi militanti alle alte quote avendo tale critico mostrato “di non aver letto per davvero quasi nessuno dei testi che metteva alla gogna, e forse neanche i pochi che salvava”. Ma furono ordinarie schermaglie tra colleghi di penna. E poi si sa che la montagna è di per se divisiva. Il vituperato critico ebbe (se ci viene concesso) il merito di descrivere nei dettagli e senza peli sulla lingua nelle pagine del quotidiano “Il Giornale” (“La banalità ad alta quota: i romanzi di montagna da gettare nel crepaccio”) la presunta ondata post Cognetti: colpevole “di aver dato il via a una moda letteraria che per lo più si perde tra i crepacci dell’insulso”.
Ma non tira una buona aria secondo il giornalista Bizzaro nemmeno su un altro pianeta, quello della comunicazione della montagna che avrebbe fatto passi da gigante… all’indietro. Così almeno si legge in Dislivelli in un suo saggio piuttosto sferzante. Quanto si è modificata in effetti tale comunicazione negli ultimi anni? La domanda imporrebbe una riflessione su che cosa è oggi la comunicazione, tra quotidiani in crisi profonda e siti internet senz’anima. “Un discorso che porterebbe lontano”, si lascia andare il giornalista Bizzaro, “né ho voglia di farlo essendo, dopo quarant’anni quasi, uscito da una redazione a respirare”.
Detto tutto il male possibile delle redazioni, il giornalista mette nel tritacarne anche la maggior parte dei siti o portali di montagna considerandoli “privi di anima”. Non lo sfiora l’idea che la loro presenza sul web assicuri una circolazione di notizie e idee tali da mettere “la montagna al centro” per dirla con Dislivelli. Di chi allora la colpa se agli operatori della comunicazione manca, oggi come ieri, “una preparazione specifica non dissimile da quella richiesta per scrivere di calcio o di giudiziaria, di politica o di moda”?
Pochi ricordano (e qui ci permettiamo di rinfrescare la memoria) che delle carenze di comunicazione segnalate in Dislivelli presero atto, cercando di proporre nuove prospettive professionali, alcuni giornalisti della montagna negli anni Ottanta dando vita a un gruppo di lavoro specializzato aderente alla Federazione della Stampa. Vennero organizzati seminari e incontri come quello molto partecipato su “un giornalismo irripetibile” ospitato dal Museo della Montagna.
Si organizzò persino una cordata della stampa che, al semplice scopo di “bucare gli schermi”, raggiunse i quattromila metri del Breithorn (foto qui sopra in apertura). Aderirono al gruppo professionisti della Valle d’Aosta, della Lombardia, del Veneto, del Trentino Alto Adige. Il Cai mise a disposizione la sede della Sezione di Milano. In Piemonte invece nessun giornalista aderì al gruppo di lavoro, limitandosi a qualche simpatica presenza. Eppure proprio in Piemonte emersero per la prima volta nella storia le lacune della comunicazione in montagna. Fu merito, per chi se lo fosse scordato, dello statista Quintino Sella che decise nel 1863 di fondare il Cai allo scopo di sottrarre agli inglesi l’esclusiva nella promozione delle Alpi. (Ser)