Esce il catalogo delle Croci di vetta
Con il patrocinio dell’Università della Tuscia, del Club Alpino Italiano e del Club 2000, il volume “Croci di vetta in Appennino” di Ines Millesimi (con la presentazione di Erri De Luca e la postfazione di Paolo Cognetti) viene presentato sabato 17 dicembre alle ore 16,30 al Polo Universitario di Rieti (vedere qui sotto la locandina). Si tratta come viene specificato nel breve saggio che pubblichiamo del primo catalogo di croci di vetta in Appennino, con un’analisi del fenomeno dal punto di vista simbolico e storico-artistico, ambientale e giuridico. Il volume di 300 pagine, con 330 foto a colori, carta certificata amica delle foreste, viene distribuito da Ciampi Editore (35 euro è il prezzo di copertina). Nella foto la Croce di vetta del Monte Amaro, la massina vetta della Maiella, e la valle di Femmina Morta.
L’evento di sabato 17 dicembre intende presentare agli studiosi, ma anche a un pubblico più generico e agli appassionati di montagna, un fenomeno conosciuto e molto dibattuto: l’apposizione delle croci di vetta. Lo studio è stato condotto per la prima volta per fasce altimetriche, campagne fotografiche, confronti con la documentazione passata, ricostruzione delle microstorie delle 72 croci di vetta mappate: over 1200 m s.l.m. partendo dai Monti Reatini, cuore della ricerca dove ha sede il corso universitario di Scienze della Montagna della Tuscia, fino alle vette over 2.000 m s.l.m in tutta la dorsale appenninica. Molte di queste cime ricadono nei Parchi e in Aree protette, ricche di biodiversità.
Si tratta del primo catalogo di croci di vetta in Appennino, con un’analisi del fenomeno dal punto di vista simbolico e storico-artistico, ambientale e giuridico. Vi si delinea una nuova geografia, illustrata da oltre 300 fotografie e 11 tavole cartografiche, che racconta un tema complesso con un approccio laico e scientifico.
Nel volume si ritrovano interviste inedite ad autorevoli personaggi, tra cui Reinhold Messner, e gli apporti di Erri De Luca e Paolo Cognetti. Costruito come un puzzle, il libro tratta il simbolo polisemico della croce, ricostruisce la storia delle croci di vetta e per la prima volta affronta il tema delle regole di condotta e delle opportunità per la ricerca scientifica di un potenziale loro utilizzo. Infine nel volume vengono presentate 72 schede di croci di vetta per fasce altimetriche, ricostruendo le insolite vicende.
I vertici delle montagne restano il luogo più affascinante del contatto tra cielo e terra; una volta raggiunta la cima, si può solo scendere. Questo studio, che si rivolge anche a chi non ha provato l’esperienza di uno sguardo in vetta, si avvale della collaborazione di esperti escursionisti e ha ricevuto i patrocini dell’Università della Tuscia, del Gruppo Terre Alte – Comitato Scientifico Centrale Club Alpino Italiano e del Club 2000m.
In una società sempre più aperta al dialogo interreligioso come quella attuale che significato ha apporre ancora nuove croci di vetta? Usanza affermata nei primi dell’Ottocento sull’arco alpino e transfrontaliero, l’immagine della croce o monumenti al Cristo Redentore rientravano nel progetto di fede (e di spirito delle comunità) detto Piano di voto in occasione del Giubileo del 1900 di Papa Leone XIII, consistente nell’apporre sulle vette italiane un segno importante e ben visibile della Cristianità. Anche la figura della Madonna ha avuto una grande diffusione sulle montagne, chiamata a protezione delle comunità Madonna delle Nevi.
Cosa significano questi simboli? Oggi come interpretare “il segno della croce” sulle cime? Perché vengono apposti simboli di vetta in nome di una sacralità percepita e vissuta culturalmente come patrimonio, in Italia e in Europa? Nello studio si è cercato di rispondere a queste domande: che cosa rappresenti una croce su un vertice naturale nel paesaggio montano soprattutto a quote elevate e se vi è una sua utilità; se apporre una croce in cima a una montagna comporti un impatto paesaggistico o un qualche disturbo; se esistano delle regole a cui attenersi affinché il fenomeno dilagante di manufatti, artefatti, insegne e infrastrutture non diventi estemporanea espressione personale, frutto per lo più di iniziativa privata, o anonima, o di associazioni non ben identificabili, senza una storia radicata alle spalle con il luogo in cui operano; infine, il libro è un invito a prendersi cura delle croci di vetta storiche ed esistenti da parte delle comunità e a riflettere su nuove possibili apposizioni, preferendo omini di pietra per segnare una vetta.
Una prima catalogazione delle croci di vetta è apparsa in tal senso un passo indispensabile per tentare di comprendere gli effetti in montagna nell’era dell’Antropocene, ovvero dell’umanità che domina la Natura. Si tratta di affrontare il problema dei segni contemporanei dell’Homo sapiens nella Natura, anche laddove il passaggio dell’uomo è transitorio. Dalla vetta si può solo scendere con una percezione aumentata dell’immensità.
La croce è un segno polisemico, cioè portatore di più significati, già presente nelle civiltà pre cristiane e oggi ancora indagato nelle opere e installazioni di artisti contemporanei di fama internazionale attratti da questo simbolo anche se sorprendentemente si professano atei. “Lo scopo di questo studio transdisciplinare sulle croci di vetta”, conclude l’autrice, “è quello di affrontare il tema molto complesso con un approccio laico e scientifico, culturalmente maturo, proponendo una lettura diversa sul tema della croce capace di superare ogni polarizzazione e contrapposizione, valorizzando i principi di sobrietà e di rispetto”.