Architetture per la montagna che produce

Gli aspetti legati alla produzione in montagna si rivelano centrali nel creare le condizioni per favorire una nuova abitabilità per questi territori. Le architetture contemporanee raccolte nel nuovo fascicolo di ArchAlp contrassegnato dal numero 8 rispondono attivamente a queste nuove istanze, concorrendo alla definizione di funzioni inedite e di nuovi spazi per il lavoro, trasformando il progetto in un’occasione per l’innovazione, anche attraverso la reinterpretazione di modelli delle economie tipiche del mondo alpino come l’allevamento e l’agricoltura.

Oggi più che mai, il tema della montagna “che produce” sembra essere centrale nel quadro di quelle politiche territoriali che lavorano nella definizione del territorio alpino come uno spazio abitativo autonomo, in grado di ridisegnare gli equilibri territoriali e i sistemi di interdipendenza con le grandi aree urbane di fondovalle e di pianura. Storicamente basato su un’economia di sussistenza, il territorio montano è stato, tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo, uno spazio industriale e produttivo a tutti gli effetti, vero e proprio “giacimento” delle principali risorse (minerale, acqua, legno, ecc.) per le società urbanizzate. A ben vedere una breve parentesi, se la confrontiamo con la lunga durata del passato agrosilvo-pastorale, e con la condizione postmoderna di territorio “scenario” per la monocultura turistica. 

Oggi che la questione di una nuova abitabilità dei territori extraurbani è tornata ad essere sulle agende di sempre più numerosi soggetti istituzionali e politici, tale dimensione produttiva della montagna riacquisisce uno spessore ed una centralità inedita. Tornare a pensare al territorio montano come un luogo presidiato e vissuto significa oggi innanzitutto riscrivere le relazioni di interdipendenza socio-economica con le aree urbanizzate, cercando di garantire delle condizioni di vita e di lavoro sul territorio stesso, e ridare vita ad un sistema di relazioni virtuose con le città, controvertendo l’idea di luogo di consumo monodirezionale (estrattivo, ambientale, paesaggistico, turistico, ecc.) praticato nei decenni scorsi.

La copia cartacea di ArchAlp è acquistabile in libreria o sul sito di Bononia University Press
https://buponline.com/prodotto/archalp-8-9/

Se in alcune aree geografiche già da molti anni il modello di un’economia loca-le produttiva può considerarsi consolidato (si pensi al Vorarlberg, ai Grigioni o in Sudtirolo), in altri luoghi alpini questo approccio sembra oggi ritagliarsi timidamente uno spazio importante, soprattutto nel panorama di quelle valli che hanno per contro vissuto decenni di abbandono e spopolamento (si pensi ad alcune aree delle alpi occidentali e centrali italiane, piemontesi, lombarde e venete). 

Due sembrano essere gli elementi caratterizzanti di questa tendenza. Da un lato un approccio, per usare un termine in voga, “non estrattivo” ma basato sul rafforzamento delle filiere locali: allevamento, agricoltura, viticoltura, produzione casearia, silvicoltura ma anche produzione industriale e artigiana-le basate sulla trasformazione di prodotti e risorse autoctone. Dall’altro la riattivazione di reti lunghe, non strutturate secondo uno sfrutta-mento verticale delle risorse ma basate invece su di una “specializzazione orizzontale” che permetta la nascita di economie ed attività innovative capaci di ritagliarsi uno spazio privilegiato all’interno del mondo globale.

Le architetture contemporanee raccolte in questo numero di ArchAlp di cui è direttore Enrico Camanni sembrano rispondere in modo proattivo a queste nuove istanze, concorrendo in prima persona alla definizione di nuovi spazi per il lavoro, interpretando le necessità di nuove funzioni inedite per questo contesto e trasformandole in occasioni di innovazione progettuale e linguistica, come nel caso di stabilimenti artigianali e industriali, centri di ricerca e innovazione, poli di servizi. O anche solo reinterpretando e attualizzando i modelli consolidati delle economie tipiche del mondo alpino come l’allevamento e l’agricoltura, ma sempre in un’ottica di valore d’uso del territorio e dei manufatti, ben oltre le posizioni estetizzanti e immobilistiche. della patrimonializzazione dei decenni scorsi.

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