Cinema / Il Tibet incantato di Sylvain Tesson

La storia inizia nel 2018: il francese Sylvain Tesson viene invitato dal fotografo naturalista Vincent Munier a osservare gli ultimi esemplari della pantera delle nevi sull’altopiano di Changtang in Tibet. Del gruppo fa parte Marie Amiguet compagna del fotografo e con lui regista del film e il loro assistente Léo-Pol Jacquot, studente di filosofia. Fanno base in vari siti e rifugi tra i 4.000 e i 5.000 metri di altitudine, spesso a – 20 gradi.  Il film “La pantera delle nevi”, impreziosito dalla colonna sonora di Warren Ellis e Nick Cave, risulta che abbia incantato gli amanti dello slow cinema e della natura selvaggia che ci si augura numerosi. Dopo averlo visto e apprezzato in una sala milanese ben frequentata non si può che confermarlo. 

L’altipiano tibetano, un habitat selvaggio dove vivono animali rari, viene esplorato dalla cinepresa con le sue rocce multicolori, le nebbie che lo avvolgono, gli yak al pascolo. Una vera sinfonia. C’è sempre una sorta di morbido incanto anche nella voce di Paolo Cognetti che fa da doppiatore. Il fotografo esplora queste valli impervie alla ricerca della pantera, non solo uno dei più grandi felini esistenti, ma anche uno dei più rari e difficili da avvistare.

Un gattone impellicciato per qualche istante fissa intanto la cinepresa ed è come se ci guardasse negli occhi. Ma è naturale che gli animali ci guardino, a cominciare dagli scoiattolini incontrati nei parchi cittadini che ci vengono incontro fissandoci in cerca di cibo e saltellano acrobaticamente sulle zampette posteriori. In Tibet oltre al lupo grigio, l’orso e la volpe, i cineasti individuano anche animali rari come l’antilope tibetana, lo yak, il baral, il gatto di Pallas. Curiosi e dotati di un’infinita pazienza, i poetici ricercatori si mettono in dialogo con la natura da ospiti, sempre disposti a esprimere il proprio stupore che oggi, in questo mondo distratto, è diventato merce rara. Montano anche qualche trappola visiva notturna. E la pantera delle nevi? Loro sanno di essere osservati dall’imprendibile pantera, un simbolo di questo ambiente che rimanda a un’idea primordiale della natura. Finché finalmente…

Il viaggio del film è in definitiva una sorta di percorso mistico in cui fanno gioiosamente irruzione i piccoli figli dei pastori, cuccioli d’uomo immersi tra queste montagne come gli angioletti in certi dipinti del Quattrocento, talvolta alle prese nelle yurte con i libri di scuola quando hanno terminato i loro turni di lavoro. Indimenticabile, fra le tante, la sequenza nella rustica dimora del piccolo fiero di saper contare. (Ser)

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