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Letture / Scalate solitarie, affascinanti follie

Una scelta difficile da capire, perfino scandalosa. Se questo è ciò che pensa Alessandro Gogna delle scalate solitarie, lui che ha firmato in perfetta solitudine storiche solitarie come quella alla via Cassin sulle Grandes Jorasses o alla via dei Francesi sul Rosa, c’è da credere che questo genere di scalate siano “percorsi assolutamente intimi e personalissimi” come li definisce il grande alpinista e scrittore genovese. 

A Gogna si deve in questi giorni la direzione della collana “La storia dell’alpinismo – rispetto, disciplina, sfida, sogno” composta di 25 uscite settimanali (ogni numero esce il martedì e resta in edicola qualche giorno in più, ma il numero successivo esce comunque dopo una settimana). Alle grandi imprese solitarie dal 1887 a oggi è dedicato il secondo volume curato da Serafino Ripamont, a sua volta alpinista e membro dello storico gruppo dei Ragni. 

Esiste un’etica della solitudine? O non è forse meglio parlare di poetica della solitudine? Nei sei capitoli del volume ricco di immagini e sapientemente impaginato, Ripamonti dipana decine di storie aggiungendovi una ricca cronologia. E la prima impressione che si ricava è che la poetica (o forse sarebbe meglio dire la magia) della solitudine abbia ammaliato anche grandi alpinisti come Bonatti, Messner, Maestri e lo steso Gogna mettendoli severamente alla prova. 

Ma solitudine può anche essere in montagna sinonimo di ambizione. E tra questi tipi di solitari ambiziosi oltre ogni limite si ritrova con immenso piacere la personalità del roveretano Armando Aste (1926-2017). Per il quale, come egli stesso raccontò, ogni scalata solitaria fu un percorso intimo, una vera e propria ascesi.  

Con Andrea Balossi alla telecamera, Roberto Serafin dedicò nel 2011 ad Aste il cortometraggio “Il tarlo” (ora in distribuzione presso la Cineteca del Cai) sulla sua solitaria del 1960 alla via dei Francesi sulla Cima ovest di Lavaredo. Un evento che ha segnato un’epoca, uno dei momenti più alti nella storia alpinistica delle Dolomiti. Nel film Aste racconta i suoi crucci nella fase preparatoria dell’exploit quando lo tormentava l’idea di giocarsi la vita per soddisfare una personale ambizione.

Di Aste si ricorda la religiosità apparentemente in contrasto con i rischi che con una certa spregiudicatezza si prendeva scalando. Lui stesso ne era consapevole e non mancava di tacitare la sua coscienza di credente recitando il rosario la sera, prima di addormentarsi nei bivacchi durante le imprese più estreme. 

“All’epoca”, raccontò Aste, “quella mia solitaria alla via dei Francesi è sembrata a molti una pazzia. E ancora oggi mi rendo conto che di follia si è trattato. Però non ho dubbi: fu un’affascinante follia”. 

Salvo errori questo termine, follia, usato peraltro anche da Dino Buzzati nelle sue cronache alpinistiche, non sembra ricorrere nella monumentale opera di Gogna. Una scelta che lo stesso Aste, se fosse ancora tra noi, apprezzerebbe. Del resto, non c’è mai stata una traccia percepibile di follia nel suo grande cuore. “Quando sarà giunta la mia ora”, disse, “e mi presenterò davanti a Dio Padre penso che non mi chiederà quante scalate ho fatto durante il tempo che mi è stato concesso. Ma vorrà sapere, anche se Lui lo sa già, se ho amato veramente, se ho fatto concretamente qualcosa per quelli meno fortunati di me”.  (Ser)

Armando Aste (1926-2017) in apertura in un’immagine di Roberto Serafin e durante la solitaria alle Lavaredo. Racchiuso nel circoletto in basso, il roveretano insegue una cordata di polacchi più lenti.

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