Letture / Agostino, il guardiano del Grappa
E’ ambientato sul Monte Grappa “Il Moro della cima”, romanzo di Paolo Malaguti pubblicato da Einaudi che si è aggiudicato la dodicesima edizione del premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi.
Il Grappa (cima a quota 1775), massiccio che si trova a cavallo fra l’estremità sud-occidentale della provincia di Belluno e quelle settentrionali di Vicenza e Treviso, fu segnato dal sanguinoso rastrellamento nell’autunno 1944: dal 21 settembre per alcuni giorni fu attuato un vero e proprio massacro pianificato, contro giovani partigiani ormai inermi e contro la popolazione civile. Alla fine, a causa della suddivisione istituzionale del territorio coinvolto (tre province, una delle quali, Belluno, appartenente all’area a controllo diretto nazista dell’Alpenvorland con Trento e Bolzano) non fu nemmeno del tutto chiaro il bilancio delle vittime, che si stima siano state almeno seicento. Sulla cima sorge un sacrario militare inaugurato nel 1935, che custodisce i resti di 12.615 caduti del primo conflitto mondiale, la gran parte ignoti. Poco più sotto, nel 1974 lo scultore bellunese Augusto Murer realizzò una statua in bronzo “al Partigiano”, presso una grotta nella quale i miliziani nazisti e i repubblichini fascisti bruciarono vivi sette combattenti per la libertà. E’ ambientato sul Monte Grappa “Il Moro della cima”, romanzo di Paolo Malaguti che si è aggiudicato la dodicesima edizione del premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi. Sulla trama del libro vincitore, l’editore Einaudi scrive: “Dicono che per vivere felici si debba trovare il proprio posto nel mondo: molti di noi passano la vita a cercarlo, per altri è questione di un attimo”.
La motivazione
La giuria composta da Sara Luchetta, Giuseppe Mendicino, Luca Mercalli, Annibale Salsa e Niccolò Scaffai ha così motivato la scelta del vincitore:
“Con “Il Moro della Cima” Paolo Malaguti raccoglie storie e voci del passato per restituirle con scrittura attenta e viva attraverso la figura del Moro Frun, personaggio tridimensionale innamorato della montagna, che ci ricorda il Tönle Bintarn di Mario Rigoni Stern, con le sue andate e ritorni, il suo amore per la terra madre e il dolore per ogni confine e inutile conflitto. Quello che si anima sulla pagina è un racconto ricco di rimandi e ricordi che parlano forte e chiaro. Parlano dei cambiamenti della montagna veneta, lavorata, trasformata e a volte sfigurata dalla mano umana; parlano di una guerra di cui leggiamo ancora le tracce nel paesaggio e che ci ricorda l’ingiustizia di tutte le guerre, quelle di ieri e quelle dei nostri giorni. Parlano di una civiltà contadina scomparsa, che affiora tra le righe con parole, oggetti, miserie, modi di dire e di pensare. Questo libro di Paolo Malaguti fa immaginare che sia ancora vivo e forte quel sentimento di chiarezza di idee e di scrittura, di etica civile e cura della memoria, di antiretorica, che percorre le pagine della migliore letteratura veneta: Mario Rigoni Stern, Luigi Meneghello, Andrea Zanzotto, Tina Merlin e tanti altri e altre. Il Moro e il suo autore discendono da lì, da quella passione di “virtute e canoscenza”. L’opposto di quel progresso scorsoio che stringe sempre più le pianure e le montagne del Veneto, che piega le coscienze degli intellettuali cortigiani, che tradisce la memoria di ciò che è stato. Questo libro fa sperare che un mondo più serio e civile sia ancora possibile”.
La trama
Agostino Faccin, che tutti chiamano il Moro, la felicità la scopre da ragazzo, tra le montagne di casa, nell’esatto momento in cui capisce che piú sale di quota e piú il mondo gli assomiglia. Quando gli propongono di diventare il guardiano del nuovo rifugio sul monte Grappa, non ci pensa su due volte. Ma la Storia non ha intenzione di lasciarlo in pace, la Grande Guerra è alle porte, e quella vetta isolata dal mondo diventerà proprio la linea del fronte. Da quando era poco piú di un bambino, il Moro ha una sola certezza: l’unico luogo in cui si sente al riparo dal mondo è tra i boschi di larici, i prati d’alta quota, e qualche raro alpinista…
Cosí, quando gli danno in gestione un rifugio, sembra che la sua vita assuma finalmente la forma giusta. Ben presto in pianura si diffonde la fama di quell’uomo dai baffi scuri e la pelle bruciata dal sole, con i suoi racconti fantasiosi e le porzioni abbondanti di gallina al lardo. E in tanti salgono fin su per averlo come guida, lui che conosce come nessun altro quell’erta scoscesa di pietre bianche e taglienti. Ma quel rifugio è sulla cima del monte Grappa, e la Grande Guerra è alle porte. Lassú tira un’aria minacciosa: intorno al rifugio il movimento è frenetico, si costruiscono strade militari e fortificazioni, arrivano in massa le vedette, i generali, i soldati. E il Moro, che in montagna si sentiva al sicuro, assiste alla Storia che sfila sotto ai suoi occhi: nel 1918 il Grappa è la linea del fronte, un campo di battaglia che non tarderà a trasformarsi in un cimitero a cielo aperto e infine in un sacrario d’alta quota.
Ma quando i fucili non fumano piú e le fanfare smettono di suonare, lui, il Moro, tornerà sulla sua cima, e davanti allo sfregio degli uomini cercherà il suo personalissimo modo di onorare la sacralità della montagna. Paolo Malaguti ci regala un’altra grande storia da un passato che non c’è piú, dando voce e corpo a un mondo perduto, e portandoci lassú a respirare un po’ di libertà. “Soprattutto all’alba, quando la luce è piú morbida e la pianura si svela piú ampia, e con lo sguardo arrivi fino alla curva del mare lontano: allora ti viene liscio credere che la vita possa davvero essere tutta cosí, giornate di sole e pascoli verdi””.
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