La “montagna sacra” giudicata da un religioso
Il progetto “Una Montagna Sacra per il Gran Paradiso” prosegue. Ne dà l’annuncio il portale Sherpa Gate che nella sua ricca vetrina riserva stabilmente uno spazio all’iniziativa. Salire sulle cime delle montagne per diletto con il minor impatto possibile oppure non salirci affatto: è questa la richiesta degli aderenti, molti dei quali si sono recati domenica 19 giugno in Valle di Forzo, laterale della Val Soana nel Parco del Gran Paradiso, per partecipare alla manifestazione “In cammino per la Montagna Sacra”.
Nella Valle di Forzo, una delle zone più integre del parco, si trova infatti il Monveso (di Forzo), montagna individuata appunto come sacra e sulla cui cima il progetto prevede che non si debba salire per alcuna ragione.
Giornata storica viene definita quella del 19 giugno in quanto “è la prima volta che una simile proposta arriva nell’occidente tecnologico e progredito”. Le prospettive della “montagna sacra” vengono valutate in modo positivo. E le adesioni sono in salita, segno che forse se ne sentiva il bisogno. “Nonostante le difficoltà di comunicazione”, viene annunciato in questi giorni , “siamo prossimi alle 1000 adesioni. E molto importante e significativa viene giudicata quella di Ettore Champrétavy, valdostano di Introd, notissimo runner che fra l’altro ha detenuto fino a 2 anni fa il record di salita e discesa della cima del Gran Paradiso”.
Interessante è il commento di un’altra autorevole personalità valdostana. A dedicare un suo scritto al Monviso di Forzo nelle pagine di Montagnes Valdotaines numero 143, periodico delle sezioni valdostane del Cai, è don Paolo Papone, parroco di Valtournenche, alpinista e guida alpina onoraria. Che a onor del vero con l’iniziativa del Monveso di Forzo sembra dimostrarsi poco in sintonia.
Premessa necessaria. Il contributo del clero valdostano alla nascita dell’alpinismo e allo sviluppo del turismo è uno dei temi che don Paolo sviluppa abitualmente nelle sue serate raccontando la storia di un grande predecessore in tonaca, il sacerdote alpinista valdostano Amé Gorret – chiamato anche l’Ours de la montagne – e dell’amico Jean-Antoine Carrel, che il 17 luglio 1865 compirono la prima ascensione dal versante italiano del Cervino. La competenza del parroco di Valtournanche in materia di turismo e di etica alpinistica è dunque fuori discussione.
E’ dunque comprensibile che, a proposito dello scritto di don Paolo, si attenda con una certa curiosità un riscontro del Comitato promotore della “montagna sacra”. Comitato che comprende dieci rispettabili esperti tra i quali lo scrittore Enrico Camanni e l’antropologo Duccio Canestrini; mentre tra i primi sottoscrittori risultano il climatologo Luca Mercalli, l’esploratore/scrittore Franco Michieli, il filosofo Francesco Tomatis, l’alpinista scrittore Alberto Paleari.
“Una Montagna Sacra: in che senso?” è il titolo dell’articolo di don Paolo, ne esprime alla perfezione le perplessità. In un clima di amichevole dialettica quanto può contare il giudizio su una montagna ritenuta sacra espresso da un sacerdote alpinista che sul concetto ha idee, come dire, ben consolidate? “Ben vengano le opinioni, favorevoli, perplesse o contrarie, scopo primario della proposta è far discutere” osservò d’altra parte uno dei fautori dell’iniziativa commentando un articolo in MountCity che nel suo piccolo sull’argomento si cimentò in riserve risultate poco gradite, facendo indispettire gli ideatori. Ora che la “montagna sacra” è una realtà è bene però che se ne possa discutere serenamente.

“Lo scrivente è prete e guida alpina onoraria, per questo vorrebbe portare il suo contributo nella discussione sulla possibile individuazione di una montagna sacra”, è la premessa di don Paolo Papone nel periodico delle sezioni valdostane del Cai. “E’ vero che si sta ragionando in una prospettiva laica e non religiosa, ma credo che la radice religiosa possa essere molto utile per comprendere meglio il senso semplicemente umano di tale scelta”.
La principale perplessità riguarda secondo il religioso l’accezione del termine “sacro” come inaccessibile, sostanzialmente come “tabù” per cui l’uomo dovrebbe “porre dei limiti al proprio agire, alla propria invasività, per lasciare spazi esclusivi agli ‘altri’ viventi”. “Condivido in pieno il senso del limite”, precisa don Paolo, “ma non trovo educativo questo modo di viverlo. Molto meglio chiedere delle condizioni per frequentare quel luogo, e le condizioni sono di farlo in un clima di silenzio e di non lasciare tracce del passaggio umano”.
“Il sacro non ammette manipolazioni”
Il sacro, fa presente don Paolo nel suo scritto, non ammette manipolazioni, tanto è vero che nell’Antico Testamento l’altare andava costruito con pietre non tagliate, non modificate da mano d’uomo: nel tempio, nella parte più interna, dove non c’era più nulla, non poteva entrare nessuno se non il sommo sacerdote. Ma i cristiani si riconoscono tutti rivestiti della dignità sacerdotale in virtù del battesimo, per cui la zona del sacro è abitabile da tutti, a condizione che le modalità dell’abitare realizzino la funzione del sacro, che è quella di mettere in contatto con il divino.
La montagna scelta come sacra dovrebbe, ad avviso del religioso, diventare l’occasione di una avventura interiore. E non dovrebbe portare tracce del passaggio umano. Non solo niente immondizie, ma anche niente spit, corde fisse o altro.
Don Paolo approva in ogni modo la scelta del Monveso di Forzo come montagna sacra. “L’ormai storica Guida dei Monti d’Italia (E. Andreis, R. Chabod, M.C.Santi, Gran Paradiso Parco Nazionale, 1980, pp. 502-504)”, conclude don Papone, “censisce solo due chiodi nella via più difficile, e forse potrebbero essere eliminati usando le attuali protezioni veloci. Non astenersi, non restare lontani, ma abitare l’ambiente con rispetto, e camminare dentro di noi. E tutto questo perché – come diciamo tra alpinisti – vogliamo vivere di più, vogliamo sentirci più vivi”. (Ser)