Le ragazze del soccorso alpino

Alessia Guanella, 47 anni, maresciallo della Guardia di Finanza, è specializzata in soccorso alpino. Ha la responsabilità di una squadra, dipendono da lei altri militari, quasi tutti uomini. A un cronista del quotidiano La Stampa ha raccontato soddisfazioni e difficoltà del suo non facile ruolo che si accompagna a sempre nuovi riconoscimenti riservati alle donne che scelgono di assumere importanti responsabilità nel lavoro e nel sociale.

Ma chi è stata la donna che per prima ha organizzato una struttura del soccorso alpino sulle Alpi? Il suo nome è Vera Cenini Lusardi. Di lei riferisce il libro “Soccorsi in montagna” di Roberto e Matteo Serafin, premio speciale della giuria al Premio Mazzotti “Giuseppe Gambrinus” del 2005. 

Va premesso che aveva 22 anni Vera quando la passione per l’alpinismo le giocò un pessimo scherzo. Il destino era in agguato in quell’estate del ’46, tra le placche di granito di punta Sertori. La corda di canapa non fu in grado di reggere lo strappo violento e il suo volo si concluse su una cengia, in un lago di sangue. 

Alessia Guanella, 47 anni, maresciallo della Guardia di Finanza, specializzata in soccorso alpino, in un’immagine tratta da un filmato de La Stampa. In apertura la valtellinese Vera Cenini, prima donna nella storia a organizzare una stazione di soccorso (arch. MountCity)

Vera era lucida mentre la guida Virgilio Fiorelli coadiuvato da alcuni pastori riescì a riportarla a valle, all’albergo dei Bagni. Talmente lucida che chiese caparbiamente di bere per compensare la disidratazione che se la sta portando via. Forse fu questo attaccamento alla vita a evitarle il fatale collasso nella “golden hour”, in quella fatidica, interminabile prima ora piena d’incognite che i soccorritori considerano decisiva per la sopravvivenza dell’infortunato. 

Vera era giovane, riprese rapidamente la corsa incontro alla vita. Con le sue gambe, per fortuna, e soprattutto con il suo temperamento. L’alpinismo? Gli amici vorrebbero sospingerla a riprendere la cordata interrotta sulle placconate di granito che delimitano le aule di questa severa “università dell’alpinismo”. 

La magia di quel mondo di pietra sta per catturarla di nuovo. Perché esitare allora? In realtà ciò che conta per Vera, quasi una battaglia da combattere, è impegnarsi perché l’avventura su quei graniti possa continuare con minori incognite. Ora sente che deve scuotere il mondo dell’alpinismo facendo risuonare con forza le campane della solidarietà.

Organizzarsi, questo bisogna fare: mentre i fortissimi dell’arrampicata moltiplicano i tentativi e i rischi su quelle pareti, il soccorso fa ben poco per uscire da una fase pressoché primordiale.

E’ poco più che una bambina quando, tredicenne, davanti all’albergo dei Bagni condotto dal nonno, sfilano le spoglie di Molteni e Valsecchi, sfortunati compagni di Riccardo Cassin, Vittorio Ratti e Ginetto Esposito nella tormentata conquista della parete nord est del Badile. “Poco prima dei funerali ho visto un signore che, scuotendo la testa, infilava in una delle bare un chiodo da roccia. Ho saputo più tardi che quello era Cassin”.

Ha i capelli raccolti in treccine Vera quando nella Valmasino le arriva l’eco dei sommessi singhiozzi per la tragedia di Punta Rasica che nel 1938 si consumò nell’impotenza e forse nell’imperizia dei soccorritori. Quante volte ne ha sentito parlare, quante volte ha visto gli amici della valle scuotere la testa nel ricordarne l’assurdità vissuta come un evento ineluttabile, da consegnare al “martirologio” che Lo Scarpone puntualmente riportava in prima pagina. 

Vera Cenini con il grande alpinista Riccardo Cassin (ph. Serafin/MountCity)

No, non era scritto nelle stelle il martirio a cui erano andati incontro alcuni appassionati milanesi di alpinismo la cui preparazione si era rivelata inadeguata, morti durante un tragico bivacco a poche centinaia di metri dalla salvezza. Basta. Negli anni della rinascita dopo gli anni bui della guerra, se non proprio del boom economico, arriva il momento di chiamare a raccolta gli uomini più dotati della valle, e anche dei “foresti” purché dotati di risorse economiche. 

Così nel magazzino dei Bagni dove offrirà dal ‘56 fino agli anni Novanta prove esemplari della sua sapienza di albergatrice, Vera accumula materiali per il soccorso: corde, barelle, confezioni di medicinali. Ora finalmente c’è tutto l’indispensabile armamentario dei soccorritori. Che non esclude purtroppo l’immancabile e pietoso “sac à cadavre”. Per mantenere e aggiornare questo piccolo patrimonio Vera non esita a fare leva sulla generosità di clienti facoltosi (e di sicuro lo sono i suoi affezionati clienti, in gran parte della ricca borghesia di Lecco, Como, Brianza e dintorni). 

Prima donna nominata membro del nascente Corpo nazionale del soccorso alpino, come capostazione nella sua vallata esercitò questo ruolo con passione ed eclettismo. Proprio negli anni in cui un’altra benemerita, Clara Runggaldier, si metteva a disposizione dei Catores e delle organizzazioni di soccorso con una ricetrasmittente in appoggio a quelle ufficiali, avvertendo all’occorrenza e mobilitando gli uomini delle squadre, ma anche facendosi portavoce di quanto stava succedendo con i parenti angosciati e con la stampa. 

Manicaretti, simpatia, accoglienza impeccabile, garbo, eleganza. Vera sapeva come conquistare i clienti in quel grande albergo che solo dall’esterno poteva suggerire, nel rigore della facciata pietrificata, un certo senso di freddezza. Le stagioni erano brevi e intensamente vissute in un décor d’altri tempi che facilmente conquistò le simpatie dei puristi della montagna mentre altrove le località alpine subivano l’assalto consumistico del popolo delle settimane bianche. 

Solo se la meteo è avversa, il tempo non sembrava mai passare. E allora nelle giornate di pioggia i passatempi nei confortevoli saloni erano non di rado finalizzati alla raccolta di fondi per il Soccorso. Quell’albergo Vera lo aveva ereditato dal nonno. Una parte dell’edificio risaliva addirittura al 1700, l’epoca a cui si fa risalire anche la magica faggeta nella cui suggestiva penombra s’immerge. Lassù la piccola Vera la portarono da Morbegno che era ancora in fasce, aveva appena venti giorni. Nel suo attaccamento alla Valmasino di cui nel 1978 le venne conferita la cittadinanza onoraria, s’intrecciano questi motivi familiari e tutta la sua smisurata passione per l’alpinismo. 

Da ragazza ha un rapporto di amicizia con la guida alpina Virgilio Fiorelli a cui nel 35 la Società degli escursionisti milanesi affida la custodia della capanna Omio. E’ con lui che Vera si esalta facendosi condurre più volte sulla punta Milano e su altre vie di roccia che contornano la valle dell’Oro. Ma la montagna non è il solo grande amore di questa ragazza atletica dall’aria dolce e risoluta. La sua giovinezza è tutta improntata da un’assoluta dedizione per la vita altrui. E’ crocerossina all’ospedale di Morbegno durante la guerra, ma la sua presenza in corsia non è fatta solo di garze e iniezioni. E’ merito suo se vengono sottratti alle rappresaglie delle camicie nere alcuni ragazzi affidati alle sue cure. Ed è pronta a rimboccarsi le maniche nel dopoguerra quando si tratta di ricostruire in Valmasino i rifugi cancellati dalla furia delle armate del führer in ritirata.

Violini e champagne, frivolezze di un turismo di élite, squisitezze culinarie: ai Bagni le vacanze sono di favola, ma appena fuori quel mondo di pietra rimanda alle grandi e spesso drammatiche sfide con la  montagna. E Vera come si è visto non perde tempo. All’Albergo dei Bagni nasce negli anni Cinquanta il collegamento via radio con i rifugi Omio e Gianetti, avamposti di quella lotta con l’alpe che qui si colora spesso di epopea. 

Tutti i giorni puntualmente Vera si collega con l’amico Dino Salis che sull’altro versante del Badile, in val Bondasca, tiene sotto controllo le cordate dirette alle Sciore, al Badile, al Cengalo. E’ intuibile che in piena stagione quel telefono rosso squilli in continuazione, anche trenta volte al giorno. Da grande professionista, da impeccabile padrona di casa, Vera riesce a mascherare dietro l’amabile sorriso il turbamento per le cattive notizie che le arrivano dalla montagna, e l’affanno per quella corsa contro il tempo che scatta proprio dai raffinati saloni dei Bagni. 

Gli alpinisti, i grandi dell’alpinismo, le sono tutti vicini, con affetto. A cominciare da Riccardo Cassin, il conquistatore della nord-est del Badile che per lei è più di un amico, è un fratello maggiore. Nel 1965 entra ufficialmente nel Corpo nazionale del soccorso alpino, prima donna in Italia. Nel 1975 viene nominata capo stazione onoraria del Soccorso di San Martino in Val Masino ed è fino al 1991 membro volontario emerito.

Nella corsa alla vita sulle onde della radio è anche capitato che l’angelo della Val Masino abbia perso la partita. Il mese di aprile del 1959 resta tenacemente legato al ricordo di quattro ragazzi poco attrezzati, saliti lungo il vertiginoso Spigolo Vinci al Cengalo. “Ero a Morbegno quando ho saputo che da due giorni non c’erano notizie di loro. Mio marito mi portò subito in Valmasino. Nevicava e in alto c’era bufera, le squadre di soccorso alla Gianetti hanno potuto fare poco e, dopo oltre dieci giorni sono dovute rientrare. I quattro anziché trovarsi al Cengalo erano finiti sul versante settentrionale del Badile. D’estate Carlo Mauri, arrampicando su quel versante, ne ritrovò i corpi. Erano sepolti nella neve”. (Ser)

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