Segnavia / Elogio degli ometti

Gli ometti non sono piccoli uomini. Niente a che fare con gno­mi, nani e folletti. Per noi alpinisti gli ometti sono quelle pile di sassi accuratamente accatastati che tro­viamo sulla cima di una montagna, su un valico, ad un bivio, lungo un sentiero a confermare la via. Se ci sono è perché qualcuno li ha eretti, da lì sono passati una donna o un uomo che hanno confermato una presenza mettendo un sasso sopra l’altro. 

I segnavia bianco-rossi di vernice sono cosa recente, è una pratica per “segnare il territorio” ad uso escursionistico, il segno di un nuovo uso ricreativo della mon­tagna. Gli uomini delle terre altre non sono mai andati in montagna per piacere, solo per lavoro, per commercio o per andare a pregare. Su questi percorsi tracciati nei seco­lo, la presenza di un ometto, la cui realizzazione non costava niente, era un atto di solidarietà per chi sa­rebbe venuto dopo. Magari bagna­to e nella tormenta, avvolto dalla nebbia e in fuga dai fulmini. 

Tutti gli alpinisti hanno vissuto la gioia rasserenante, quando non sai più da che parte andare, dell’in­contro con un ometto che ti in­dica la via. 

Gli ometti sono diversi dai cip­pi di confine che segnano una separazione, di qua comando io, di là comandi tu. Gli ometti sono un simbolo di unione, di­cono che puoi proseguire, che sei arrivato ad una meta, che puoi andare oltre. 

Questo in tutto il mondo: da­gli altipiani del Tibet ai sentie­ri himalayani, dalle pianure in quota sulle Ande alle montagne d’Europa. Gli uomini li han­no fatti da sempre, solo dopo, molto dopo, vi hanno messo le croci. Ho amici alpinisti che, quando in estate vanno al mare con la famiglia, per passare il tempo sulla spiaggia costrui­scono ometti, come fossero in montagna.

Paolo Crosa Lenz

da Lepontica 19, maggio 2022

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