Letture / L’ultima sfida di “don Slavina”
Lo chiamavano “don Slavina”. Il 2 dicembre 2009 don Claudio Sacco morì nelle Dolomiti sotto una valanga che lui stesso probabilmente ha provocato durante un’escursione notturna solitaria tagliando un ripido costone con gli sci. Era parroco di Mas-Peron, a Sedico, un paese ai piedi delle Dolomiti bellunesi. Dicono che nessuno riuscisse a tenerlo a freno nonostante i suoi 65 anni. Alla prima nevicata era subito in montagna. Non sulle piste, ma giù per canali ripidi e stretti, in quella rischiosa pratica che è lo sci estremo.

Don Claudio Sacco (1945-2009). In apertura una veduta invernale del Passo Giau dove il sacerdote perse la vita.
A don Claudio ha dedicato un libro Fabio “Rufus” Bristot, illustre personalità del Soccorso alpino, tra i maggiori esperti di neve e valanghe. In “Don Claudio e la luna” è racchiusa la vicenda umana del sacerdote che fu ai vertici dello scialpinismo dolomitico. Si tratta di un racconto a più voci, fatto da chi ebbe modo di conoscerlo. Al religioso si devono molte prime discese su montagne famose quali la Tofana di Mezzo da Ovest, il Pelmo per la fessura Nord o il Cristallo.
C’era anche Bristot tra i 130 uomini del soccorso alpino con dieci cani da valanga che quella notte si parteciparono alla ricerca del sacerdote. Il suo corpo fu trovato dopo due giorni sotto un metro di neve, travolto da un costone staccatosi dal Monte Pore, 2.405 metri, sul versante del Passo Giau opposto a quello di Cortina. La valanga era scesa per 800 metri, un fronte di 700, profonda in alcune zone di accumulo anche tre. Non una pendenza estrema, ma con un rischio marcato che i bollettini indicavano con il grado 3.
“Deve avere qualche santo in paradiso”, dicevano a Cortina parlando di don Claudio quando dalla funivia vedevano quel puntino con gli sci in mezzo alle rocce. E proprio sulla Tofana di Mezzo, un budello verticale strettissimo senza un nome sulle cartine dove a stento entra un paio di sci (che da Ra Vales sbocca nella famosa pista del Canalone), è da tutti chiamato “il canalino del prete”: fu il “don” infatti a percorrerlo per la prima volta.
Quel “don Slavina” il sacerdote se lo era trovato cucito addosso perché spesso era lui stesso a cercare di provocare le valanghe, montandoci sopra, spingendole dall’alto, per poi scendere sicuro nello stesso canalone che aveva fatto scaricare. Questa volta invece i soccorritori videro le tracce dei suoi sci entrare proprio nella slavina. Era salito in vetta al Pore da solo nella notte per godersi l’incantevole spettacolo della luna piena sul vastissimo orizzonte bianco a 360 gradi.
“Lo ricordo con grande simpatia”, spiega Bristot. “Nel mio libro sono riportate le vicende di quell’ultima notte. E c’è anche una notevole serie di scatti realizzati da Virgilio Sacchett che era a sua volta salito a godersi il plenilunio. Oggi chi sale il monte Pore trova un’edicola di legno con la scritta ‘Ti ringrazio per essere venuto a trovarmi’, incisa sulla croce addossata a un tronco, sulla sella a metà della cresta orientale. E’ dedicata a don Claudio, “amante delle montagne e delle sue genti”. (Ser)
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