Storie in bilico / La “paurosa avventura” di Maestri e Eccher
Cinquant’anni anni fa ci lasciava Dino Buzzati (1906-1972). Coglie lo spunto dalla ricorrenza Enrico Camanni per dedicare allo scrittore alpinista bellunese, insieme con Matteo Bellizzi e Lara Giorcelli di Bottega Miller, l’apertura del suo nuovo podcast “Storie in bilico”. “Si tratta di un appuntamento mensile di storie eccezionali e contro corrente”, spiega Camanni, “perché chi sfida la gravità va sempre in direzione contraria. In montagna comanda il pendio. Il salire è azione ribelle perché sovverte le leggi della fisica”.
Sfruttando le suggestioni del podcast, questa nuova forma di comunicazione sempre più diffusa sul web, Camanni ci accompagna alla scoperta di storie rocambolesche, coraggiose, disperate giocate sul crinale tra volontà e fatalità. E non c’è dubbio che Buzzati si sarebbe divertito moltissimo con le nuove tecnologie di oggi. Solo un’invenzione non l’avrebbe forse stupito più di tanto, quella dello smartphone, un oggetto che lui stesso aveva già immaginato in un racconto in cui il protagonista si risveglia nella Milano del terzo millennio invasa dai “teletini”, telefoni-televisori tascabili con i quali è possibile parlare e vedersi entro un raggio di trenta chilometri. “Una moda diventata una sorta di frenesia”, spiegò Buzzati con preveggenza quasi mezzo secolo fa.
Una sconfinata ammirazione è in ogni modo quella che lega Camanni a Buzzati al quale dedicò nel 1989 l’antologia “Le montagne di vetro: articoli e racconti dal 1932 al 1971” (Torino, Vivalda). La “paurosa avventura” raccontata da Buzzati nella prima delle “Storie in bilico” risale all’estate 1954 nelle Dolomiti di Brenta. Cesare Maestri e Luciano Eccher si trovano sulla parete nord ovest del Campanile Basso, letteralmente sospesi tra la vita e la morte. Il resoconto di Buzzati apparve sul Corriere della Sera con il titolo “Taglia, taglia che almeno tu ti salvi”: questo l’invito lanciato a Maestri da Eccher, secondo di cordata, rimasto incrodato e nell’impossibilità di muoversi a dispetto dei disperati tentativi di Maestri per recuperarlo.
“Benché estremamente difficile”, racconta Buzzati, “quella scalata non era troppo preoccupante per Maestri che ne aveva fatte anche di peggio e per di più da solo, con prodigi di coraggio e di raffinati acrobatismi. In quanto a Eccher, era un compagno degno di lui e affiatatissimo”.
“Dopo una delicatissima traversata sull’orlo di uno strapiombo spaventoso”, prosegue il racconto di Buzzati, “Maestri approdò a un piccolo ma sicuro terrazzino. Gli restavano sì ancora 200 metri di parete, ma assai meno impegnativi. La vittoria per così dire, era già in tasca. Meno male, perché la notte stava avvicinandosi e si era messo a nevicare. Maestri piantò tre chiodi assicurandovi la corda e poi disse al compagno di venire.
“Eccher compì la traversata e giunse quasi al terrazzino. Maestri, che via via ritirava la corda, vide spuntare la sua testa, e lo calcolava già al sicuro quando fulmineamente il fatto accadde. ‘Luciano mi guardava sorridendo, – racconta Maestri, – ma all’improvviso ha fatto una curiosa smorfia come se fosse seccato, poi è sparito sotto’. Eccher si sosteneva a una staffa con tutto il peso quando il chiodo si staccò. Le mani non avevano presa sufficiente. Fece un volo. Di sotto non c’era che il vuoto”.
Per farla breve, il recupero del compagno si rivelò per Maestri impossibile e solo il provvidenziale arrivo di una cordata con Bruno e Catullo Detassis poté sbloccare la situazione quando già Eccher aveva lanciato quel drammatico invito al compagno, quel “taglia, taglia” rimasto per fortuna inascoltato. “Alle 9 del mattino finalmente Eccher toccò il terrazzino”, conclude Buzzati. “Era pallido come la morte, ma ancora in buone condizioni. ‘Fa un curioso effetto – disse – rimettere i piedi sulla terra’. Era rimasto appeso nel vuoto, in maniche di camicia, con un tempo da lupi, 13 ore giuste”. (Ser)