Medicina di montagna / Gli effetti del cambiamento climatico
Il cambiamento climatico e la montagna che sta causando problematiche in diversi ambienti è stato il tema del Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina di Montagna che si è svolto sabato 25 settembre 2021 a Torino al Museo Nazionale della Montagna. La montagna rappresenta sicuramente uno dei punti critici dove gli effetti di questo cambiamento risultano particolarmente amplificati. L’ambiente montano potrebbe essere definito un sensore naturale del cambiamento climatico altamente sensibile e specifico, anche in relazione alla recente pandemia da Covid-19. La Società Italiana di Medicina di Montagna ha, quindi, pensato di organizzare un convegno su queste tematiche di estrema attualità. Ne riferisce il dottor Giancelso Agazzi, vice presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna.
Come e dove sale la temperatura
Primo relatore al congresso di Torino è stato Antonio Prestini, medico igienista e guida alpina di Tione di Trento. Ha parlato di “Cambiamento climatico e frequentazione della montagna nell’era post-Covid-19”. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento della temperatura del pianeta. In provincia di Trento si è registrato un aumento della temperatura di quasi 2°C dall’era pre-industriale (1850-1899).
Le nevicate in Trentino hanno avuto una forte riduzione media negli ultimi decenni. Nel periodo 1991-2017 si stima un calo del 38% circa delle nevicate invernali rispetto al periodo 1961-1990. Tale fenomeno è imputabile all’aumento delle temperature, che ha contribuito all’innalzamento del limite delle nevicate.
Prestini ha, poi, illustrato la campagna vaccinale nella provincia di Trento con l’esperienza del drive through, la modalità del test diagnostico per il coronavirus eseguito direttamente dalla propria auto. Tale procedura ha fatto aumentare il flusso di pazienti vaccinati.
Ghiacciai tra presente e futuro
È seguita la presentazione dal titolo “Cambiamenti climatici ed effetti sui ghiacciai: presente e futuro” a cura di Jean Pierre Fosson, segretario della Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur. Missione della Fondazione è il consolidamento e lo sviluppo della sicurezza in montagna, con particolare riguardo ai rischi naturali. Il territorio valdostano si trova per oltre il 30% al di sopra dei 2500 metri di quota e per l’8% al di sopra dei 3000 metri. Circa il 3,5% è ricoperto da ghiacciai, che sono in totale centosettantacinque. Questi ultimi si sono ridotti del 18% in circa 13 anni, con una riduzione annua di 1.6 chilometri quadrati.
Il catasto dei ghiacciai valdostani ha censito 216 ghiacciai nel 1999, 209 nel 2005 e 175 nel 2019. Il progetto “Thoulalab” è un laboratorio glaciologico a cielo aperto per lo studio della criosfera con l’intento di studiare le conoscenze sulla disponibilità della risorsa idrica e della divulgazione di una cultura dell’acqua.
Valanghe e scenari evolutivi
Gli scenari evolutivi prevedono un’accelerazione della scomparsa dei ghiacciai. È prevista la scomparsa del 90% dei ghiacciai dell’area del Monte Bianco entro il 2090, con una riduzione della quantità di acqua immagazzinata sotto forma di ghiaccio.
Già nel 2050 il paesaggio sarà molto modificato. I rifugi potranno andare incontro a difficoltà nell’approvvigionamento idrico. È prevista una graduale riduzione del manto nevoso nei fondovalle e sui versanti meridionali fino a 2000 metri, con una riduzione di 4-5 settimane rispetto al periodo attuale e di 2-3 settimane a 2500 metri. Le valanghe saranno di tipologia diversa con neve bagnata a quote più basse. La degradazione del permafrost porterà ad una destabilizzazione delle pareti rocciose.
Per far fronte a questi cambiamenti si stanno accentuando le iniziative di cooperazione transfrontaliera e internazionale, potenziando le reti tematiche di ricerca. Gli studi scientifici aumentano per acquisire sempre maggiori conoscenze e applicare le migliori tecnologie. Si è provveduto a un piano di monitoraggio dei rischi glaciali (ghiacciaio di Planpincieux e seracco Whymper delle Grandes Jorasses).
La comunicazione del rischio
Occorre insistere sull’educazione del cittadino e del turista e sulla resilienza di comunità e sul ruolo centrale della strategia di comunicazione del rischio. Le ondate di calore potrebbero favorire un aumento del flusso turistico verso luoghi con “maggiore benessere climatico” in montagna con conseguenti nuove occasioni di ripopolamento e di maggiore richiesta di servizi. È seguito a Torino l’intervento di Luca Mondarini, glaciologo, dal titolo “ I cambiamenti climatici e la montagna nel 2021”.
Si sta assistendo a un aumento della temperatura, con una ridistribuzione delle precipitazioni. La quota della neve si sta innalzando. Si verifica un aumento della siccità estiva. I fenomeni estremi (bombe di acqua) stanno aumentando di frequenza e di intensità. Le valanghe cadono anche in stagione estiva. Per affrontare queste problematiche è utile un confronto con la popolazione. Occorre dare un’impronta scientifica. Molto importante è il ruolo della comunicazione.
Affidarsi alle App
Massimo Martinelli di Pisa ha presentato una relazione dal titolo “Il mondo delle App e la Montagna”. Le App, applicazioni per i cellulari o per smart phone, possono rappresentare un valido aiuto in caso di emergenze per chiamare il 112. Vari i tipi di App che si possono utilizzare in montagna. Possono servire per geolocalizzare una persona. Esistono App nel campo della medicina in grado di fornire consigli e suggerimenti, o App di sopravvivenza. È utile avere con sé una batteria ausiliaria.
Alcune App forniscono le previsioni meteo, altre come fare i nodi o come fare le tecniche di segnalazione, oppure mappe della sentieristica, con altimetro o bussola o sulla sostenibilità ambientale o lo smaltimento dei rifiuti. È bene scaricare le App prima di partire per un’escursione. Non tutte le zone di montagna sono coperte dalla rete telefonica.
Macro e microplastiche
Al Museo della Montagna ha preso la parola Roberto Ambrosini, ricercatore dell’Università di Milano con una presentazione dal titolo “Una montagna di plastica? Diffusione e distribuzione della contaminazione da macro e microplastiche negli ambienti di alta quota”. Tramite la spettroscopia all’infrarosso è stato possibile analizzare alcuni campioni di sedimento proveniente dal ghiaccio dei ghiacciai alpini per trovare particelle di plastica (74 particelle di microplastica per chilogrammo di sedimento). Queste particelle provengono dall’attività turistica, dall’abbigliamento tecnico e dall’attrezzatura da montagna. Le microfibre vengono rilasciate nell’ambiente anche dopo dieci lavaggi. Si verificano fenomeni di abrasione e di lento rilascio delle sostanze plastiche. La frammentazione in loco della macroplastica può originare microplastica (camp base dell’Everest, mer de glace). Uno studio è stato effettuato nell’estate/primavera 2020 per indagare la presenza di macroplastica in alcuni ghiacciai alpini (cima di Solda, Tre cannoni, Cevedale, ghiacciaio dei Forni, Punta Indren, capanna Gnifetti, Breithorn). Sono stati ricavati 7 transetti.
La composizione polimerica della macroplastica è simile a quella della microplastica. Esistono aspetti positivi ed aspetti negativi (aggrovigliamento, ingestione). Non è attualmente possibile dare una risposta chiara e univoca.
Non sono ancora noti gli effetti delle microplastiche sugli organismi viventi. Nell’uomo le microplastiche sembrano avere una bassa citotossicità ed un effetto stimolante sul sistema immunitario. La contaminazione da plastica ha raggiunto anche gli ambienti glaciali. La maggior parte della macroplastica proviene dal packaging (involucri destinati all’alimentazione). Va evitato l’abbandono della plastica in montagna, favorendone la raccolta attraverso campagne di sensibilizzazione in ambito CAI.
Quali disagi per gli anziani
Franz de la Pierre, geriatra valdostano, ha parlato dell’”Anziano in montagna alla luce del cambiamento climatico”. L’invecchiamento è un processo biologico caratterizzato da cambiamenti età-dipendenti che comportano per l’organismo una diminuzione continua e progressiva della capacità di adattamento all’ambiente e una conseguente diminuita probabilità di sopravvivere, una crescente probabilità di morire, ovvero un’aumentata vulnerabilità.
Nel 2030 oltre il 20% della popolazione si troverà al di sopra dei 65 anni. Il 60% degli individui che svolgono attività fisica nelle Alpi ha più di 40 anni, il 20% più di 60 anni. Ogni anno oltre cinque milioni di senior raggiungono quote superiori ai 2000 metri. I cambiamenti climatici provocano disagi agli anziani. L’healthy aging dipende da caratteristiche individuali e genetiche. L’anziano va incontro ad una maggiore perdita di calore (termodispersione) poiché la termoregolazione è alterata. I molteplici sistemi di adattamento coinvolto nella termoregolazione (cute, sistema endocrino, nervoso, muscolare, cardiovascolare) sono meno efficienti. La presenza di malattie croniche accentua la differente risposta della termoregolazione. L’assunzione di farmaci può influire in modo negativo sui processi di termoregolazione.
Vi sono una ipoperfusione tissutale ed una minor sudorazione. Il senior è meno pronto ad andare incontro a un rapido cambiamento di temperatura. Nell’anziano si verifica una minore percezione del pericolo rappresentato dalle alte temperature per disturbi cognitivi, per condizioni socio-ambientali, per abitudini inveterate, per pregiudizi. L’aumentata umidità, la persistenza nell’arco della giornata di elevate temperature, l’edilizia senza barriere e l’inquinamento dell’aria hanno un impatto significativo sul senior in montagna.
I colpi di calore
Un colpo di calore è 12 volte superiore nei soggetti che hanno più di 70 anni. Vi è una maggior difficoltà nel trovare un momento di recupero. La montagna rappresenta una sfida per il futuro degli anziani, aiutandoli a capire il vissuto e potenziando i meccanismi di difesa e di resistenza. Importante una consultazione nell’ambito della medicina di montagna. Si deve tener conto dei farmaci che vengono assunti (inibitori della pompa protonica, diuretici, antipertensivi, immunosoppressori, neurolettici, benzodiazepine).
L’incidenza degli effetti indesiderati della vaccinazione contro la febbre gialla sul sistema nervoso o su altri organi è pari a 0.4-0.6 casi su 100.000 dosi per i giovani adulti e all’1.8 casi su 100.000 dosi per i soggetti con età maggiore a 65 anni.
Tra le strategie da adottare per l’anziano un’educazione sanitaria di prevenzione, una programmazione dei servizi socio-sanitari e di quelli di emergenza e un’educazione alla lettura/interpretazione dei bollettini meteorologici. Occorre imparare dal racconto e dalla memoria autobiografica degli anziani il grado di resilienza messa in pratica. Importante per il futuro da parte dei vari operatori sanitari con l’intento di garantire loro la montagna quale importante luogo confortevole per la salute.
Benefici in tempo di Covid
Antonello Venga della Commissione Centrale Medica del CAI e Antonino Cucuccio hanno parlato della “Frequentazione della montagna nell’età tra 0 e 14 anni”. Importante il ruolo della famiglia che deve dedicare quanto più tempo possibile al rapporto con i figli. Ci si può servire delle emozioni quali mezzi educativi per il bambino. Il covid-19 ha provocato conseguenze psicologiche su bambini e adolescenti (disturbi del sonno, ansia, alterazioni dell’umore, ostacoli alla creatività ed alla fantasia, somatizzazione dei disagi in età adolescenziale, riflesso delle reazioni dei genitori alla pandemia, conseguenze del forzato isolamento nella scuola e nelle attività ricreative, quotidianità familiare alterata).
La frequentazione della montagna procura benefici in tempo di Covid-19, procurando benessere psicologico e fisico. La consapevolezza della sostenibilità ambientale può venire trasmessa dai genitori ai figli. Importante il ruolo della sicurezza per i bambini che affrontano l’ambiente alpino e i cambiamenti che la pandemia ha determinato. Importante anche la presenza dell’Alpinismo Giovanile del CAI.
Le valanghe si trasformano
Igor Chiambretti ha, poi, presentato una relazione dal titolo “Quali sono le implicazioni del cambiamento climatico sugli incidenti da valanga?”. A partire dalla metà degli anni ’80 si è assistito a un evidente aumento della temperatura dell’aria sulle Alpi Italiane con alcune fluttuazioni e con risposte diverse in base all’orografia. Il relatore ha sottolineato la riduzione progressiva del manto nevoso alle basse quote, con conseguente progressivo aumento della quota della neve sciabile (1700-1800 metri).
Si segnala una variabilità stagionale e mensile tra le singole stazioni invernali. Alcune di queste spariranno. I quantitativi cumulati annuali di precipitazione non sono variati in modo significativo, mentre è diminuito il numero degli episodi di precipitazione. Si assiste a un’alternanza di stagioni con caratteristiche climatologiche molto diverse. Negli ultimi 30 anni il 2008 è stato l’anno, dopo il 1950, con anomalia positiva maggiore. Il periodo dal 1970 al 1980 presenta stagioni prevalentemente nevose. Vengono segnalate anche differenze tra settori della catena alpina. Il periodo primaverile vede, nel corso degli ultimi anni, una forte riduzione delle nevicate ed una fusione del manto nevoso notevolmente anticipata e più rapida. Sempre più frequentemente vengono descritti episodi di pioggia sull’ambiente innevato. Si nota un sensibile aumento dell’intensità del vento e del numero di giornate con venti piuttosto forti. Si nota un sostanziale incremento delle valanghe con neve umida/bagnata.
L’aumento degli incidenti in valanga
Il sistema si sta dunque estremizzando. Si nota una mancanza di consapevolezza dei rischi. Il numero di sci-alpinisti con poca conoscenza dei rischi della montagna e che non vogliono essere informati è aumentato notevolmente, soprattutto dopo la pandemia di CoVid-19. Si tratta di un grosso problema culturale che è difficile gestire. Molti incidenti in valanga non vengono segnalati per timore di problemi di tipo legale. Gli incidenti mortali sono meno numerosi (diffusione dei DPI e miglioramento delle tecniche di soccorso) rispetto a quelli con feriti. Gli incidenti in valanga sono aumentati in modo significativo a partire dal 2000. Statisticamente le stagioni caratterizzate da innevamento scarso o discontinuo presentano un maggior numero di incidenti da valanga e di conseguenze mortali rispetto a quelle con innevamento abbondante e persistente. Gli incidenti accadono perché il manto nevoso presenta almeno uno strato fragile (creato dalle basse temperature e dal ridotto spessore del manto) che viene portato a frattura dalla presenza del travolto o di altre persone presenti in loco (valanga provocata nel 95% degli incidenti in Italia, valanga spontanea nel restante 5%). Per cercare di risolvere i problemi sarà opportuno usare più attenzione e consapevolezza. Importante il ruolo della formazione per meglio gestire la sicurezza in montagna.
Il futuro alle alte quote
Per il futuro si può ipotizzare per le basse quote un incremento degli eventi a precipitazione liquida, una riduzione della durata della copertura nevosa e dello spessore del manto nevoso, con forte riduzione della neve sciabile, con conseguenti difficoltà nella gestione e per la redditività delle stazioni sciistiche. Per le alte quote, invece, si prevede un possibile aumento dei quantitativi di precipitazione solida (anche estremi), con probabile riduzione del numero di eventi.
Potrà esserci una riduzione della durata della copertura nevosa con anticipazione della fusione primaverile, con oscillazioni interannuali della neve sciabile. Per quanto riguarda le valanghe in futuro si ipotizza per le basse quote un numero minore di incidenti con aumento di traumi da impatto con scenari di seppellimento più difficili da interpretare e risolvere per i soccorritori. Alle alte quote si prevede per il futuro un aumento di magnitudo degli eventi valanghivi con traumi da impatto, con scenari da seppellimento più difficili da affrontare per i soccorritori. Giornate caratterizzate da venti forti e tempestosi potranno compromettere la possibilità di soccorso mediante elicottero e la sicurezza delle varie operazioni.
Classificazione dell’ipotermia
Giacomo Strapazzon, vicedirettore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha parlato di “Nuove linee guida ERC 2021 su ipotermia accidentale e incidente da valanga: quali novità?”. Con il cambiamento climatico i rischi sono aumentati. Per questo occorrono prevenzione e promozione della sicurezza per evitare casi di ipotermia accidentale (calo involontario della temperatura corporea al di sotto di 35°C). L’ipotermia primaria si verifica quando la produzione di calore in un soggetto sano è sopraffatta da freddo eccessivo, specialmente quando le riserve di energia del corpo sono esaurite.
Con la diminuzione di un grado di temperatura corporea si assiste alla diminuzione del 6% del consumo di ossigeno. In caso di ipotermia occorre, nella fase pre-ospedaliera, isolare il paziente dal punto di vista termico, fare il triage e trasferire velocemente il paziente in ospedale. Strapazzon ha parlato della revisionata classificazione svizzera dell’ipotermia. La temperatura corporea può essere misurata sul terreno tramite un termometro esofageo, vescicale, rettale, epitimpanico.
Non si deve ritardare una attenta intubazione se indicata per garantire una ossigenazione adeguata ha più importanza di un minimo rischio di provocare una fibrillazione ventricolare. Si può ricorrere ad un’ecografia o agli ultrasuoni con Doppler per valutare il flusso sanguigno periferico. In caso di dubbio si deve partire immediatamente con la rianimazione cardio-polmonare (CPR). I segni vitali vanno controllati per più di un minuto, palpando un’arteria centrale e valutando il ritmo cardiaco tramite il monitoraggio dell’elettrocardiogramma, se possibile. L’ipotermia può determinare una rigidità della cassa toracica rendendo difficoltosi la ventilazione e le compressioni toraciche. Si può far ricorso ad un sistema di compressione toracico meccanico. Un cuore ipotermico può non rispondere ai farmaci.ma meccanico di compressione toracica. Durante la CPR si deve monitorare la temperatura corporea. Il metabolismo dei farmaci è più lento. Se la fibrillazione ventricolare persiste dopo tre defibrillazioni, si devono ritardare ulteriori tentativi finché la temperatura corporea non superi i 30°C. La bradicardia è fisiologica nell’ipotermia severa.
La sopravvivenza in ipotermia
Beat Walpoth, cardiochirurgo di Ginevra, ha presentato una relazione dal titolo: “International Hypothermia Registry & retrospective cohort study: how will climate change influence future results?”. Gli incidenti in montagna con ipotermia sono relativamente rari. Di solito sono associati ad arresto cardiaco con conseguente morte prematura. Uno studio multicentrico svizzero ha documentato la sopravvivenza di alcuni pazienti in ipotermia profonda in arresto cardiaco, riscaldati con un bypass cardiopolmonare. I casi di ipotermia grave possono essere curati facendo ricorso on ECLS (Extra-Corporeal Life Support) utilizzando un Bypass cardiopolmonare o l’ECMO. La creazione di un registro internazionale ha lo scopo di migliorare la conoscenza, la consapevolezza e il trattamento e la sopravvivenza dei casi di ipotermia accidentale profonda. Si tratta del primo database al mondo che si occupa della raccolta dei casi di ipotermia, diviso in quattro sezioni: demografica, pre-ospedaliera, ospedaliera e outcome data.
Tra i criteri di inclusione: i casi di ipotermia accidentale con temperatura corporea uguale o inferiore a 32°C, nessun limite di età o di sesso o di comorbidità, qualsiasi tipo di eziologia. Lo studio è per lo più prospettico, ma può essere anche retrospettivo (https://www.hypothermia-registry.org). Il Covid-19 ha influenzato i casi di ipotermia accidentale con presenza di più alpinisti locali, perché gli impianti sciistici in Svizzera sono stati aperti, con meno stranieri. I disastri naturali, lo scioglimento del permafrost e le inondazioni hanno causato casi di ipotermia. La percentuale di sopravvivenza è del 36%.
Il medico nepalese Budda Basnyat è intervenuto per presentare online una relazione dal titolo “Coronavirus outbreak in Nepal” che si è venuta a creare in Nepal a causa della pandemia.
Giancelso Agazzi