Montagnaterapia, il ruolo delle Scuole del Cai
Una riflessione sulla montagnaterapia allo scopo di fare chiarezza su alcuni punti è stata presentata dall’Istruttore di alpinismo del CAI Beppe Guzzeloni al convegno dei direttori delle Scuole di alpinismo lombardo che si è tenuto a Nembro il 16 ottobre 2021. Pubblichiamo il testo integrale per gentile concessione dell’autore.
Ringrazio la precedente e l’attuale commissione regionale che mi offrono la possibilità di dare a questa assemblea alcune informazioni riguardanti quell’esperienza originale che da alcuni anni sta attraversando la vita del nostro Sodalizio: la Montagnaterapia. E qui non voglio entrare nel merito né del termine né delle implicazioni cliniche e terapeutiche. Certo, non parlo di guarigione.
Parlo a voi, a noi, in quanto istruttori di alpinismo il cui ruolo è quello di accompagnare in montagna in modo professionale (sia dal punto di vista tecnico che relazionale) allievi e persone che si affidano a noi all’interno di attività sociali ben definite.
La MT è un’esperienza nata in silenzio a fine anni 80 e che pian piano ha acquisito più spessore e visibilità attraverso la voce e la passione di accompagnatori, istruttori, operatori di servizi socio-sanitari, di comunità terapeutiche e, soprattutto, mediante le storie e i percorsi di cura di utenti e pazienti.
Vi sono storie che scegli di raccontare, altre, invece, ti trovano, quasi ti stessero cercando. Altre ancora tornano da te dopo che le hai raccontate, ma sotto una luce diversa, rivelando parti che in precedenza non avevi colto. Come se ciò che avevi narrato era solo un frammento di un intero, lo squarcio presente che illumina ciò che è di là da venire. Sono quindi storie esigenti che pretendono sforzi ulteriori e chiedono di essere comprese nella loro complessità e nel loro significato più profondo.
Tutto ciò, nella mia esperienza di operatore sociale e istruttore di alpinismo, è il salto esistenziale che pazienti e utenti, con i quali ho condiviso salite in montagna, mi hanno portato a compiere a seguito di riflessioni e scelte operative riguardanti sia la mia professione che il mio ruolo all’interno del CAI.
Il 28 novembre 2015 il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo del CAI emise le prime Linee di Indirizzo sulle attività di Montagnaterapia con atto n.45 deliberando che:” la MT, nelle sue diverse forme e potenzialità, rientra fra le attività qualificanti e strategiche del CAI quale forma di volontariato attivo e solidale e come concreta dimostrazione dei principi di montagna per tutti e di promozione umana per tutti”
Nel febbraio 2017 il Comitato Direttivo Centrale del CAI istituì un apposito Gruppo di lavoro con il mandato di relazionare sullo stato dell’arte delle attività di MT all’interno delle Sezioni e sulle criticità incontrate. A tale scopo venne creato e utilizzato un questionario da somministrare a tutte le Sezioni i cui risultati indussero il Gruppo di Lavoro a presentare al Consiglio Centrale un documento che sfociò nell’emanazione di una prima versione di linee guida in materia di MT con la Circolare n.16/2019.
Vorrei anche ricordarvi che nel febbraio di quest’anno sono stati inviati questionari relativi alla MT a tutte e le 56 Scuole di Alpinismo. In 22 hanno risposto di cui 10 hanno riferito di effettuare attività di MT
In seguito la Commissione Centrale Escursionismo ha approvato il documento (Indicazioni Operative) riguardante le attività di Montagnaterapia nel CAI, prodotto dal nuovo Gruppo di Lavoro costituito a marzo 2020 e insediato il 13 maggio dello stesso anno, su mandato del Comitato Direttivo Centrale. Il gruppo di lavoro è composto da 8 soci impegnati da anni in progetti di MT: nel pieno rispetto della trasversalità sono rappresentati tutti gli ambiti in cui viene effettuata. Il documento è il frutto sia dell’esperienza sia della riflessione dei componenti il cui confronto è stato aperto anche al contributo di altri soci.
“Le indicazioni operative” vogliono essere integrazione alle Linee Guida emanate in materia con la Circolare del 2019, anche per sollecitare e stimolare nel CAI ulteriori riflessioni e contributi di tutti coloro che sono interessati alle esperienze di MT.
Il Gruppo di Lavoro auspica che si avvii un processo di pensiero e di condivisione di buone pratiche attraverso cui le esperienze di MT vissute sul territorio, diventino reali strumenti di costruzione di opportunità di cura in cui l’ambiente alpino diventa il setting elettivo.
Il termine “montagnaterapia” non è un imperativo categorico, non è l’unica definizione significante, l’unica cornice in cui porre pensiero, linguaggio e pratiche che vedono la montagna, in tutte le sue dimensioni, il luogo, il setting in cui poter vivere e far vivere opportunità di cambiamento e creazione di senso. Dove l’andare in montagna e lo spazio alpino esprimono un nesso tra cultura e natura, tra “malattia” e “cittadinanza”, tra accettazione di sé e prospettive di un possibile avvio di un processo di cura.
Il termine “montagnaterapia” non è un imperativo terapeutico, una spinta morale, ma una scelta ponderata da costruire tra gli istruttori/accompagnatori del CAI, il territorio e le realtà dei servizi socio-sanitari del pubblico e del terzo settore. I progetti di montagnaterapia sono nati in modo spontaneo sia all’interno del CAI sia in una popolazione professionale appassionata e competente attorno ad una idea innovativa: che le attività che coinvolgono la montagna (ambiente naturale, culturale e antropologico) come protagonista possano avere un valore soprattutto socio-educativo oltre che sanitario, terapeutico, riabilitativo e preventivo.
La crescita del numero di progetti di MT avviati in tempi relativamente brevi porta in sé una motivazione importante nel rapporto preferenziale fra gli operatori (soci CAI, titolati, operatori socio-sanitari, volontari…) e la montagna.
Questo legame è sicuramente un valore, ma assume in sé anche un rischio che potrebbe sfociare nella banalizzazione, nella superficialità e nello spontaneismo se non arricchito da professionalità e metodo. Se così non fosse si perderebbe di vista il senso e il significato del processo (le attività in montagna quali alpinismo ed escursionismo) quale paradigma bio-psico-sociale.
Infatti per MT si intende un paradigma terapeutico, riabilitativo e socio-educativo finalizzato alla prevenzione secondaria e alla riabilitazione delle persone di differenti problematiche, patologie e disabilità. Aree di intervento: diverse abilità sensoriali, motorie e cognitive, devianza minorile, dipendenze patologiche, problematiche psichiatriche, ma anche nell’ambito delle malattie organiche e croniche.
E’ quindi fondamentale definire la cornice culturale e professionale attraverso criteri che stabiliscano requisiti minimi che un progetto di MT debba rispettare per essere maggiormente efficace.

Un progetto di MT si articola in:
• Rapporto di rete tra la sezione del CAI (organo tecnico) e ASL-ATS, ASST, Servizi Sociali, Enti, Associazioni, Comunità terapeutiche. Il CAI offre la propria disponibilità per l’accompagnamento (a vari livelli) su richiesta del Committente (area socio-sanitaria).
• Elaborazione comune sulla fattibilità di un progetto di MT (PMT), attraverso aperture di tavoli tematici, programmatici e organizzativi che possano anche sfociare in convenzioni o protocolli d’intesa.
• Definizione dei ruoli e competenze tra titolati/accompagnatori e operatori socio-sanitari
• Copertura assicurativa obbligatoria per utenti e operatori dei servizi (costi assicurativi differenziati tra socio e non socio).
• Valutazione e verifica del PMT mediante il rapporto di rete.
Per concludere: qual’è la funzione sociale di una scuola di alpinismo del CAI nei confronti dei soggetti più fragili e in condizioni di vulnerabilità e precarietà? L’alpinismo può offrire loro un’opportunità di inclusione e di sperimentazione di sé in un modo diverso?
Io penso che la MT può diventare opportunità di cambio di un modello culturale dove la montagna non è più luogo e palestra del “no limits”, della prestazione fine a se stessa, della presunzione di poter controllare tutto con l’esasperazione della ricerca assoluta di sicurezza, ma sia luogo di fascinazione che gioca sull’ambivalenza tra attrazione e repulsione, tra rischio e pericolo, tra opportunità di crescita personale e impegno individuale e collettivo nella difesa e nella cura dell’ambiente alpino.
Ogni rigenerazione passa per un momento sottrattivo, ogni perdita è una seconda acquisizione che cambia di segno l’oggetto di scambio. La MT potrebbe essere uno stimolo a rivedersi e a rimettersi in gioco. Sarebbe bello che si possa avviare una riflessione all’interno delle Scuole sul proprio ruolo e specificità, senza temere che la nostra identità, costruita in questi anni, possa essere sovvertita, messa a rischio prima di essere rilanciata, forse anche senza la certezza che la cosa funzionerà.
Dobbiamo trovare le parole per reinventare un linguaggio, scoprire un nuovo significato per il nostro ruolo, ridefinire nuovi limiti. Esistono svariate situazioni nelle quali il sopraggiungere di un limite produce un effetto non di chiusura ma di rilancio di quella stessa esperienza: in altre parole una restituzione di senso.
Beppe Guzzeloni, IA
Hanno collaborato alla stesura del testo:
Roberto Perolfi, IA, direttore dei corsi di Alpiteam,
Anna Frigerio, assistente sociale del Centro Clinico degli Spedali Civili di Brescia,
Alessandro Colombo del Politecnico di Milano e socio dell’associazione Accept.
Per prendere visione del testo del documento lo si può scaricare dal sito della CCE.
Le immagini sono tratte dal sito del Club Alpino Italiano.