Politiche sociali / Urbano purché montano

Alle politiche che ora si definiscono metro-montane è dedicato il numero estivo della rivista Dislivelli, organo dell’omonima associazione diretto da Maurizio Dematteis. “Urbano montano, verso la costruzione di un nuovo sistema?” s’intitola il fascicolo. Lo spunto viene offerto dal recente libro di Federica Corrado “Urbano montano. Verso nuove configurazioni e progetti di territorio”. Una serie di autori s’impegnano a riflettere sul tema dei patti città-montagna che risultano da tempo parti dello stesso sistema. Ce lo ha mostrato chiaramente la pandemia, ma ancora prima i tanti effetti derivati dal cambiamento climatico che ci fanno scappare dalle pianure infuocate, pesantemente urbanizzate e inquinate. Ma ci sono anche i problemi dovuti alla crisi di un modello economico tradizionale che trova oggi sperimentazioni interessanti e innovative nel margine piuttosto che nel centro.

“E’ in questo contesto così complesso, in movimento, ricco di segni innovativi ma anche frammentato e confuso”, si legge nel fascicolo di Dislivelli, “che sta avanzando una possibile (e coraggiosa) ri-definizione dei ruoli che tradizionalmente ha considerato la montagna come luogo dell’idillio rurale che poco aveva a che fare con l’urbanità e la città il luogo frenetico e iperconnesso, fulcro dell’innovazione”. 

Insomma urbanità e montanità non sembrano più due concetti fra loro estranei. Se n’erano accorti nel remoto 2013 anche i curatori di MountCity che fin da primi vagiti ha cercato di coniugare urbanità e montanità, cercando di creare inedite saldature. “Del resto”, si legge ancora in Dislivelli, “come possiamo pensare a un vero processo di ri-popolamento dei borghi senza connessioni non solo virtuali ma anche e soprattutto fisiche con i centri piccoli e medi, i quali garantiscono non solo servizi importanti, come la scuola, ma anche punti di socialità e di aggregazione? Ce lo hanno insegnato bene i Paesi del Nord Europa, i quali, nonostante una digitalizzazione territoriale che nelle nostre montagne ancora è lontana, hanno investito in multi-service point, in luoghi fisici di aggregazione per i giovani, in trasporti e collegamenti efficaci ed efficienti”.

Andrebbe ricordato che ridare un senso all’immaginario “alpino” cittadino è stata l’ambizione di MountCity: quell’immaginario che appare condizionato dalla visione fuorviante delle montagne esclusivamente come un “domaine skiable” ad elevata tecnologia o un parco giochi per le estati calde. Erano gli anni.quelli dei primi vagiti di questo sito, in cui anche e soprattutto a Torino si tentò di valorizzare il legame tra città e valli. Il progetto “Torino e le Alpi” presentato dalla Compagnia di San Paolo ebbe infatti lo scopo – non sta a noi dire quanto realizzato – di identificare le migliori opportunità di uno sviluppo concreto dell’arco alpino intorno a Torino, da cui potesse trarre beneficio tutto il territorio. Fra le iniziative figuravano un bando per progetti di ricerca applicata sullo sviluppo economico e sociale dei territori alpini e un festival culturale. 

Un impegno di tutto riguardo è  stato questo per la Compagnia di San Paolo che da anni, come precisò un comunicato, “segue con attenzione le iniziative che alimentano il legame tra la popolazione cittadina e quella montanara con l’obiettivo di rafforzare il senso di appartenenza a uno stesso contesto storico e culturale con scambi di idee e di esperienze tra i due ambienti, soprattutto con l’obiettivo di cogliere migliori opportunità sul piano economico e sociale”.

Se dopo Schengen e l’apertura delle frontiere le Alpi poterono nuovamente proporsi come la spina dorsale europea, superando l’anacronistico limite dei confini nazionali, anche un altro significato di “confine” risultò ormai superato dai fatti: quel limite invisibile che separa la montagna dalla pianura, o la cosiddetta cultura alpina da quella urbana. 

Quel confine non esiste più perché questo mondo è uno solo, ormai, egualmente afflitto dalla crisi economica, dalla disoccupazione e più di recente dalla pandemia. Ma occorre prendere atto che i rapporti tra città e montagna vanno riletti non come scontro tra presente e passato, ma come incontro di un mondo (un tempo) piano e sicuro con un altro più ripido, incerto, sperimentale, che proprio in funzione delle sue fragilità può indicare alla pianura il senso del limite, il valore del tempo, un altro modo di pensare lo “sviluppo”, meno schiavo del consumo e più interessato alla qualità della vita. (Ser)

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