Marte nei sogni alpinistici di Bepo “mani da strapiombo”

L’ammartaggio effettuato dal veicolo spaziale della Nasa sul pianeta rosso rimetterebbe oggi le ali, se ancora fosse al mondo, ai sogni spaziali di un grande alpinista del passato, il bellunese Bepi (o Bepo) De Francesch (1924-1997) detto “mani da strapiombo”, un campione del sesto grado. Nell’altro millennio fu Bepo a rivolgersi alla Nasa per prenotare almeno una scalata “spaziale”. Una richiesta che sottintendeva un’opinione oggi generalizzata: sulla Terra rimane ben poco di interessante da fare.  Meglio dunque preparare le valigie per la Luna o per Marte.

Bepi o Bepo De Francesch (1924-1997), un campione del sesto grado, fotografato nell’altro secolo da Roberto Serafin. In apertura il Monte Olimpo che raggiunge su Marte i 25 chilometri di altezza.

Di scalate spaziali non se ne fecero da allora. Per adesso soltanto al rover Curiosity della Nasa fu affidato nel 2016 il compito di affrontare la scalata del Monte Sharp, la grande montagna marziana che domina il cratere dove atterrò nel 2012. La missione si rivelò impossibile come altre tentate (e semplicemente sognate) per alcune montagne del cosmo. 

Su Marte esiste peraltro la vetta più alta che si conosca nel sistema solare, il Monte Olimpo. Partendo da un diametro di 600 chilometri raggiunge i 25 km d’altezza, più di due volte l’Everest. Una vetta imperiosa, svettante, così vasta da poter essere vista dallo spazio siderale. Negli anni settanta Bepo de Francesch si sarebbe però accontentato di molto meno. La sua attenzione era attirata dalla catena lunare dei Montes Apenninus che costituisce il bordo Sud-Est del Mare Imbrium ed il bordo Nord-Ovest della Terra Nivium. Si estende per circa 600 chilometri, la vetta più alta è il Monte Huygens, che con i suoi 5500 m di altezza è anche la montagna più alta della Luna. L’Apollo 15 allunò in quegli anni nella valle formata dai monti Hadley ed Hadley Delta, che fanno parte della catena montuosa, compiendo numerose prospezioni geologiche di fondamentale importanza. 

Ed ecco come De Francesch fece parlare di sé per i suoi sogni spaziali. Era il 1971, all’indomani dello sbarco sulla luna degli astronauti di Apollo 14, quando apparve su un quotidiano un articolo in cui si riferiva che un alpinista ben noto aveva scritto alla Nasa offrendosi di scalare le montagne lunari. A firmare l’articolo fu Emanuele Cassarà (1929-2005), grande esperto di alpinismo, uno dei padri delle gare di arrampicata, a lungo alla direzione del TrentoFilmfestival. 

 
De Francesch, a sinistra, negli anni Settanta con Rolly Marchi (al centro) e Walter Bonatti al TrentoFilmfestival.

De Francesch quel sogno di scalare le vette lunari lo coltivava da tempo. Dall’alto della sua esperienza nelle Dolomiti, dove era ritenuto un campione del sesto grado, pensava che i monti lunari non gli avrebbero creato particolari patemi. Aveva passato la cinquantina in quegli anni ed era ancora pieno di energie. D’altra parte le immagini arrivate anche dalla faccia nascosta della luna non sembravano denotare problemi alpinistici per chi eventualmente intendesse salire “in vetta” a quei crateri aridi e polverosi. Dalla Nasa ovviamente nessuna risposta.

Ma chi era Bepo De Francesch? Nato nel 1924 a Cugnan, frazione di Ponte nelle Alpi, si era arruolato nelle Guardie di pubblica sicurezza ottenendo presto la promozione a brigadiere istruttore della scuola di Polizia di Moena. Uomo semplice e schivo, aprì diverse vie di roccia sulle Dolomiti e rivoluzionò le tecniche dell’arrampicata, utilizzando sulla Marmolada i primi chiodi a espansione che suscitarono presto la protesta dei puristi.  

Bepi o Bepo fu un arrampicatore di tutto rispetto, uno che sceglieva sempre pareti lisce e le bucava con discrezione, soltanto dove necessario. Sul satellite della terra si sarebbe certamente attrezzato con un trapano, cosa volete che fosse qualche bucherello sulla superficie lunare? Tra le sue imprese vanno ricordate le salite al Pilastro Sud Ovest del Piz Lasties (1956) e al Piz Ciavazes (Gruppo del Sella, 1961).

Nel 1958 fece parte della spedizione del Cai al Gasherbrum IV in Karakorum guidata da Riccardo Cassin e si diede molto da fare per agevolare la progressione della cordata di punta formata da Walter Bonatti e Carlo Mauri. Nel 2004, sette anni dopo la sua scomparsa, uscì il libro “Mani da strapiombo” che Tommaso Magalotti gli dedicò. In quelle pagine viene ricordato il suo sogno spaziale. (Ser)

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