Quale sci per far vivere la montagna?
“Si può salire nelle valli per fare anche tante altre cose che non siano lo sci, camminare, riposare, respirare, fare attività fisica con la neve sotto i piedi e il vento in faccia”, ha scritto mercoledì 25 novembre Michele Serra nella sua rubrica su Repubblica. Prendendo spunto da una dichiarazione di Messner (ma sono in tanti, Cai compreso, a sostenerlo da tempo), Serra spiega che la montagna non può ridursi a una “monocultura invadente e fragile”, quella degli impianti di rialita. E invita a promuovere, “se vogliamo salvarla”, un diverso tipo di montagna facendo leva sui “signorini di città che se chiudono le piste sanno cosa cercare oltre i milleduecento metri”. Sui blog va segnalato il sobrio intervento di Marco Blatto, illustre firma delle vette. “Non è vero”, ha sentenziato, “che senza ‘sci’ la montagna muore, e in ogni caso, per ovvie ragioni, è venuto il tempo di ripensare a un futuro diverso”. Da notare la parola “sci” messa tra virgolette…

“La montagna”, scrive Serra nella sua rubrica sul quotidiano La Repubblica, “non può ridursi a una monocultura invadente e fragile”.
Su questa strada da percorrere per configurare un ragionevole “sci” – la notizia è dell’ultima ora – sembra che adesso si stia avviando Mountain Wilderness Francia, sempre che vada in porto un accordo tra gli agguerriti ambientalisti francesi e Domaines Skiables de France (DSF), il sindacato dei gestori dei comprensori sciistici. “L’urgenza della situazione”, spiegano i cugini d’oltralpe, “richiede di lavorare insieme e in modo diverso per definire quali saranno le stazioni sciistiche di domani e quali le dinamiche territoriali percorribili per renderle fruibili tutto l’anno”.
Via libera dunque in Francia a una riflessione globale sullo “sci”. Con un precedente significativo. A inizio di ottobre, Domaines Skiables de France (DSF) annunciò di avere stabilito 16 “impegni ecologici” per ridurre l’impatto ambientale delle attività dei comprensori. Un documento che non trova riscontro nello scenario italiano, a parte una “Carta di Cortina” di cui si è ben poco parlato, elaborata in vista dei Giochi olimpici del 2026 e contestata degli ambientalisti di Mountain Wilderness Italia che, non essendo stati interpellati, hanno a loro volta divulgato un documento alternativo.

Ora questo dialogo auspicato in Francia non può che essere un sogno analogo a quello cullato dagli attivisti italiani dell’ambiente alpino, stanchi di venire messi alla porta dagli imprenditori e di essere costretti a svolgere il ruolo di grilli parlanti secondo una beffarda definizione del presidente generale del Club Alpino Italiano. Perché ora è il momento di agire, visto che siamo in tanti a parlare di turismo in montagna in tempo di Covid. E ora che Lilli Gruber si sente in dovere di invitare al suo “Otto e mezzo”, per non farci mancare niente, il re degli ottomila Reinhold Messner al quale concede pochissimo spazio.
I cugini d’oltralpe avranno di sicuro le carte in regola per auspicare una svolta. Ma in quale svolta si può sperare al di qua delle Alpi con l’aria che tira? Tre anni fa fece notizia un progetto dell’azienda “La Sportiva” per sottoporre lo splendido passo Rolle, nelle Dolomiti, a un restyling da tre milioni di euro trasformandolo in un “outdoor paradise”.
Il principio di questo “paradiso” che un po’ ricordava i Club Mediterranée era semplice: togliere, ovvero smantellare impianti vecchi, utilizzati poco, male e che non rendono. Tutto ciò per creare un’area a vocazione outdoor alternativa allo sci alpino. Nell’idillio del Rolle sarebbe stato così possibile praticare tutte le discipline dell’outdoor oggi di moda. Il piano riscosse un blando consenso da parte degli ambientalisti, ma venne bocciato con un referendum dai trentini. Anche in quella circostanza ebbe la meglio la cultura sempre più in crisi degli impianti di risalita. Quella che oggi Serra con buone ragioni definisce “invadente e fragile”. (Ser)
PS. L’argomento “sci” è all’ordine del giorno anche nella rassegna “Fa’ la cosa giusta!”. Di prospettive non solo climatiche si discute in streaming sabato 28 novembre alle ore 21 nella tavola rotonda “La montagna italiana senza neve” con esperti e attivisti quali Luigi Casanova e Aldo Cucchiarini di Mountain Wilderness, Ines Millesimi di Italia Nostra e Paolo Paci, direttore scientifico della testata Meridiani Montagne (a partire dal numero di gennaio 2021) in veste di moderatore.

Un Rimprovero spiacevole e offensivo quello del PRESIDENTE CENTRALE DEL CAI: … gli attivisti italiani dell’ambiente alpino, stanchi di venire messi alla porta dagli imprenditori e di essere costretti a svolgere il ruolo… “di grilli parlanti”, secondo una beffarda definizione del presidente generale del Club Alpino Italiano” … LA FRASE “GRILLO PARLANTE”, si usa generalmente in senso ironico, a significare una persona che interviene in modo rigoroso su un argomento; di chi tende a essere un moralizzatore saccente, a dare consigli saggi in modo pressante e insistente. Se però il presidente si informava, documentava, studiava, avrebbe appreso che la sua accusa di GRILLO PARLANTE, può significare anche, che “rappresenta la saggezza delle persone di buon senso”. Chissà… può ESSERE IL COVID?