Letture. Il “geloso padrone” del Devero

Non è forse solo a causa pandemia, madre di tutte le colpe, se l’Ossola non ha celebrato l’estate scorsa con il dovuto riguardo il centenario della scomparsa di Giovanni Leoni (1846-1920). Silenzio pressoché totale, salvo errori, su un figlio illustre che tanto (troppo?) si è battuto per la salvaguardia dei valori paesaggistici e culturali ossolane. Che nelle sue bellissime e misconosciute “Rime ossolane” ha raccontato, sulla falsariga delle irriverenti poesie del suo maestro Carlo Porta, la valle Antigorio tra luci e ombre. Che in cima al Cistella ha fatto nascere un piccolo, accogliente rifugio quasi tutto a sue spese e con il sudore della sua fronte. Che al Cistella e al Cervandone che svetta sull’Alpe Devero, di cui era perdutamente innamorato, ha dedicato da musicista dilettante polke e mazurke prodigandosi come fondatore della Pro Devero.


La storia di Leoni/Torototela è tutta nel libro pubblicato “in proprio” da Gabriella Boni Andreis quale omaggio nel centenario della morte.

Scarse sono oggi per il turista le tracce visibili del cavaliere che amava farsi chiamare Torototela come i cantastorie vagabondi. Fa eccezione una lapide nella splendida piazza del Mercato di Domodossola dove Leoni ha impugnato a lungo le redini di un Club Alpino Italiano ancora agli albori. E un’altra lapide sbiadita, quasi illeggibile, appare a volerla proprio cercare con il lanternino nella facciata della villetta liberty di Mozzio dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.

Per fortuna, a porre rimedio a queste carenze ha provveduto la milanese Gabriella Boni Andreis, scrittrice di talento e discendente “per li rami” del Torototela di cui conserva importanti memorie soprattutto relative al suo soggiorno nell’America Latina. Un libro, questo appena uscito della Boni Andreis, che si presenta con una sobria copertina color carta da zucchero dove spicca un ritratto a china del cavaliere. L’autrice stessa lo ha dato eroicamente alle stampe dopo anni di ricerche. S’intitola alla garibaldina “L’Ossolano dei due mondi cent’anni dopo” con riferimento ai soggiorni di Leoni a Montevideo dove ha accumulato non poche fortune.

Il libro è stato stampato “in proprio” a Milano dall’autrice nel mese di giugno, in concomitanza con il centenario della morte di Leoni, e sono ben 380 le pagine oltre a quelle riservate all’indice e a una rassegna cronologica degli articoli apparsi dal 1901 sulla stampa.


Gabriella Boni Andreis con un’immagine tratta dalle “Rime Ossolane” del cavalier Leoni che appare in apertura in una stampa dell’Ottocento (ph. Serafin/MountCity)

Vi figura tra gli altri un saggio del 2013 di Roberto Serafin desunto dal libro ufficiale sui 150 anni del Cai, dove si parla del “mecenatismo poetico” del cavalier Leoni. In un altro articolo dello stesso autore si racconta come il Mottarone, sempre per merito del Leoni, divenne… un valzer.  Ma prima di entrare nel merito delle imprese dell’avventuroso cavaliere va notato che nella prefazione del libro della Boni Andreis lo storico Paolo Crosa Lenz (autore nel 2011 per le edizioni Grossi di Domodossola di una monografia sul Cistella) osserva di sfuggita “che sarebbe necessario avviare un processo di valorizzazione di uno dei protagonisti della storia sociale e letteraria dell’Ossola”.

Intanto va osservato che in quello scampolo di Ottocento in cui operò il cavalier Leoni la montagna, non ancora violata dagli eserciti della Grande Guerra, veniva considerata un grande libro aperto sulla natura come dimostra la nomina alla presidenza del Cai milanese nel 1873 dell’abate Antonio Stoppani (1824-1891), una celebrità per merito de “Il Bel Paese”, opera divulgatrice sui fenomeni naturali italiani. Anche Leoni, beninteso, era animato da questa volta d’indottrinare.


La piana del Devero in un’antica cartolina

La figura imponente di Leoni, tramandata dai pochi ritratti conservati in archivi privati, si staglia sullo sfondo di una montagna, il Cistella, che domina Domodossola e separa le valli Divedro e Antigorio. Leoni ebbe come si è accennato una vita avventurosa emigrando in America latina. Rimpatriato, venne a rifugiarsi tra queste bellissime montagne e quassù riempì i quaderni di rime, compose battagliere poesie, insomma si diede da fare come capita ai pensionati che non intendono starsene con le mani in mano.

Aveva appena 24 anni quando emigrò con il fratello Costantino a Montevideo dove creò la “Leoni Hermanos”, una proficua attività commerciale in tessuti e generi vari. Comprò anche una nave con quindici uomini di equipaggio e navigò le acque della Patagonia trasportando ogni genere di merce in quel “mondo al confine del mondo”. Nel 1886, soddisfatto, liquidò l’azienda e rientrò in Italia dove visse di rendita fino alla morte. In inverno risiedeva a Domodossola, Bologna e Torino dove frequentava assiduamente la borsa valori. In estate se la godeva a Mozzio.

Nel 1891, durante un viaggio a Roma, Leoni scrisse la prima poesia dialettale (“L’Olèta”) che inviò all’amico parroco di Mozzio, don Gaudenzio Sala. Promosso a pieni voti. Per oltre vent’anni da allora scrisse poesie mordaci e satiriche in dialetto ossolano con lo pseudonimo di Torototela. Le sue poesie vennero però pubblicate soltanto nel 1929 a Belluno per iniziativa del nipote Camillo Boni con il titolo di “Rime Ossolane”. Ora è Gabriella, discendente di Camillo, a restituire a Giovanni grazie alla sua pubblicazione il prestigio letterario e sociale che gli compete.

Già la citata conferma tardiva del suo talento avvenuta tra i monti bellunesi che gli erano estranei, fa sospettare che Leoni abbia sofferto d’incomprensioni nella sua terra. Eppure il suo ruolo nel promuovere il turismo nell’Ossola in modo multimediale, con musiche, rime, scritti di ogni genere, fu di prima grandezza, anche se la concorrenza in quegli anni non mancava. Dilagava infatti la fama delle Dolomiti e la Valle d’Aosta e il Vallese con i loro quattromila attiravano la crème dell’alpinismo britannico. Non pago di essere presidente della storica “succursale” di Domodossola del Cai, Leoni fondò come si è detto la “Pro Devero” che aprì alle masse popolari la frequentazione della meravigliosa conca ai piedi del Cervandone oggi assediata da un turismo scappa e fuggi e insidiata dai progetti di nuovi impianti anche se tutto fa credere che presto le nevicate saranno solo un ricordo.

Ma l’episodio che illumina il personaggio del cavalier Leoni assicurandogli un ampio spazio nel pantheon ossolano fu la costruzione tra il 1899 e il 1901 del rifugio alpino sul Monte Cistella che oggi porta il suo nome. Per realizzare questo suo progetto, il cavaliere mise a frutto il suo talento di poeta e musicista. Compose una polka e un valzer dedicati alla montagna che portava nel cuore dedicando il ricavo della loro esecuzione pubblica all’erigendo rifugio.


Lo spartito della polka dedicata da Leoni/Torototela all’amato monte Cistella.

A custodire le memorie di Torototela è oggi, come si sarà capito, Gabriella con il fratello Camillo nella palazzina di Mozzio (VB) in cui trascorrono le vacanze e dalle cui finestre lo sguardo si tuffa nelle verdi distese della Valle Antigorio fino a perdersi tra le brume della Formazza su cui svetta la mole screziata di neve del Basodino. E’ in particolare la gentile Gabriella a prendersi cura dei diversi album della sua famiglia i cui destini si intrecciano con quella dei cugini Leoni emigrati a loro volta in America Latina alla fine dell’Ottocento. “Leoni sed Boni”, avverte spiritosamente una lapide sulla facciata della palazzina di Mozzio (sorvegliata da due leoni di pietra) riferendosi a queste due famiglie che hanno unito i loro destini.

C’era, dietro il poetare di Leoni-Torototela, un’Italia umbertina che favorì, a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, il turismo popolare indirizzandolo verso i nuovi orizzonti offerti dalla montagna. Molte sezioni del Club alpino, a cominciare da quella di Milano, si prodigarono per “aprire le Alpi al popolo”. E molti mecenati, tra i quali il Leoni, raccolsero l’invito. Così, al solo scopo di “fare ammirare il vago spettacolo del tramonto e del sorgere del sole”, il cavaliere fece erigere nel 1902 la capanna sul monte Cistella che oggi porta il suo nome.

Nel libro di Gabriella Boni Andreis diversi sono i documenti raccolti in ordine cronologico con corrispondenze, spigolature dai diari di Otorino e Lionello, cugini primi di Giovanni Leoni. Vi si racconta di progetti realizzati o semplicemente sognati, di disavventure famigliari, e di qualche “pirlonata” come la definiva il cavaliere che aveva il gusto della battuta. Di grandissimo interesse è il diario della traversata oceanica, una delle tante affrontate con lo squinternato piroscafo Duca di Galliera dove si ammassavano centinaia di squattrinati e disperati italiani in terza classe privandosi delle più elementari norme igieniche. Uno scenario che nel Mediterraneo si ripete anche ai nostri giorni anche se diverse sono le etnie a bordo di gommoni e barconi.

Ettore Conti

Al ritorno in patria, è chiaro che lo spirito battagliero del cavalier Leoni si espresse nell’operare da “attivista” per le sue montagne. Mettendoci talvolta una foga che gli fece indubbiamente velo quando l’industria idroelettrica cominciò a colonizzare l‘adorata valle Antigorio e il Devero costruendo – secondo il cavaliere a sproposito – dighe, centrali, tralicci. Nel libro della Boni Andreis sono documentate le diatribe con il prestigioso ingegnere milanese Ettore Conti al vertice della Società per le imprese elettriche, politico e insegnante in Scienze delle costruzioni al Politecnico milanese. Leoni non perdonò all’ingegnere di avere fatto smontare, lungo la stretta carrozzabile fra Croveo e Goglio, uno storico arco antico, parte delle cosiddette chiuse medioevali, e ciò per far passare le voluminose e pesanti turbine di una centrale elettrica.

Quello fu però un duello tra gentiluomini. Conti riconobbe da gran signore che “perfino nel concepire un’impresa che ha per scopo di produrre in modo economico dei beni materiali, non deve mancare un’aspirazione, in un certo senso d’arte”. L’arco di pietra fu solo in parte rimesso al suo posto, e il presidente della Pro Devero se ne ebbe a male, ma ritenne opportuno affidarsi a Torototela per fare le sue rimostranze in dialetto e in rima.

Non fu l’unica volta che Leoni mise a frutto doti di diplomatico approfittando del suo talento di narratore e poeta, e tuttavia sul giornale L’Ossola si legge che, riguardo al Devero, si comportò come un “geloso padrone di casa”. Se ne deduce che, uomo di carattere quale era, aveva anche un caratteraccio. La riprova? Nel dedicargli nel 1982 un fascicolo in 150 esemplari numerati (“Torototela a Mozzio, in Valle Antigorio (1886-1920)”, Alessandra e Alessandro Baglione ipotizzarono che Torototela, che tanto amava la vale Antigorio e le sue montagne, non amasse di uguale amore i suoi abitanti, che non partecipasse alle loro sofferenze e ai loro dolori, che non vedesse la loro povertà pressoché assoluta e non volesse chissà perché saperne dell’industria elettrica che avrebbe portato nella vallata il sospirato benessere. Chissà, potrebbe essere questo il motivo per cui ancora oggi si attende invano una tardiva riscoperta del cavalier Leoni. Con la conseguente, necessaria rimozione di un’ingiusta damnatio memoriae che sembra ancora gravare su di lui. (Ser)


Giovanni Leoni con la devota moglie Ida.

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