Artista dell’arrampicata? Non solo
C’è davvero un limite alle difficoltà? Alla domanda posta una trentina d’anni fa da un giornalista, Heinz Mariacher rispose che “è impossibile definire un punto oltre il quale non si può più arrampicare”. Molto è cambiato da quei tempi anche nell’arrampicata, ma c’è da supporre che il famoso scalatore tirolese, leggenda dell’arrampicata sportiva e oggi manager di un’azienda leader nella produzione di calzature per la montagna e le attività outdoor, continui a pensarla allo stesso modo. “Io posso passare senza rischi dove un altro rischia grosso. Dirò di più: un passaggio che oggi per me è rischioso, domani potrebbe non esserlo più. La faccenda non è molto diversa da chi si mette al volante. Su una certa curva a 110 orari può lasciarci la vita o passare indenne a seconda della sua abilità”.

L’alpinismo continua a evolversi, ma ai tempi di queste dichiarazioni Heinz aveva già toccato vette sublimi per intuizione e ardimento. In particolare lungo la via “Tempi moderni” scoperta da Heinz sulla parete sud della Marmolada e percorsa per la prima volta con la sua compagna Luisa Iovane. Un vero manifesto programmatico della nuova arrampicata la qualifica oggi un tecnico come Vinicio Stefanello che definisce Heinz un libero pensatore, e insieme una sorta di anarchico dell’arrampicata. Salita in libera dal basso, “Tempi moderni” si rivelò uno dei punti massimi per stile e bellezza.
“Chi ripete questa via”, ha di recente spiegato Mariacher, “oggi spesso si dimentica che più di trent’anni fa il mondo dell’arrampicata era molto diverso e la prospettiva nel frattempo è cambiata notevolmente”. Cambiata in meglio? Mariacher non ha dubbi: “Il livello degli arrampicatori era molto basso e in conseguenza c’era molto rispetto per le grandi pareti”.
“Quella via”, rievoca Mariacher, “era una sfida perfetta e spingere i propri limiti su roccia sconosciuta con protezione precaria: era il gioco che amavo, non solo un gesto atletico, ma una forma di arte, la combinazione di intuizione, abilità e coraggio nel piazzare le protezioni”.
Sulla creatività del personaggio che questa estate ha ricevuto a Castel Firmiano di Bolzano dalle mani di Reinhold Messner il Premio Paul Preuss 2020, non sussistono dubbi. Quell’arrampicata come forma d’arte è stata codificata in centinaia di saggi, ma Heinz volle tradurla anche in immagini. E con passione si dedicò nel tempo libero alla pittura dipingendo con una vena che non sarebbe azzardato definire surreale.
I suoi quadri forse non sono mai usciti dalla bella casa di Carezza dove Heinz vive con Luisa ed è stata una fortuna diversi anni fa poterli ammirare e riprodurre uno, quello che Mountcity è qui in grado di mostrare. Il sospetto, se ci viene concesso, è che quei quadri siano stati un’alternativa alla noia degli allenamenti quotidiani, con molte trazioni e sospensioni sulle dita. Perché tutto fa pensare che quelle corvée ginniche condivise con la sua “metà”, Heinz possa averle accettate con una certa fatica. “Per me”, spiega oggi in una breve comunicazione in Facebook, “vivere l’arrampicata è sempre stata una cosa spontanea, mai pianificata a lungo termine. Spesso sono partito senza sentirmi in forma, pensando la forma ci sarà se necessaria per fare certi passaggi. Un po’ il contrario della mentalità attuale dove l’allenamento e la preparazione sembrano quasi più importanti del semplicemente divertirsi sulla roccia”.
E a proposito di creatività. Mariacher ha avuto un ruolo decisivo nell’evoluzione delle scarpette da arrampicata: molti climber oggi incanutiti (compreso chi scrive) ricordano di avere scalato con le “mariacher” ai piedi, adatte a tutti i terreni e piuttosto confortevoli rispetto alle consuete strettissime calzature dell’epoca. Che erano dei veri supplizi. Vecchie “mariacher”, quanto tempo ahinoi è passato. (Ser)
