Di fake in fake, ma che alpinismo è?

Una volta le chiamavano bugie o mezze bugie e la storia dell’alpinismo ne è piena anche se, al momento di mettere nero su bianco, illustri storici della materia preferiscono sorvolare. Oggi si preferisce parlare di fake news adottando il linguaggio dei social. Il domenicale del Sole 24 Ore ne passa in rassegna parecchie di fake il 19 luglio, a cominciare da quella colossale e radiofonica di cui fu autore Orson Welles. Fu infatti quel diavolaccio di Welles (1915-1985) a mandare in onda lo sceneggiato “La guerra dei mondi” dove con voce rotta raccontava l’arrivo dei marziani. Lo fece con tratti tanto realistici che la metà degli americani in ascolto furono presi da panico e isteria. Tra i più celebri fabbricanti di fake news, il giornale di Confindustria colloca lo scrittore Clifford Irving (1930-2017), autore di due false biografie di Picasso e Howard Hughes che fu il più geniale e stravagante tycoon americano. Welles documentò con puntiglio queste malefatte nel documentario “F come fake” (1975) dove raccontava anche dell’olandese Han van Meegeren (1889-1947) che si inventò un nuovo stile di Vermeer, successivo ai capolavori che conosciamo. Sempre dal Sole 24 ore si apprende che un genio delle fake fu Icilio Ioni (1866-1940) che si firmava con “PAICAP”, beffardo acronimo di “Per Andare in C…al Prossimo”. Poi vennero i tre che nel 1984 a Livorno gettarono nel Fosso Reale delle teste scolpite, forse con il Black&Decker, e subito autenticate come Modigliani dai critici Argan, Ragghianti e Brandi mentre Spagnol e Zeri se ne guardarono dal bersela.


Tom Dauer. “La prova, per favore!”.

Di tutt’altro genere sono le fake alpinistiche concepite per divulgare imprese mai portate a termine e/o gettare fumo negli occhi: non certo per burla essendo l’alpinismo un’attività in cui è difficile non prendersi sul serio come dimostrano le tantissime pagine dedicate alla “visione verticale” (titolo dell’ultimo libro di Alessandro Gogna uscito per Laterza). Chi ha voglia di rivangare, sappia che nel 2018 su All Mountain venne pubblicato a firma di Tom Dauer, giornalista di Berge e regista della televisione bavarese, un articolo intitolato “La prova, per favore!”. Vi si narrava di Cesare Maestri sul Cerro Torre, di Tomo Česen sul Lhotse, di improbabili scalate all’Annapurna e di altre imprese messe in dubbio. Insomma: tutte le bugie dell’alpinismo. O se preferite, le mezze verità, o le quasi-forse-verità che nessuno, tranne chi le dice, può provare. L’ultima volta che di fake alpinistiche si parlò in un simposio molto seguito fu a Grénoble, nel 2017, nell’ambito del Piolet d’or: un forum venne dedicato in quell’occasione al dovere di testimonianza e di prova nel corso dell’attività alpinistica di alto livello. Di sicuro, la tecnologia satellitare può oggi offrire prove inconfutabili della riuscita delle scalate più impegnative. Ma in tal caso che cosa ne guadagnerebbe l’alpinismo?  

“Non poche ascensioni e drammi alpinistici”, spiega Gogna nel suo popolare blog, “rimangono a tutt’oggi grandi questioni di fede di cui si discute ancora molto. Per l’alpinismo ci si deve però chiedere che cosa succede se si documentano ogni passo, ogni metro di dislivello, ogni pausa”.

E allora, quanto ci si può “fidare” degli alpinisti, la cui storia è segnata da imprese incredibili ma anche da altrettanto incredibili bugie? Gioachino Gobbi, patron di Grivel, nel dare alle stampe un “De veritate” dell’alpinismo, sottolineò che ci sono voluti tanti anni perché si avesse una specie di verità sulla prima salita al Monte Bianco sui ruoli di Balmat e di Paccard in quell’8 agosto 1786 considerato l’inizio dell’alpinismo; come più tardi nel 1838 per Henriette d’Angeville acclamata come la prima donna a salire sul Monte Bianco (la prima fu in realtà Marie Paradis nel 1808). A proposito delle polemiche sul Cerro Torre che si tirano dietro l’eterno dilemma della “verità” Gobbi ricorda che il filosofo Kant diceva: pazienta per un poco; la verità è figlia del tempo, tra non molto essa apparirà per vendicare i tuoi torti.

Una volta le chiamavano bugie o mezze bugie e la storia dell’alpinismo ne è piena anche se, al momento di mettere nero su bianco, illustri storici della materia preferiscono sorvolare. “Non poche ascensioni e drammi alpinistici”, spiega Alessandro Gogna nel suo popolare blog, “rimangono a tutt’oggi grandi questioni di fede di cui si discute ancora molto. Per l’alpinismo ci si deve però chiedere che cosa succede se si documentano ogni passo, ogni metro di dislivello, ogni pausa”.
 
Un satellite per le comunicazioni: una possibile soluzione per controllare gli exploit ad alta quota? In apertura Tartarino, capostipite letterario degli alpinisti bugiardi.

In realtà, satellitari a parte, l’alpinismo è una attività senza testimoni. Non si fa in uno stadio davanti ad un gran numero di tifosi, non si fa in teatro davanti a un piccolo numero di spettatori, spesso non c’è anima viva nel raggio di molti chilometri. La verità è perciò affidata ai protagonisti con le loro caratteristiche più o meno amate e più o meno amabili, e coinvolge quindi anche l’aspetto etico essendo collegata con l’esigenza di onestà intellettuale, con la buona fede e la sincerità.  

A proposito. Chi cerca un’inchiesta approfondita sul Cerro Torre può trovarla nel libro “L’enigma del Cerro Torre” di Giorgio Spreafico (CDA&Vivalda editori) che comprende le interviste a tutti gli attori del dramma. “Questa storia è il più bel giallo della storia dell’alpinismo”, spiega Spreafico. E il venerabile Maestri che cosa ne dice? A quanto risulta, il Ragno delle Dolomiti ammette di non essere salito in vetta al Torre nel 1970 ma si rifiuta di commentare l’ascensione del 1959. ”Vorrei che il Cerro Torre si riducesse a un cumulo di macerie, ha distrutto la mia vita”, continua a ripetere. Sarà ancora disposto a scrivere la parola fine su questa vicenda prima di migrare in un altro mondo, quello dei più? (Ser)

Un pensiero riguardo “Di fake in fake, ma che alpinismo è?

  • 22/07/2020 in 13:07
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    Fortunatamente di Kant ( e di Hegel) si parla sempre meno. Che la verità sia figlia del tempo ne dubito assai, ma anche fosse, non si dice mai quanto è lunga la gestazione.

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