Valle Anzasca. L’amara resa degli alpigiani
La Val Bianca (Calasca) e la Valle Olocchia (Bannio), vallate sussidiarie della Valle Anzasca (Verbania), zone di montagna dura e selvaggia e dalla secolare storia di vita, di lavoro, di fatiche, di sudore, di sorrisi (pochi), sono oggi accomunate dal silenzio e dall’oblio, dalla solitudine e dall’abbandono. Così le racconta Walter Bettoni indagando sulle cause della gravissima resa degli uomini che per generazioni hanno tenuto in vita questi alpeggi ai piedi del Monte Rosa.
La val Bianca
Cala il sipario su una vasta area dove da oltre centocinquant’anni venivano inalpate mandrie e greggi. Gli alpeggi di Lavazzero, Incino, Bobbio, La Piana, Casetto Era resteranno vuoti e silenziosi. I rovi avanzeranno indisturbati e i sentieri spariranno coperti dalle ortiche e dall’erba. La storia degli alpeggi finisce qui. Dopo la recente tragica morte di Celso Badini che portava all’alpe Lasino i suoi asini che tenevano pulito pascolo e sentiero, anche altri due allevatori hanno deciso di abbandonare, Natalino e Claudio Chiarinotti.
Marco Sonzogni scriveva su “Il Rosa” la storia degli allevatori di Lavazzero: “Questi pascoli sono caricati da più di centocinquanta anni dalla famiglia Chiarinotti di Barzona (Calasca). Natalino Chiarinotti raccontava:“Sono nato nel 1940, mio fratello Giuseppe, che mi aiutava nei lavori, nel 1936. Per annunciare il lieto evento mia madre affidò un biglietto vergato con un lapis al teleferista delle miniere e così Cèsar dul Pastùr seppe di essere diventato nuovamente padre. Da Lavazzero, nelle serate terse, riusciamo a vedere le luci di Intra. Nel 1968 nevicò abbondantemente il 16 luglio, tanto che dovemmo spostarci 300 m più in basso nell’alpeggio di Cortelancio. Quest’anno [2009 ndr] abbiamo caricato tardi, perché la neve ha coperto i pascoli fino alla metà di luglio impedendo la crescita del foraggio. La valanga ha distrutto il ponte di Lasino e abbiamo dovuto ricostruirlo.
Un tempo la Comunità Montana ci metteva a disposizione l’elicottero per l’inalpamento, ora invece siamo lasciati soli.
Abbiamo gettato dentro il perimetro di un casale scoperto, la lana prodotta dalla tosatura di ottanta pecore. Ogni animale produce in media un kg di lana. Nessuno sa cosa farsene, non si usa più la rocca e il fuso e i grossisti preferiscono importarla dai paesi dell’Est o dall’Australia. La neve degli inverni la coprirà fino al disgelo, gli uccelli la useranno per farsi il nido, a qualcosa servirà anche qui.
Per noi caricare Lavazzero ed abitare la casera poco discosta dall’esuberante sorgente del rio Val Bianca è una consuetudine che si tramanda immutata da sette generazioni.
A maggio inoltrato, i pascoli alti erano ancora coperti di neve, ma prima dell’inverno i miei nipoti hanno ripristinato il ricovero di Casetto Era che è di proprietà comunale. È un minuscolo e spartano asilo riparato da una scheggia di roccia, come un caposaldo, è abbarbicato a un pendio da capre, isolato e solitario a quasi duemila metri di quota. Questo rustico abituro, fu il primo ricovero alpestre di Angelo, capostipite della nostra famiglia”.
Nel 2019 Claudio Chiarinotti, oggi titolare dell’azienda agricola, dice: “Sono cresciuto a pane e alpeggio ed ero determinato a continuare, ma il ritorno del lupo ha segnato la fine dell’inalpamento in Val Bianca. Lo scorso anno ho registrato la perdita di ventisei pecore su sessanta, poi l’attacco giù in paese, nei pressi della stalla… le pecore sopravvissute ai molteplici attacchi dei lupi, le affideremo ai pastori transumanti snaturando quell’attività secolare che era una caratteristica delle nostre famiglie”.
La valle Olocchia
Sul versante opposto troviamo la valle Olocchia ed è Enzo Bacchetta che illustra la situazione: “Questa vallata è da anni che ha visto l’abbandono della pastorizia di montagna e anche la transumanza da parte di quei pochi allevatori che salgono ancora sulle nostre montagne. La Valle Olocchia è stretta e incassata fino a Pié di Baranca poi si apre diventando aperta e ariosa con i pascoli alti che finiscono a ridosso dell’imponente Pizzo Tignaga. Anche quassù è arrivata l’irruenza devastante del lupo e anche quassù la montagna è rimasta sola e abbandonata. Gli uomini che la rendevano viva e la curavano si sono arresi”.
Fra gli ultimi alpigiani che caricavano questi sperduti alpeggi si ricordano: Ottavio Cocchini a Curtet e Runcastill; Andrea e Carlo Prandini a Cangelli, Realpiano e Ancium.
Ieri la Valle Olocchia, oggi la Val Bianca, la montagna resta senza quel presidio umano che ne garantiva la cura, la salvaguardia, il mantenimento dei sentieri, la regimazione delle acque, la pulizia, una casera aperta, un sentiero percorribile, una fontana curata, un bicchiere di latte fresco, la vita.
Ora la natura la renderà totalmente selvaggia come forse non lo è mai stata.
Sul numero scorso de “Il Rosa” scriveva Massimo Marcolini: “Il lupo è un anello importante dell’ecosistema alpino” (…) ma il pastore-alpigiano, è anch’esso anello importante dell’economia e della cultura di montagna”.
Tornando a ritroso nel tempo, nel 1872 troviamo che Giovanni Belli di Calasca scriveva “…attualmente si può assicurare che il territorio di Macugnaga e della Valle Anzasca è libero da tali fiere” (linci, orsi e lupi – ndr).
Walter Bettoni
