Alpinisti. Diventare “ragno”, una questione di feeling
E’ disponibile nelle librerie il volume “I Ragni di Lecco – una storia per immagini” edito da Rizzoli e realizzato da Serafino Ripamonti, giornalista, scalatore provetto e membro del gruppo alpinistico. In 256 pagine viene ripercorsa la storia dei maglioni rossi dalle origini sino alle recenti avventure in Patagonia e al Bhagirathi IV. MountCity ha rivolto all’autore una domanda che in questi giorni di presentazioni del volume si sente più volte fare: come si diventa Ragno? Ecco la sua risposta.
Nel libro di Serafino Ripamonti la storia per immagini

Una delle domande che più spesso mi sento rivolgere in questi giorni dedicati alla presentazione del nuovo libro è: “Come si diventa Ragno?”. È un quesito più che legittimo, ovviamente, e la risposta non è solo la spiegazione di una procedura, ma, in qualche modo, qualcosa che aiuta a chiarire il senso degli oltre 70 anni di storia dei Maglioni Rossi e del loro essere Gruppo. Non c’è un curriculum standard da presentare, non c’è un elenco di “salite obbligatorie” in forza delle quali si possa in qualche modo pretendere che la propria candidatura sia presa in considerazione. Certo, un talento alpinistico ci deve essere: una vocazione, una passione che già ha dato frutti ragguardevoli o che si ritiene possa darne in futuro e di cui si fanno garanti i Ragni (almeno tre) che presentano il nome del nuovo candidato.
Di verificare la bontà di questa intuizione si occupa in primo acchito la commissione tecnica, costituita dal nucleo dei Ragni al momento più attivi in ambito alpinistico o con alle spalle una carriera di rilievo internazionale. Fino a qui, forse, nulla di differente da tante altre associazioni sportive d’élite, ma, come spesso ripete il nostro past president Alberto Pirovano, “i Ragni non sono la Nazionale dell’Alpinismo”. Non basta il curriculum, e il vaglio della commissione tecnica è solo un primo passo verso l’ammissione. La parola definitiva spetta all’Assemblea dei soci, che vota sì o no, indipendentemente dalle qualità puramente tecniche del candidato. È una questione di feeling con il sodalizio, di vicinanza al comune sentire, a un certo modo di intendere e di fare l’alpinismo, ma anche, semplicemente, di un certo modo di intendere la condivisione e il significato del Gruppo.
È qualcosa di antico, che risale alle origini dei Ragni, nati non come gruppo d’élite, ma come compagnia di amici appassionati di montagna e provenienti per lo più dalle classi popolari e operaie del territorio lecchese. Per i nostri “padri fondatori”, tanto entusiasti quanto privi di mezzi e di risorse economiche, cooperare l’uno con l’altro era l’unico modo per poter raggiungere obiettivi totalmente preclusi ai singoli: sia che si trattasse di mettere assieme i soldi per acquistare un minimo di attrezzatura alpinistica, oppure di organizzare la prima “campagna” di scalate al di fuori delle Grigne (addirittura alle Tre Cime di Lavaredo!), un’esperienza che ragazzi di allora ricordano ancora con emozione e che deve essergli sembrata impegnativa e stupefacente come uno sbarco sulla Luna!
Facile immaginare come, in quelle condizioni, lealtà, amicizia e condivisione potessero diventare valori supremi, proprio perché, senza di essi, nulla di quel meraviglioso orizzonte che stava sorgendo, si sarebbe potuto concretizzare. Non vanno dimenticate, ovviamente, altre qualità molto più individualistiche, ma altrettanto ragnesche, come intraprendenza, tenacia e anche quel po’ di “cattiveria” necessaria per non farsi mettere i piedi in testa dagli altri e dal destino e per afferrare al volo le occasioni che la vita concede…
Quello che è venuto dopo – le grandi imprese e la fama internazionale – deriva tutto da lì e, per quanto sempre oscillante fra la vocazione elitaria e quella più sociale, credo che la vera anima del gruppo, la sua essenza, da oltre 70 anni stia proprio in quel legame di stima e amicizia basato sulla condivisione di una passione profonda e totalizzante.

Certo non sono mancati negli anni i momenti di crisi, anche drammatici, in cui la storia dei Ragni ha rischiato di naufragare nelle discordie. Penso ad esempio agli eventi che, negli anni ’70, portarono alle dimissioni dei 12 giovani che poi fondarono i Gamma, o alla fuoriuscita, a metà degli Anni ’90, di otto fra i più forti e attivi alpinisti del gruppo. Anche in quei frangenti, anche quando il dissenso si è manifestato con la forza dirompente di un abbandono, credo non sia mai venuta meno da parte di tutti la consapevolezza della cosa grande e preziosa che è questo sodalizio alpinistico. Daniele Chiappa, uno dei 12 dimissionari del ’76, non aveva dubbi in proposito: “Togliersi il Maglione Rosso per noi fu un po’ come strapparsi la pelle di dosso”. Oggi l’identità del sodalizio non è più legata strettamente all’appartenenza territoriale. Negli ultimi due decenni sono entrati nei Ragni ragazzi che vengono da zone distanti dalla città di Lecco: comaschi, varesini, sondriesi… Cos’è che lega questi ragazzi a questa lunga storia? Che cosa fa di loro dei Ragni di Lecco? Credo che, ancora una volta, tutto stia nella condivisione e nel sentimento di amicizia e stima che si viene a creare fra le generazioni.
Questa “magia” l’ho vista personalmente in azione. Anni fa ho visto la scintilla riaccendersi negli occhi di Claudio Corti – un uomo a cui l’alpinismo aveva forse tolto più di quanto avesse dato – quando si accostava a un giovanissimo Adriano Selva per chiedergli delle sue salite in solitaria fra le montagne del Masino, che anche lui aveva tanto amato.
Una nota personale. Ho scalato assieme a David Bacci sul Becco di Valsoera in una giornata d’inverno, pochi giorni dopo la scomparsa di Romano Perego: per entrambi era stato spontaneo il desiderio di rendergli omaggio e salutarlo andando a ripetere quella sua via capolavoro. In quelle ore in parete David più volte mi ha ricordato della sua avventura di qualche anno prima sulla Slovak Direct del Denali, vissuta assieme a Luca Moroni. Nel corso di quella difficile e pericolosa salita, la consapevolezza dell’appoggio e dell’entusiasmo che gli avevano dimostrato Romano e Luigino Airoldi (reduci della mitica spedizione che nel ’61 compì la prima ascensione del versante Sud del colosso alaskano) fu per loro una vera marcia in più: uno stimolo straordinario a tenere duro e credere in sé stessi e nei propri sogni.
Messa così la vita del sodalizio ragnesco forse rischia di sembrare una soap opera, tutta violette e margherite… Non lo è. Abbiamo anche noi i nostri cardi spinosi, a mazzi! Ma sono dei bei fiori i cardi: sono tosti, sanno resistere al sole cocente e, il giorno dopo le bufere più gelide sembrano ancora più splendenti; crescono dove gli va, spesso nei posti più impensati, e sono bravi a difendersi da chi gli vuol mettere i piedi in testa…
Serafino Ripamonti
