Letture. I disperati del Monte Senza Speranza

Tutti (o quasi) conoscono il Capo di Buona Speranza, la via obbligata per le Indie prima dell’apertura del Canale di Suez. Pochi (o nessuno) invece hanno idea di dove sia il Monte Senza Speranza (Mount Hopeless). Ce lo racconta Albano Marcarini. 

Non siamo ai livelli e neppure alle latitudini dell’Himalaya: il Mount’Hopeless arriva a 127 metri d’altezza (128 con il cumulo di pietre che è stato posto sulla vetta) e si trova nella desolazione del deserto australiano. Nel giugno del 1840, Edward Eyre, fra i più testardi degli esploratori inglesi, partì da Adelaide, con due obiettivi: sfatare l’opinione che voleva l’Australia del Sud una sorta di isola circondata da grandi laghi; e, di conseguenza, compiere la prima traversata terrestre del continente, da sud a nord. Robetta.

L’eccitazione lo indusse a sottovalutare l’equipaggiamento. L’acqua cominciò a scarseggiare dopo pochi giorni e la poca che si trovava si poteva definire sale puro, diluito in qualche goccia d’acqua. Il 2 settembre, sopra un’altura rocciosa, Eyre scorse un immenso e invalicabile lago salato a forma di ferro di cavallo che cingeva tutta la regione. Desideroso di un buon bicchiere di gin-tonic, chiamò la montagnola Mount Hopeless perché “il nostro destino”, come annotò nel diario, “era ormai senza gioia e senza speranza” e decise per il dietro-front. Qualche burlone poi, a rincarare la dose, aggiunse, non lontano da Hopeless, anche le Illusion Plains.

Alcuni anni dopo si promisero 2000 sterline a chi fosse riuscito nell’impresa fallita da Eyre. La spedizione di Robert Burke, diversamente da Eyre, non lesinò quanto a provviste. Le 20 tonnellate di cibo, trasportate da 18 cammelli e 22 cavalli, sarebbero bastate per un reggimento, per non dire di un “salotto da viaggio” completamente arredato, un gong cinese e altre amenità. Quello che invece a Burke faceva difetto era il senso dell’orientamento, dote non disprezzabile in un esploratore. Nota era la sua capacità di perdersi anche intorno a casa.

Il Mount Hopeless in un’immagine da Internet e, in apertura, la morte dell’esploratore Robert O’Hara Burke dopo avere ingerito alcune bacche velenose nella traversata del continente australiano © Photos.com/Thinkstock. Nella cartina la zona descritta da Albano Marcarini.

In ogni caso la partenza da Melbourne fu salutata come un evento epocale. Per l’inspiegabile dote che a volte possiedono i dilettanti, Burke raggiunse la costa nord dopo oltre duemila chilometri di “vuoto” geografico, inenarrabili fatiche e dopo essersi “alleggerito” del pesante seguito. Strada facendo aveva abbandonato gran parte delle provviste e, nonostante il pensiero della lauta ricompensa, sulla via del ritorno iniziò a dubitare della sua sopravvivenza. Quando assieme a due compagni, logori, affamati e semideliranti, raggiunse il “campo base” il grosso della spedizione era partito da poche ore lasciando solo qualche misera provvista. D’altra parte era in ritardo di oltre un mese sulla data del ritorno.

Nella disperazione più totale Burke e i compagni si rimisero in marcia per raggiungere il posto di polizia di Mount Hopeless, a circa duecento chilometri di distanza. Non ci arrivarono mai. Burke e il suo vice Willis morirono dopo aver ingerito alcune bacche velenose, il terzo fu salvato dagli aborigeni.

Un’ultima curiosità. A pochi chilometri da Mount Hopeless transita la pista di Strzelecki, ancora oggi unica traccia percorribile dagli automezzi. Fu tracciata nel 1870 da un certo Harry Redford nel 1870 dopo aver rubato mille capi di bestiame nel Queensland per portarli ad Adelaide. Catturato e tratto in giudizio, invece della forca gli fu espressa gratitudine per l’indiretto servizio che aveva reso nell’aprire una nuova via nel deserto, in seguito intitolata all’esploratore polacco Paul Edmund de Strzelecki.

© Albano Marcarini 2020

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