Montagne da ritrovare. Il futuro è dietro le spalle
Rifugi o tende? Sulle modalità che condizioneranno durante l’estate le nostre escursioni in montagna mentre ancora incombono le ristrettezze imposte dalla pandemia interviene lo scrittore milanese Paolo Paci, attento osservatore della vita tra zero e ottomila. Paolo si dichiara allergico ai rifugi e alle tende, non certo alla grande bellezza della montagna come dimostrano chiaramente i suoi tanti libri dedicati alle terre alte. Lo ingraziamo vivamente per l’originale contributo su un tema oggi molto discusso e di cui si trovano ampie tracce in mountcity.
Io sono di quelli che una giornata in montagna la vorrebbero di piena luce, per ventiquattr’ore, così da non dover affrontare il penoso dilemma del pernottamento. Faccio subito una premessa, che suonerà impopolare: non amo i rifugi. Pur riconoscendone l’inestimabile (e insostituibile) funzione, e pur sapendo l’autentica passione della maggioranza dei gestori, ai rifugi io associo automaticamente l’idea del russatore seriale che non mi farà dormire. Un tempo avrei associato anche l’idea di pessimo cibo e scarsa igiene, ma devo ammettere che da anni, tranne che al Goûter e a pochi altri deprecabili indirizzi, non è più così.
Se non amo i rifugi amo ancor meno le tende: costole ammaccate, umidità (astenersi dopo i 50) e meteo avversa sono il minimo che si deve aspettare il campeggiatore d’alta quota. A questo proposito mi permetto un ricordo d’altri tempi, quattro decenni or sono: un attendamento in Val di Mello con risveglio sotto spessa coltre di neve (a maggio); era con noi Ezio “Broca” Bassetto, grande arrampicatore di Mestre (una brutta malattia si è appena portato via: colgo l’occasione per ricordarlo con affetto).
Oggi però il dilemma non ha a che vedere con i gusti personali: parliamo di sicurezza sanitaria. Riguardo a questo tema non ho dubbi: il rifugio è la scelta più corretta. Aprono alberghi e ristoranti: con le stesse precauzioni apriranno anche i rifugi, e si trasformeranno in presidi sul territorio, per monitorare una popolazione di alpinisti ed escursionisti che altrimenti potrebbero andare ovunque, con comportamenti a volte illeciti (sulle Alpi non si può campeggiare ovunque, tutt’altro!), a volte solo anarchici (rischio d’inquinamento, come ai campi base in Himalaya).
Conferma questo mio pensiero una conversazione che ho appena avuto con Guido Trevisan, che oltre che gestore di rifugio è anche ingegnere ambientale. Il suo rifugio, il Pian dei Fiacconi alla Marmolada potrebbe essere una buona case history per i nostri tempi. “Liberato” finalmente dal vecchio impianto della cestovia e dall’illusione dello sci estivo, “torna a essere un rifugio per alpinisti” dice Guido, molto ottimista. Nonostante abbia solo camerate e non camere singole, sta già pensando a come organizzare i posti letto e le tavole per rispettare i parametri di sicurezza.
“Certamente, bisognerà contingentare gli arrivi”, ammette Trevisan. Ecco, secondo me in queste parole c’è il futuro prossimo della nostra montagna. Oltre che sudarsela a piedi, bisognerà anche prenotarla, come si fa con i buoni ristoranti e i musei più famosi. Non è male in fondo l’idea che l’ambiente alpino torni a essere prezioso, magari poco meno fruibile ma anche meno consumistico e consumato.
Paolo Paci
