Rifugi. Quali linee guida per l’estate

Sulle Alpi in tenda, sacchi a pelo e cibo negli zaini? Questa domanda si poneva il 18 aprile il quotidiano La Repubblica in un servizio sulle prospettive riguardanti le riaperture dei rifugi alpini nel corso dell’estate. Un’ipotesi suggerita e supportata da un dirigente del Club Alpino Italiano, un’impresa che in nome dei suoi 300 mila e più soci gestisce la bellezza di 373 rifugi in tutto il Paese e dunque rappresenta una delle voci più importanti per posti letto nel turismo nazionale. “La soluzione potrebbero essere le tende, come in un trekking su montagne lontane o come facevamo quando eravamo giovani”, aveva in precedenza ipotizzato il presidente generale. Non si sa se scherzasse. Com’era facilmente prevedibile, l’ipotesi delle tende non è piaciuta ai rifugisti e non solo a loro. Numerose sono state le prese di posizione che hanno costretto la dirigenza del Cai a rimangiarsi questo scenario scoutistico. Di qui la precisazione tempestivamente messa in rete dallo stesso Cai. In base alla quale “pur essendo vero che possono esserci difficoltà a riaprire i rifugi, soprattutto quelli di alta quota, deve essere chiaro che il Club Alpino Italiano si è attivato e sta lavorando per scongiurare questa ipotesi”.

LA POSIZIONE DELLA SAT. “Attualmente sono in corso di studio e verranno tempestivamente diffuse linee guida e proposte di azioni concrete per rendere l’ospitalità nei rifugi coerente con le disposizioni sanitarie”. Questo ha dichiarato con concretezza Anna Facchini, presidente della Società Alpinisti Tridentini, d’intesa con l’Associazione rifugi. “Qualsiasi allarmismo è da evitare finché non conosciamo le condizioni che verranno poste alla fine dell’emergenza”, ha detto a sua volta il presidente dell’Associazione Rifugi del Trentino, Ezio Alimonta, titolare dell’omonimo rifugio nelle Dolomiti di Brenta.

NIENTE TENDOPOLI. Mario Fiorentini presidente Aghrav che rappresenta i rifugisti del Veneto e gestisce il rifugio Città di Fiume è stato esplicito: i rifugi vanno riaperti. “Parlare”, ha detto, “di rilancio dell’attività turistica in montagna per l’estate alle porte, privandola al tempo stesso del prezioso lavoro dei rifugi, è un controsenso. I rifugi chiusi, oltre a offrire un brutto biglietto da visita, rappresentano inevitabilmente un deterrente alle presenze in montagna”. Angelo Iellici, presidente del Coordinamento nazionale Rifugi che rappresenta più di 400 strutture in quota, sulle tendopoli ventilate dai vertici del Cai in quota ha a sua volta precisato: “La metodologia delle tende, dei sacchi a pelo, rende lo scenario ancora più complesso e fallace dal punto di vista igienico-sanitario, della sicurezza, perché queste persone dovranno comunque servirsi dei rifugi, è imprescindibile. Ci sono anche molte responsabilità nei confronti della protezione delle persone in caso per esempio di maltempo, se lo facessimo in un modo non corretto”.

LE IPOTESI IN LOMBARDIA. Le modalità della riapertura dei rifugi dipenderanno naturalmente dalle future disposizioni normative sulla Fase 2 dell’attuale emergenza sanitaria. Ma intanto anche i rifugi della Lombardia fanno sentire la loro voce. “Ad oggi non ci sono disposizioni precise”, viene precisato in un comunicato stampa del 20 aprile, “e possiamo solo immaginare ipotetiche soluzioni da mettere in campo per evitare che il nostro settore sprofondi portando con sé le singole realtà di ogni rifugio e lo sforzo che nel tempo abbiamo messo per diffondere e mantenere viva la cultura della montagna di Lombardia”. Come far fronte a questa situazione?, si domanda il presidente dell’Associazione Rifugi di Lombardia Gino Baccanelli. “Come ogni operatore turistico, tutti noi siamo in attesa di capirne le modalità, nel rispetto delle nuove norme di sicurezza, mettendo in campo maggiori sforzi di quelli che siamo abituati a fare a ogni ripartenza della stagione. Noi ci siamo. Ma come possiamo esserci? Prenotazioni contingentate? Semplice servizio di ristoro per gli escursionisti, evitando assembramenti? Punto di appoggio per eventuali emergenze?”.

UNA SCELTA INEVITABILE. In via preliminare risulta chiaro che occorrerà accettare il numero chiuso, una scelta così ovvia che viene da chiedersi come è stato possibile non averla adottata prima con il moltiplicarsi dei frequentatori nelle ultime stagioni specie nelle Dolomiti, con certe strutture traboccanti di gente affamata, costrette a cucinare salamelle sotto un tendone all’aperto. Per non dire dell’affollamento in quelle raggiungibili in taxi o pedalando comodamente in sella alle bici elettriche. Numero chiuso, già. Ci si mette in coda nei musei, ci si prenota a volte mesi prima, lo si faccia anche per salire a un rifugio. Così come, anche senza pandemie in vista, è stato necessario accettare, sia pure a denti stretti, un contingentamento per salire il Monte Bianco. (Ser)

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La celebre Capanna Monzesi al Resegone nel 2010 e, in apertura, una splendida veduta notturna del rifugio Rosalba nel cuore delle Grigne, sulle Prealpi lombarde.

2 pensieri riguardo “Rifugi. Quali linee guida per l’estate

  • 07/05/2020 in 17:34
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    Leggo oggi la notizia perchè per motivi di lavoro ho tralasciato la posta email. Quanto è vero il commento di Martina! Il CAI ha stanziato un FONDO SOLIDALE per venire incontro ai rifugi… QUALI? Spero che ci sia una distinzione fra I VERI RIFUGI DOVE DEVI ARRIVARE A PIEDI E I FAC SIMILI DI RIFUGI, TRASFORMATI IN ALBERGHI E RISTORANTI A CINQUE STELLE E RAGGIUNGIBILI CON VETTURA SU STRADA ASFALTATA. Speriamo che questi rifugi non abbiano un centesimo! Molti di questi rifugi sono di proprietà delle sezioni CAI che li affittano a gestori che devono pagare l’affitto, spesso oneroso. Insomma è un “do ut des” … (io do affinché tu dia). Molti di questi rifugi non espongono il tariffario CAI e se entri, qualificandoti, mal ti sopportano! A me non fanno pena, d’altronde sino a poco tempo fa hanno fatto ottimi affari.

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  • 24/04/2020 in 10:01
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    Mi sembra che il nome “rifugio” sia indicativo. Non vuol significare ristorante o albergo, come invece la maggior parte dei rifugi è oggi.
    Molti rifugi sono addirittura in contrasto con il significato della parola, dato che sono raggiungibili in auto.
    Se i rifugi tornassero a essere quelli che erano una volta, faticosi da raggiungere, non credo ci sarebbe il problema dell’affollamento, mentre è ovvio che per i rifugi di oggi, come per i ristoranti e gli alberghi, occorre prenotarsi.
    Ma perché continuare a chiamarli rifugi?

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