Il Cervino e i messaggi di speranza

E’ spuntato un cuore sul Cervino/Matterhorn, un messaggio di speranza degli svizzeri che rincuora. Come è ormai noto, fino al 19 aprile tutte le sere dal tramonto alle 23 un fascio di luce orientato sulla cima lancia questa e altre ottimistiche immagini al mondo colpito dalla pandemia. Oltre al cuore, si proiettano gli hashtag #hope e #stayhome. E di recente, piacevole sorpresa, si è anche proiettato il tricolore italiano. L’iniziativa promossa dal Comune elvetico di Zermatt nel Canton Vallese va apprezzata o viceversa deve essere bollata come una sgradevole speculazione a voler tener conto di certi dissensi sui social? C’è qualcosa di male nell’aderire, sia pure in modo spettacolare e sprecando un po’ di energia, all’attualissima retorica del “balcone” e dell'”andrà tutto bene” specialmente ora che le cose sembrano aggiustarsi? A nostro modestissimo avviso, ci potrebbero essere cinque buone ragioni per assolvere gli svizzeri senza voler processare a tutti i costi le loro buone intenzioni. Le elenchiamo di seguito. E chi non è d’accordo, se lo desidera, lo faccia gentilmente sapere.
- Il Matterhorn, visitato ogni anno da 3 milioni di turisti, rappresenta una risorsa irrinunciabile per un Paese, la Svizzera, che ha la fortuna di disporne (così come gli italiani dispongono, e non sempre ne fanno buon uso, delle Dolomiti, della Torre di Pisa, del Colosseo, della piazza San Marco a Venezia e anche dell’altra metà della Gran Becca). Guardando al dopo coronavirus, è lecito che il focus venga mantenuto su questa incommensurabile risorsa naturale.
- Aveva visto giusto una dozzina d’anni fa il grande Bruno Bozzetto così efficace nel mettere alla berlina le incognite del turismo consumistico. Il “papà” del Signor Rossi disegnò infatti un manifesto con il Cervino in veste di sciantosa: un Cervino antropizzato che, adorabile, scende delle scale con l’immancabile tappeto rosso. Più che mai superstar, la Gran Becca ebbe un giusto tributo anche per i 150 anni della prima scalata con illuminazioni e fuochi d’artificio. Niente di male, anche se il luna park del turismo ne minaccia da sempre la presunta “purezza” e addirittura molti italiani si opposero quando negli anni 30 una strada violò per la prima volta la pace del Breuil.
- A illuminare con le fotoelettriche il Cervino furono per primi gli Alpini nel 1965 in occasione del centenario della prima scalata. L’esperienza fu ripetuta nel 2017 in occasione delle celebrazioni per il centocinqantennale. Nessuno che si sappia ha mosso critiche alle “penne nere”.
- Fu invece giudicata una “scempiaggine” nel 2018 l’iniziativa dell’ex campione di sci elvetico Pirmin Zubriggen di farsi trasportare in elicottero sulla cima del Cervino dove diede fuoco all’olio contenuto in un grande bidone. Tutto ciò per promuovere con un grande falò la candidatura olimpica della città elvetica di Sion per i Giochi invernali del 2026 che poi sono stati assegnati a Cartina d’Ampezzo e a Milano.
- Furono indiscutibilmente gli italiani ai tempi dell’Unità d’Italia a “usare” il Cervino a scopi di propaganda. Lo facevano anche i francesi col motto “par la montagne, pour la patrie” (attraverso la montagna per la patria). La prima scalata del Cervino, che fu poi appannaggio della cordata inglese di Whymper, faceva infatti parte nel 1865 di un piano patriottico per replicare all’invadenza degli inglesi dell’Alpine Club. Tale piano era stato inaugurato dalla “riconquista” italiana del Monviso capitanata dallo statista Quintino Sella nell’estate 1863 e venne consolidato il 23 ottobre di quell’anno con la fondazione del Club Alpino Italiano al Castello del Valentino.
E’ evidente, fino a prova contraria, che certe lezioni di stile indirizzate agli svizzeri per i messaggi di speranza proiettati da Zermatt vanno rispedite al mittente e che gli amici svizzeri fanno bene (a nostro modesto giudizio, perlomeno) a tenere alta l’attenzione del mondo su questa meraviglia che abbiamo la fortuna di poter condividere con loro. (Ser)
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