Ritorno in cortile
Provvisoriamente costretto come tutti a rinunciare ai consueti vagabondaggi primaverili sulle amate prealpi, tra verdi pascoli non ancora inondati dai narcisi, anche un grande amico della montagna come Lorenzo Dotti, attivissimo socio della Società Escursionisti Milanesi e autore di piacevoli “récit” alpinistici in questo sito, si è lasciato ghermire dai ricordi d’infanzia. Ne è nato questo racconto che mountcity è lieto di pubblicare. Grazie Lorenzo per avercelo affidato e buona lettura a chi ci onora della sua presenza, sia pure virtuale.
Quei giochi d’altri tempi
In questi giorni di confino domestico per la pandemia del coronavirus, ho visto alcuni bambini giocare in cortile, non potendo andare ai giardini. Di solito ci giocano da soli, sia per rispetto delle ordinanze delle autorità, sia per il ridotto numero di bambini che la nostra società narcisista produce, preferendogli cani e gatti. Così mi sono ricordato dei giochi in cortile della mia infanzia, molto più comuni tra i numerosi babyboomer. Negli anni cinquanta del secolo scorso, abitavo a Porta Vittoria, esattamente al civico 6 di Piazza V Giornate. Era – ed è – un grande palazzo di otto piani, di cui cinque originari ed altri tre “sopralzati” come usava spesso fare ai tempi. Allora c’era una penuria di alloggi, e ricordo che i nostri vicini di pianerottolo subaffittavano una stanza a una famiglia di immigrati veneti: i meridionali non erano ancora arrivati.
Avevamo il “riscaldamento autonomo” che consisteva di una stufa a carbone posta in cucina, che riscaldava i termosifoni di tutto l’appartamento. Io era incaricato del rifornimento del carbone – in forma di ovoli e mattonelle – depositato in cantina. Scendevo a prenderlo con un secchio, illuminandomi il percorso con una lampada contenente una candela. Ricordo ancora i brividi di paura nei sotterranei bui.
Non avevamo ancora il frigorifero e d’inverno tenevamo il burro sul davanzale della cucina, d’estate sotto un filo d’acqua del rubinetto.
La finestra della mia camera guardava sul cinema “Colosseo” e non ne capivo il nome, essendo quello di un monumento di Roma. Ora questo palazzo era collegato sui lati ad altri, a formare un isolato, che racchiudeva al proprio interno un grande cortile, dove noi bambini potevamo giocare senza pericolo. I nostri giochi erano di movimento, nascondino, quattro cantoni, mosca cieca, rialzo, “ti ghe l’è” che in milanese significa “ce l’hai” cioè rincorrersi. Allora il milanese era ancora parlato, tanto che alle elementari spesso dovevano correggerci.
C’era anche il “ti ghe l’è francese”, una variante in cui il bambino che veniva acchiappato doveva poi inseguire gli altri tenendosi una mano sulla parte del corpo toccata: un bel problema se ti beccavano su una gamba. A proposito, le gambe allora erano scoperte: si portavano calzoni corti anche d’inverno.
Ma il cortile aveva anche un’altra funzione: su di esso si aprivano i retrobottega dei negozi che, disposti tutto intorno, costituivano un comodissimo mercato a chilometro zero. Così noi bambini venivamo inviati dalle mamme a fare la spesa, passando appunto dai retro, locali che ci apparivano intriganti, così diversi dall’aspetto ben più ordinato della parte aperta al pubblico. Un po’ come il teatro dietro le quinte. Ricordo bene il panettiere, il droghiere, il fruttivendolo ed il lattaio, che vendeva anche burro e formaggi, ma non lo yoghurt, giunto più tardi sul mercato italiano.
Noi bambini potevamo fare la spesa senza uscire dal palazzo, con due eccezioni: la farmacia e la macelleria, cui bisognava accedere dal marciapiede, credo anche per ragioni igieniche. Ma del resto si trattava di acquisti complessi che non potevano essere delegati ai bambini.
Quando sarà finita la quarantena forse tornerò a rivedere il grande cortile, ben sapendo che sarà cambiato, e forse accetterò “finalmente il fatto come una vittoria”.
Lorenzo Dotti

Lorenzo Dotti