Messner e le “tavole” che piacerebbero a Greta
“Un appello destinato a scuotere le coscienze di chiunque ami la natura” viene definito dal quotidiano tedesco Kronen Zeitung il nuovo libro di Reinhold Messner “Salviamo le montagne” (Corbaccio, 160 pagine, 16 euro). Volesse il cielo che fosse così. Nella traduzione di Valeria Montagna (nome omen…), il Messner pensiero ora si fa apprezzare anche al di qua delle Alpi in lingua italiana. Animato da una rinnovata vocazione ambientalista, il re degli ottomila non risparmia lo staffile come San Carlo con gli infedeli. Sarebbe però bello se chiarisse meglio chi siano i non meglio identificati “pantofolai estremisti” che frusta a sangue perché a suo dire “vorrebbero impedire il vivere stesso”. Proviamo allora noi a chiarire a quale categoria di umani Messner riserva la sua ira sacrosanta. E’ da tempo che ce l’ha con quelli che definisce chiacchieroni: i Verdi, Mountain Wilderness et similia. Avrà le sue ragioni e nessuno dubita che lui sappia dal suo empireo come vanno le cose.
Ora con questo libro l’ipotesi è che Messner voglia scendere in campo nell’ambientalismo del nuovo millennio dominato dalla figuretta di Greta. Da un uomo della sua tempra c’è da aspettarselo. In tal caso i primi ad accoglierlo con piacere sotterrando l’ascia di guerra sarebbero probabilmente, salvo smentite, proprio gli attivisti di MW ai quali trent’anni e più or sono Messner fornì la sua “attiva ed entusiastica collaborazione” come risulta dai faldoni conservati alla Biblioteca Nazionale del Cai. Reinhold sa benissimo che alla sua età c’è il rischio di mummificarsi rancorosamente tra pregiudizi e luoghi comuni. “Mountain Wilderness? Meglio che taccia per sempre!”, disse un paio d’anni fa rispondendo a un’intervista. Vecchie ruggini. Che ci stia ripensando? Possibile un passo indietro?
A 76 anni suonati, Messner dichiara nel suo libro di essere diventato “pragmatico” e che per lui “le uniche montagne che val la pena di salire sono le montagne sane”. Anche gli amici ambientalisti la pensano così. Che si tratti di Alpi, Himalaya o Alti Tatra, Messner deplora che tutte le regioni montane si siano trasformate “in altrettanti parchi avventura, vie attrezzate e comprensori sciistici innevati anche artificialmente, dove biker, scalatori e sciatori si aspettano un divertimento senza imprevisti, perfettamente organizzato, soccorso alpino onnipresente incluso”.
Ora ci vuole poco a capire che il green deal lanciato dall’Unione Europea sarebbe propizio per una sua nuova discesa in campo. Sarebbe una mossa azzeccata, un modo per rimettere a fuoco il fin troppo strombazzato “alpinismo oltre i limiti umani” promosso nella pubblicità di nuove collane di libri. Quali sarebbero questi limiti secondo Messner? “Non c’è bisogno”, spiega, “di salire l’Everest, magari in fila indiana, con bombole di ossigeno e sherpa d’alta quota, per vivere la montagna. È importante che ognuno faccia le esperienze adatte alle proprie capacità e nel pieno rispetto dell’ambiente: solo così la montagna potrà continuare a essere un bene di tutti, un bene prezioso, capace di rigenerare lo spirito dell’uomo”.
Novello Mosè sul Sinai, Messner detta dunque la sua “carta dei valori” per le montagne. Perentorio nelle dieci tavole è l’invito a fermarsi. “Uno stop allo sfruttamento dell’alta montagna è un dovere assoluto”. Più avanti, temendo di essersi dimenticato qualcosa (scherzi dell’età…), Reinhold si pone una serie di domande chiarificatrici. E da questo simpatico selfie emerge ancora una volta un quadro desolante dell’odierno andare in montagna “storditi dalla musica trasmessa dagli auricolari”, lungo sentieri intasati da “pazzi” ciclisti mentre dall’alto si gettano, più pazzi ancora, certi individui in tuta alare.
Qualcosa di nuovo sotto il sole? Anche le Tesi di Biella, fondamento di Mountain Wilderness, spiegarono trent’anni fa che va combattuta in montagna la cultura della commercializzazione e del proselitismo indiscriminato. Piccolo excursus. Negli anni Ottanta su “Airone montagna” Walter Bonatti decretò con il coltello tra i denti che invecchiando l’alpinismo stava peggiorando e indicava come concause la corsa ai record, il protagonismo sfrenato, le sponsorizzazioni a tappeto, l’ecologismo d’assalto. Figurarsi che idea si farebbe oggi se fosse ancora al mondo.
E comunque, per saperne di più del Messner pensiero niente di meglio che leggere l’intervista su La Repubblica del 31 gennaio intitolata “Salviamo le montagne, Milano sa perché”. Sicuro, i milanesi non sanno che cosa stanno perdendo a causa della liquefazione ormai certa dei ghiacciai. E meno male che sotto la metropoli scorre fin nelle gallerie percorse dalla metropolitana un fiume di acqua purissima e fors’anche lievissima proveniente da risorgive. Di una cosa Messner è anche sicuro. Il futuro della città si giocherà sulla “capacità di coniugare sviluppo e ambiente, natura e modernità”.
Viene da abbracciarlo Reinhold quando spiega che “dobbiamo innanzitutto fare in modo che le persone restino a vivere lassù in montagna, a lavorare la terra”. E che chi, al contrario, va in montagna per scalarla o goderla, “è bene che vada a piedi”. Già, bisogna smetterla di “costruire impianti, strade, funivie, rifugi ovunque”. Da tempo Messner non fa che ripeterlo: la grandezza spirituale della montagna deve essere salvaguardata, e oltre una certa quota bisogna fermarsi. “Finché le persone penseranno di poter ‘consumare’ l’esperienza dell’andare in montagna, non impareranno nulla da lei”.
Preoccupato per le incombenti Olimpiadi? “Spero che le infrastrutture che si faranno siano minimaliste, a basso impatto. Mi piacerebbe che si agisse in modo che questi investimenti abbiamo una durata, un valore anche per le prossime generazioni. Non servono cattedrali abbandonate nel deserto, e nemmeno in montagna”. Già, anche noi pantofolai bipedi di città lo speriamo ardentemente. Fa’ uno sforzo, caro Reinhold, scendi di nuovo in campo a fianco dei fin troppo vituperati ambientalisti. Anche Greta ne sarebbe felice. (Ser)

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