Alpinismo dell’altro mondo

Da Andrea Camilleri a Nadia Toffa, un giornale ha pubblicato alla fine dell’anno scorso un elenco di 61 personalità che ci hanno lasciato nel 2019. Invano qualche appassionato di alpinismo avrà cercato in questo elenco i nomi di alcuni protagonisti delle alte quote che il Signore delle cime ha voluto tenersi lassù. Eppure delle gesta di Daniele Nardi e Tom Ballard immolatisi sul Nanga Parbat si sono modicamente occupate le cronache perfino sui giornaloni. E sui loro crudeli destini sono usciti due libri. Il polacco Tomek Mackiewicz, padre di tre figli, lasciato in tenda a 7200m ormai agonizzante in un altro sciagurato tentativo al Nanga è entrato a sua volta in una sia pure modesta epopea cartacea grazie al libro che Mulatero ha pubblicato a tamburo battente (“La versione di Tomek”, 230 pagine, 23 euro).

Tom Ballard e la sua biografia scritta per Solferino libri dall’alpinista veneziano Marco Berti.

Che la montagna assassina possa aiutare a riempire gli scaffali lo dimostra il libro “La via perfetta. Nanga Parbat: sperone Mummery” (272 pagine, 17,50 euro)  scritto da Daniele Nardi e portato a termine per Einaudi da Alessandra Carati su esplicita richiesta dello stesso alpinista che ben sapeva di mettere in gioco la vita. Il volume è il diario dell’impresa tentata l’inverno scorso sul Nanga Parbat: una scalata da kamikaze, perfetta come dice il titolo, ma solo per raggiungere il paradiso degli scalatori. L’alpinista di Sezze ha fatto di tutto per affrontarla in invernale, attraverso il temibile sperone Mummery. Bellissimo libro, comunque, indispensabile per capire quali veleni si celano dietro un mondo, quello dell’alpinismo, che solo a parole professa correttezza, sincerità e onestà. Massimo Gramellini ha dedicato a questa (per alcuni) avvincente storia la 98a puntata della trasmissione “Le parole della settimana”: quando faceva parte del mondo dei vivi poteva forse il povero Daniele aspirare a un tale onore?

Andrea Purgatori

Del tragico Nanga e di Nardi si è parlato 19 febbraio 2020 anche su La 7 per ben quattro ore con una meticolosa analisi giornalistica. Dal punto di vista televisivo, un evento storico. Non capita mai che l’alpinismo occupi così a lungo sui teleschermi una prima serata. È invece successo nella trasmissione “Atlantide – Storie di uomini e di mondi”. Ma ancora una volta la scelta è caduta su un evento funesto che getta vistose ombre su un alpinismo oggi come ieri incompreso, ma sarebbe meglio dire incomprensibile. E c’è voluta la pacata professionalità del conduttore Andrea Purgatori per dipanare una matassa aggrovigliata su cui si sarebbe anche potuto vantaggiosamente stendere un pietoso silenzio. Tanto più che i risultati dell’Auditel sono stati modesti: 457 mila spettatori contro i 2,4 milioni di “C’est la vie” in prima serata su Raiuno. Insignificante anche lo share: solo il 2,2% di chi quella sera ha seguito la trasmissione di Purgatori.

Tornando all’editoria, Tom Ballard che ha condiviso la tragica sorte di Nardi sul Nanga Parbat viene raccontato per Solferino libri da Marco Berti. Il libro si intitola “Tom Ballard il figlio della Montagna” (272 pagine, 18 euro). Il giovane inglese viene descritto come un ragazzo incredibilmente “puro” rispetto all’esperienza mediatica che stava affrontando. Cercava una più che plausibile visibilità da quel professionista che era. E, purtroppo per lui, l’ha trovata, ma a che prezzo.

Per concludere, due trasmissioni televisive e tre volumi sono stati dedicati alla montagna killer Nanga Parbat (killerberg per i tedeschi) nel giro di pochi mesi. Tre storie di un alpinismo dell’altro mondo, tre editori impegnati ad accaparrarsele, due trasmissioni che hanno fatto leva più che altro sull’aspetto umano delle sciagure. C’è forse ancora da chiedersi come mai la montagna quando vi scorre il sangue la si può meglio smerciare? La ragione principale, per dirla con il grande polacco Krzysztof Wielizcki, potrebbe essere che lassù tra i monti si continua a morire perché la passione è troppo forte. E la morte alimenta incredibilmente la passione. Ad attirare i lettori è probabilmente il fatto che questi poveri ragazzi di cui si è parlato hanno corso rischi che nessuno di noi avrebbe avuto il coraggio di correre accontentandosi di quelli assai più banali offerti dal corona virus. In tanti nell’ambiente alpinistico li hanno beatificati, a cominciare dai loro cari, e si può tranquillamente affermare che una certa stampa specializzata ci abbia marciato.

Il libro scritto da Daniele Nardi dopo la sua morte è stato portato a termine per Einaudi da Alessandra Carati.

Sta di fatto che le non poche autorevoli analisi compiute sulla fine di Daniele e Tom non hanno fatto che alimentare la loro (per adesso) presunta leggenda, se di questo si tratta. Scarsa presa ha avuto per i due la parola rinuncia rilanciata anche da gente del mestiere. Reinhold Messner peraltro ha usato anche la parola “suicidio” a sciagura avvenuta. È possibile, ancora ci si chiede forse ingenuamente, che pur essendo entrambi questi alpinisti consapevoli del destino a cui andavano incontro, non abbiano ravvisato alcun motivo per abbandonare l’impresa? E fino a che punto in alpinismo la rinuncia è vista come un punto d’onore e non un’infamia?

Una delle rinunce più famose è stata di recente quella di Hervé Barmasse. Giunto a tre metri dalla cima dello Shisha Pangma, questo figlio del Cervino pensò “qui muoio” e si fermò rinunciando alla vetta. Ma una rinuncia non basta a fare di un libro un best seller, a entrare eventualmente nella leggenda. E nemmeno una sciagura può garantire l’immortalità. Saremmo ancora qui a raccontare di Walter Bonatti se nel 1955, deluso per il K2, fosse precipitato dal Petit Dru, impegnato nel temerario pendolo su placche fessurate? Come tutti sanno, Walter per salvarsi fece un nodo con cordini, lo lanciò alla disperata per dieci volte in alto finché finì in una fessura. Sollievo. Quel riuscito tentativo estremo lo tolse dai guai. Augurandosi che reggesse, visto che non aveva altra scelta per uscirne vivo, si lanciò con successo nel pendolo e fu anche così che divenne un mito. (Ser)

Tomek Mackiewicz lasciato in tenda a 7200m ormai agonizzante è entrato nell’epopea anche grazie al libro che Mulatero ha pubblicato a tamburo battente (“La versione di Tomek”, 230 pagine, 23 euro).

 

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