Manaslu, quell’incubo incancellabile
L’unica spedizione che segna negativamente il curriculum di Hans Kammerlander, gran conquistatore di ottomila, è stata quella del 1991 sul Manaslu, in Pakistan, quando ha perso in tragiche circostanze gli amici di scalata Karl Grossrubatscher e Friedl Mutschlechner. A questa sventurata spedizione l’alpinista sudtirolese dedicò un drammatico capitolo del libro “Malato di montagna” (Corbaccio, 2000). Scrisse che si sentiva colpevole di non essere rimasto lassù al posto dei suoi amici. E oggi a quella straziante vicenda dedica alcune delle sequenze di “Manaslu – La montagna delle anime” di Gerald Salmina, dal 14 gennaio nelle sale cinematografiche. E’ una ferita questa che accompagnerà per sempre il simpatico Hans insieme con quella di un incidente mortale da lui provocato in stato di ubriachezza alla guida.

Nel lungometraggio la fiction si alterna a materiale d’archivio e la figura di Kammerlander è via via affidata alle interpretazioni di Michael Kuglitsch, Leo Seppi e Simon Gietl. L’operazione presenta, a quanto si legge in una recensione, il difetto di apparire eccessivamente celebrativa, con un accumulo di ralenti ed effetti carichi di enfasi. Ma Kammerlander è un personaggio troppo importante nella storia recente dell’alpinismo per non meritare un briciolo di indulgenza. Scalatore, guida alpina, maestro di sci, nato a Campo Tures (Bolzano) nel 1956, divenne popolare quando nel 1984, con Reinhold Messner che lo volle come compagno, compì l’impresa di salire di seguito due ottomila, i Gasherbrum I e II. E nel giro di una settimana. Nel 1996 un nuovo alloro: raggiunse la cima dell’Everest senza maschera d’ossigeno e ne discese in sci.
Al Manaslu Kammerlander è tornato nel 1998, poi di nuovo nel 2017 per girare parte del film. E adesso? “Se fossi giovane”, ha risposto a Enrico Martinet de La Stampa, “avrei due progetti. I 14 Ottomila con gli sci oppure la salita a tutti in un solo anno. Ma lo farei per me stesso. Oggi c’è la massa sull’Himalaya, la cultura è andata in malora. Ci vorrebbe un ritorno alla natura, ai suoi valori. E ai ritmi dell’alpinismo”. Cioè? “La notorietà è difficile da raggiungere, devi fare le cose più matte. Pericoli, altezza, tutto deve essere il massimo”.
Parla di “errori” Hans: a ogni frase ripete questa parola. “Sì, se ne fanno tanti. Io ne ho fatto uno terribile stroncando una vita con la mia auto. Gli alpinisti cercano sempre di passare come ‘il migliore’: non è né vero né sincero. Ciò che è vero è che noi siamo degli egoisti. È questa la nostra vita, è più forte di noi, ma bisogna farlo sapere”. (Ser)
Guarda il trailer italiano:
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