Alpi dimenticate nella Torino che cambia
“Il cielo sopra Torino” è il titolo dell’articolo di Enrico Camanni che apre in gennaio sul web il fascicolo della rivista Dislivelli. Si riferisce a una specie di disincanto della città nei confronti delle Alpi. Un argomento che ha fatto trasalire anche la statua di bronzo di Quintino Sella, papà del Club Alpino Italiano, nel cortile del Politecnico. A Camanni fa eco il giornalista Fabrizio Goria che affida al sito “Camosci bianchi” un suo scritto il cui titolo suona come una specie di invettiva: “Come Torino dimentica le sue montagne”. Goria non nutre dubbi sul fatto che la sua città “abbia perduto completamente di vista le sue origini, le sue tradizioni, le sue montagne”. Torino, osserva, è un città completamente circondata da montagne che possono arrivare ad oltre 3000 metri. “Immaginate”, scrive il giornalista, “che, tecnicamente, queste montagne possono essere raggiunte in meno di un’ora. E immaginate che queste montagne contengano una tal biodiversità quasi unica al mondo. In pratica, un sogno per tutti gli appassionati di natura, ma anche per tutti coloro i quali vivono per l’alpinismo. E non è un caso che questa attività si chiami così. Perché è ‘nata’, nel senso contemporaneo del termine, sulle Alpi”.

Che cosa allora non va per Camanni e per Goria? “Stiamo parlando del rapporto che Torino ha con le Valli di Lanzo”, specifica Goria. “Valli selvagge, paradiso per molti, ignorate da troppi. Per un torinese nato tra gli anni Quaranta e gli anni Ottanta, è impossibile non pensare con affetto alle Valli di Lanzo. Val Grande, Val d’Ala, Val di Viù, così come il Vallone di Sea, la Val Malone e la Valle del Tesso, non di rado, rappresentavano uno degli approcci più semplici alla vita montana, alla cultura alpina, a quelle piccole cose che rendono la vita degna di essere vissuta, come accarezzare un bovino o sentire il profumo del fieno d’alpeggio appena tagliato”.
Il problema, precisa Goria, è che è quasi impossibile raggiungere le Valli di Lanzo nel fine settimana coi mezzi pubblici. Certo, il treno della Torino-Ceres c’è, ma a che orari? Il primo treno di domenica (o festivi) è alle 7:43, ma arriva solo a Lanzo. E se si vuole andare oltre? Bisogna prendere un bus. “Ma non è quello il punto. Il punto è che ci sarebbero fior di alpinisti che vivono in città per esigenze lavorative e vorrebbero andare nelle Valli di Lanzo coi mezzi pubblici, ma non possono. Perché arrivare a Lanzo alle 8:36 di domenica per iniziare una gita non è letteralmente fattibile. Non parliamo poi di chi arriva da altre regioni”.
“Inutile girarci intorno”, spiega ancora Goria. “Torino si è dimenticata le Valli di Lanzo. Ed è tutto sotto gli occhi di tutti da quasi 20 anni. Ovvero, quando si è iniziato a parlare delle Olimpiadi invernali del 2006. Si poteva contare sulla bellezza della Val d’Ala, sul Pian della Mussa, o su quella che molti oltreoceano definiscono come “la piccola Yosemite d’Europa”, ovvero il Vallone di Sea. Invece, si è deciso di puntare su quel turismo da ‘settimana bianca’. Quello macchiettistico che abbiamo tutti osservato nei vari ‘Vacanze di Natale’ di vanziniana memoria. Come si è fatto a Cortina, in Val di Fiemme e Fassa, in Val Gardena. Le Dolomiti, non a caso, in Italia sono al top per la ricezione turistica. Mentre a Torino pare che le uniche località montane degne di nota per gli amministratori locali siano quelle della Via Lattea, destinate allo sci alpino. Le altre? Dimenticate”.
Ma tutto il mondo è paese. Anche chi vive al cospetto della madonnina ora che Milano condivide con Cortina e le Dolomiti i Giochi olimpici del ’26, si dimentica spesso della bellezza di quel Triangolo Lariano, di quelle Grigne, di quel Resegone, di quelle Orobie che sono a un tiro di schioppo. D’altra parte niente di nuovo sotto il cielo. Perfino un altro torinese doc come Maurizio Dematteis che dirige la citata rivista on line “Dislivelli” espresse qualche anno fa nel suo libro “Via dalla città” analoghe perplessità. E tutto ciò benché l’Associazione Dislivelli abbia cercato a lungo di risvegliare sulle rive del Po l’atavica passione montanara organizzando il bellissimo festival “Torino e le Alpi” di cui non si sente più parlare.

Dal libro di Dematteis si apprende che in una città come Torino, un tempo ritenuta la capitale delle Alpi, l’immagine della montagna è da tempo “offuscata”. Sembrerebbe impossibile visto che il rapporto passato di Torino con le sue montagne si respira in tutta la città: nei musei, negli edifici, nella statua di Quintino Sella, nel monumento di Piazza Statuto dedicato a Germain Sommeiller e agli altri ingegneri che costruirono il traforo del Frejus. “Tanta memoria, tanta storia, tutte bellissime cose, importanti”, è tuttavia il giudizio di Dematteis, “ma che sanno di passato e di muffa. Come se dopo gli anni della guerra di resistenza partigiana, l’ultimo momento storico di forte legame tra Torino e le sue montagne, le Alpi si fossero afflosciate, allontanandosi sempre più dalla città. Negli scritti di Vittorio Foa, Natalia Ginzburg, Ada Gobetti, Primo Levi, Massimo Mila e tanti altri intellettuali torinesi questo legame era ancora molto forte. La montagna era libertà, ribellione, valori, evasione, bellezza, meditazione. Poi pian piano tutto questo si è affievolito…”. Se così stanno le cose, da lodare è sicuramente l’iniziativa di Fabrizio Goria, giornalista professionista dal 2012, per aver riportato a galla un problema pudicamente insabbiato.
Di diverso parere è invece Camanni, torinese doc, raffinato cronista delle montagne .“Le valli olimpiche”, sottolinea, “offrono un grande carosello sciistico, spesso venduto all’estero come ‘la montagna piemontese’ anche se si tratta solo di un piccolo segmento. Segue un’altalena di situazioni nelle valli di Lanzo e dell’Orco, un tempo territorio privilegiato delle villeggiature torinesi e meta dei Savoia a Ceresole Reale, con il grande polmone verde del Gran Paradiso che attrae circa un milione e mezzo di visitatori annui, soprattutto sul versante valdostano del parco dove si registra una significativa ripresa di iniziative ispirate a natura e cultura”. Sempre Camanni si chiede nel fascicolo di “Dislivelli” tutto dedicato ai rapporti città-montagna e distribuito in gennaio sul web, se può rinascere a Torino l’amore per le Alpi. E’ soltanto un’ipotesi, ma a suo dire molto concreta. “Oggi”, spiega Camanni, “la crisi della fabbrica e l’emergenza climatica ripropongono le Alpi come uno spazio essenziale da difendere e abitare. Torino è un’altra città e le Alpi sono sempre lì. Nascerà un nuovo amore?” (Ser)
Per saperne di più:
http://www.dislivelli.eu/blog/
https://camoscibianchi.wordpress.com/2019/11/29/come-torino-dimentica-le-sue-montagne/
