Arresto cardiaco: cause e rimedi

Il 20 novembre 2019 si è svolto in Svizzera un incontro di medici in cui è stato affrontato il tema della morte cardiaca improvvisa, in Italia responsabile ogni anno di circa 50mila decessi. Ne riferisce qui il dottor Gian Celso Agazzi. Nelle foto una simulazione di rianimazione cardiopolmonare da eseguirsi in caso di arresto cardiaco e un defibrillatore esterno oggi in uso in alcuni rifugi alpini.

Il convegno di Sion

Presso la Maison FXB du Sauvetage a Sion (Svizzera), organizzato dal GRIMM, un incontro ha messo a fuoco il 20 novembre 2019 le ultime novità riguardanti l’arresto cardiaco. Relatore il professor Pierre Nicolas Carron, responsabile del Pronto Soccorso del CHUV di Losanna. Presenti un’ottantina tra medici e infermieri. L’arresto cardiaco colpisce di più i maschi (70%) ed é più diffuso nei soggetti che hanno più di 70 anni. Accade con più frequenza presso il domicilio delle vittime (70%). Il 40-60% dei casi si verifica in presenza di testimoni. Si ha una sopravvivenza globale compresa tra il 5-10% dopo la dimissione dall’ospedale. In caso di fibrillazione ventricolare con assenza di polso in presenza di testimoni si ha una sopravvivenza dopo la dimissione dall’ospedale del 35-45%. In caso di arresto cardiaco intraospedaliero si osserva una sopravvivenza del 30% al di sotto dei 65 anni di età, mentre nei soggetti che hanno più di 65 anni si rileva una sopravvivenza del 18%, minore nei soggetti di pelle nera.

L’arresto origina nel 75% dei casi da patologie cardiache (cardiopatia ischemica, cardiopatia valvolare, ipertensiva, cardiopatia ipertrofica/ostruttiva, miocardite, displasia aritmogena del ventricolo destro, QT lungo, Burgada, WPW, fibrillazione ventricolare primitiva, trauma cardiaco). Tra le cause non cardiache si segnalano embolia polmonare, tamponamento, pneumotorace, dissecazione aortica, emorragia cerebrale, ipossia, ipovolemia, emorragia, intossicazioni e squilibri elettrolitici. Nel 60-80% dei casi è preceduto da un episodio di fibrillazione ventricolare. A volte chi prende in carico il paziente non conosce le manovre corrette da effettuare per fronteggiare l’emergenza. Occorrerebbe, quindi, che la gente comune fosse in grado di riconoscere un arresto cardiaco e di agire nel migliore dei modi per prestare soccorso. Nel 40% dei casi sono presenti nelle vittime movimenti respiratori inconsulti (gasping). Movimenti di tipo convulsivo nel 5%: sia gli uni sia gli altri possono trarre in inganno i presenti, suggerendo loro che la persona non sia nella grave condizione in cui effettivamente si trova.

Il massaggio cardiaco precoce è fondamentale per cercare di risolvere l’arresto. Viene iniziato spontaneamente nel 20-40% dei casi da testimoni, mentre viene “guidato” telefonicamente nel 60-70% dei casi. A volte è difficile da effettuare da parte degli astanti. La qualità del massaggio è difficile da stimare. L’American Heart Association raccomanda di comprimere forte e velocemente la parte centrale del torace della vittima, iperestendendo il capo e sollevando il mento in modo di aprire le vie aeree. Infine occorre praticare la respirazione bocca a bocca. La profondità delle compressioni toraciche deve essere efficace, permettendo di perfondere in modo ottimale il circolo coronarico.

A questo punto ci si interroga su come praticare l’intubazione. A favore la pervietà delle vie aeree e l’ossigenazione. Contro l’ipoperfusione del circolo coronarico e di quello cerebrale, l’interruzione del massaggio cardiaco, la diminuzione del ritorno venoso, l’iperossia e l’ipocapnia e l’intubazione esofagea. Segue l’utilizzo dei farmaci. L’adrenalina, isolata da Urenaka, può essere utile se il ritmo cardiaco non è defibrillabile. L’ipotesi non è comunque condivisa dall’intera comunità scientifica. L’adrenalina favorisce l’aumento del ROSC (ritorno alla circolazione spontanea dopo arresto cardiaco) e l’aumento della perfusione del circolo coronarico. A sfavore l’aumentato consumo di ossigeno e l’effetto pro-aritmogeno, la diminuzione della perfusione cerebrale post- ROSC (riduzione della microcircolazione), gli effetti negativi sull’aggregazione piastrinica e sulla coagulazione, l’iperlattacidemia e l’iperglicemia. L’adrenalina è efficace se viene utilizzata entro dieci minuti dall’arresto cardiaco. La somministrazione di ossigeno deve seguire le dosi indicate dai protocolli, perché l’eccesso può causare danni.

Attualmente, nel mondo, la sopravvivenza nei soggetti in arresto cardiaco è mediamente del 7-8%. Nell’America del Nord è del 6%, in Europa del 9%, in Australia dell’11%, in Giappone del 2%. Tra le determinanti prognostiche l’età inferiore ai 75 anni, la presenza di bystander, la defibrillazione entro 8 minuti, e l’Advanced Life Support.

Una maggiore sopravvivenza si registra se la rianimazione cardio-respiratoria (CPR) viene praticata dai bystander e se il paziente viene ricoverato in un centro cardiologico specializzato in grado di effettuare indagini invasive. Uno studio osservazionale effettuato in Giappone pubblicato sul British Medical Journal ha messo in rilievo che la CPR praticata dai famigliari della vittima, valutante la sopravvivenza a un mese dall’arresto di origine cardiaca, ha meno successo rispetto a quella effettuata da amici, colleghi o passanti. Circa l’utilizzo dei farmaci ci si chiede se la dose di adrenalina da somministrare debba essere adattata al peso, e se sia utile somministrare farmaci anti-aritmici (lidocaina). Ci si chiede quale sia l’effetto della compressione nel massaggio cardiaco, della temporalità della terapia farmacologica (epinefrina, amiodarone, lidocaina), della misura diretta della perfusione provocata dal massaggio cardiaco, del trasporto effettuato nel corso della rianimazione, dell’utilizzo dell’ECMO e delle variabili socio-economicche.

Il trasporto assistito da rianimazione è indicato in caso di ipotermia, di cause potenzialmente irreversibili, di turbe elettrolitiche, di intossicazione, e di sospetta embolia polmonare. I pazienti che hanno una prognosi migliore sono quelli con meno di 70 anni, e con ETCO2 > 10 mmHg.

Per quanto riguarda l’uso dei dispositivi di compressione esistono pareri contrastanti. Gli studi effettuati sugli animali dimostrano un migliore debito cardiaco e, con minori interruzioni, una maggiore efficacia. Gli studi osservazionali sembrano dimostrare un incremento dei ROSC e una sopravvivenza. Superiore. Studi sistematici dimostrano dati insufficienti e mancanza di prove che dimostrino una migliore sopravvivenza. Il mantenere la testa e il torace alzati durante la compressione-decompressione della rianimazione cardio-polmonare migliora la perfusione cerebrale.

In conclusione l’arresto cardiaco è un evento frequente. Importante è la risposta iniziale. La sopravvivenza globale sta aumentando. Il massaggio cardiaco è preponderante. L’uso dei farmaci ha minore importanza. Molte domande sono in cerca di una risposta. Una curiosità: i giapponesi hanno grande esperienza in questo campo della medicina di urgenza. I quartieri più poveri delle città sono, tuttavia, i meno preparati a fronteggiare questo tipo di emergenza.

Gian Celso Agazzi

 

 

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