La decadenza dei Bagni di Masino

“Delle rinomate terme di Masino, in Valtellina, oggi rimangono solo delle solitarie costruzioni in mezzo a una verdeggiante foresta e massicce pareti montuose. L’antico edificio dove si effettuavano i bagni e le cure termali è abbandonato nonostante in anni recenti sia stata completamente ristrutturato e rinnovato negli interni”. Ne danno malinconicamente notizia, in questi termini, Rosalba Franchi e Dario Monti nel loro prestigioso sito “Vie storiche” (http://viestoriche.net/indexn.htm). Dove in questo scorcio di estate questa coppia di storici delle Alpi ha dipanato l’affascinante cronistoria del centro termale la cui fama si consolidò nel Seicento e nel Settecento mentre oggi purtroppo è sparito dalle mappe del turismo valtellinese. “Un nuovo edificio, con strutture parzialmente in muratura”, annotano Rosalba e Dario, “venne costruito nel 1832 in sostituzione di buona parte della grande baracca di legno, inadeguata per efficienza e sicurezza. I Bagni si raggiungevano ancora a piedi, a cavallo o in portantina ma, nonostante ciò, nel decennio 1836-1845 alle terme di Masino giunsero 3000 ospiti. Restano le scritte esterne che indicano i diversi ambienti ormai deserti da alcuni anni. Poco lontano il severo edificio dell’albergo nuovo costruito nel 1930; attraversando un ponte coperto sul torrente Masino, gli ospiti raggiungevano direttamente le vasche e gli ambienti di cura”.

Un’antica stampa con le Terme di Masino tratta da “Vie storiche” (http://viestoriche.net/indexn.htm). In apertura l’albergo dei Bagni da tempo chiuso (ph. Serafin/MountCity)

I Bagni del Masino sono stati per anni meta prediletta per le vacanze alpine di chiavennaschi e valtellinesi, ma anche di milanesi e brianzoli. Ma la fama di quell’accogliente albergo che si annuncia al termine di una meravigliosa faggeta è legata particolarmente a un alpinismo oggi irripetibile. A chi scrive può capitare di passargli accanto incamminandosi sui sentieri che si sviluppano ai piedi del Pizzo Badile. Un’ondata di ricordi in tal caso lo attanaglia. Era il settembre del 1987 in quei saloni oggi deserti e pieni di ragnatele quando si celebrò il cinquantennale della storica scalata sulla parete nord est della gigantesca pala di granito da parte di Riccardo Cassin con i compagni Ratti, Esposito, Molteni e Valsecchi. Fasciata in un abito raffinato, ancora affascinante pur dovendo fare i conti con un cumulo di primavere ormai alle sue spalle, Vera Cenini che aveva in gestione l’albergo fu come sempre una padrona di casa impeccabile. Accanto al suo amico Cassin c’erano i grandi dell’alpinismo che con il Badile si erano misurati inventando inediti itinerari di salita o ripetendoli con nuove modalità: Alessandro Gogna che per primo percorse la “Cassin” nella stagione invernale, Reinhold Messner, Heinz Mariacher, Luisa Jovane, Maurizio Giordani, Gian Carlo Grassi, Claudio Corti, Giuseppe Miotti, Renata Rossi, la vedova del grande austriaco Hermann Buhl, primo solitario lungo la via di Cassin.

Nel 1987 si festeggiò all’Albergo dei Bagni il cinquantesimo anniversario della prima scalata di Cassin e compagni al Pizzo Badile. Nella foto Cassin viene intervistato dal suo “allievo” Reinhold Messner.

Messner e Cassin quella sera sedevano l’uno accanto all’altro sotto una panoplia formata da corde di canapa, vecchie piccozze, ramponi d’epoca. L’allievo fresco di conquiste a quota ottomila con molta correttezza e dedizione non aveva voluto mancare a un incontro tanto importante con il suo maestro. Ricordo che al dolce il cielo venne a un certo punto squarciato dai lampi. Ma la grande famiglia degli alpinisti non si scompose: brindò, ballò, fece le ore piccole. E io che avevo contribuito da volontario a dar vita all’evento mi sentii estremamente gratificato.

Da qualche anno Vera se ne è andata. Vorrei osservare che non solo fu albergatrice e valorizzatrice come pochi di questa incantevole vallata, ma che il suo nome è entrato nella storia del Soccorso alpino. Fu lei la prima donna a dirigere una stazione del Cnsas, quella del Masino appunto. Lo fece da quell’albergo dei Bagni che era la sua vita. Indimenticabile era e rimane per me un momento-chiave della sua alacre giornata: quando a un suo cenno, verso sera, una schiera di cameriere nel loro grembiulino nero con il collo inamidato uscivano dalla cucina e sciamavano silenziose per la vasta sala da pranzo. Nell’aria si spandeva allora una fragranza di cibi appetitosi e l’attesa di tanti stomaci svuotati dalle camminate in montagna non era mai tradita. Il meglio che potesse capitare di trovarsi nel piatto era la zuppa di trota che aveva mandato in estasi Mario Soldati, il baffuto scrittore e regista che a quell’epoca girava l’Italia per la Tv alla ricerca di cibi genuini.

All’albergo dei Bagni tornai ogni volta che potevo. Di Vera raccolsi molte confidenze, della sua vita sapevo quasi tutto. Di anni ne aveva appena otto quando salì in vetta al Cavalcorto e gettò per la prima volta uno sguardo su questa valle che si stendeva con poche casupole 1800 metri più sotto. Mi dicono che sia stata lei la prima bambina impegnata in una salita alpinistica quassù. Tanti erano i suoi ricordi legati a queste rocce che ogni volta che saliva in Val Masino dalla natia Morbegno intravedeva attraverso il parabrezza dell’auto ed era come se queste granitiche sorelle le venissero incontro. Ma è purtroppo da un dramma vissuto tra le “sue” montagne che nacque l’attenzione, poi trasformatasi in autentica missione, per l’organizzazione del soccorso alpino. Aveva 22 anni Vera quando la passione per l’alpinismo le giocò un pessimo scherzo. Il destino era in agguato in quell’estate del ’46, tra le placche di granito di punta Sertori. A un certo punto la corda di canapa a cui era legata non resse uno strappo violento e il volo della ragazza si concluse su una cengia, in un lago di sangue.

Vera Cenini, qui fotografata ai piedi del pizzo Badile, curò per anni la gestione dell’Albergo dei Bagni. Nel 1965 entrò nel Corpo nazionale soccorso alpino (Cnsa), prima donna in Italia. Dieci anni dopo fu nominata capo stazione a San Martino e fino al 1991 è stata membro volontario emerito.

Vera era lucida mentre la guida Virgilio Fiorelli coadiuvato da alcuni pastori riusciva a riportarla ai Bagni. Talmente lucida che chiese caparbiamente di bere tutta l’acqua di due borracce per compensare la disidratazione che se la stava portando via. Forse è stato questo attaccamento alla vita a evitarle il fatale collasso nella “golden hour”, in quella fatidica, interminabile prima ora piena d’incognite che i soccorritori considerano decisiva per la sopravvivenza. Ma Vera era giovane e riprese rapidamente la corsa incontro alla vita. Con le sue gambe, per fortuna, e soprattutto con il suo temperamento. Organizzarsi, questo bisognava fare: mentre i fortissimi dell’arrampicata moltiplicavano i tentativi e i rischi su quelle pareti, il soccorso faceva ben poco per uscire da una fase pressoché primordiale. Era poco più che una bambina quando, tredicenne, davanti all’albergo dei Bagni condotto dal nonno, sfilavano le spoglie di Molteni e Valsecchi, sfortunati compagni di Riccardo Cassin, Vittorio Ratti e Ginetto Esposito nella tormentata conquista della parete nord est del Badile.

Aveva i capelli raccolti in treccine Vera quando nella Valmasino le arrivò l’eco dei sommessi singhiozzi per la tragedia di Punta Rasica che nel 1938 si consumò nell’impotenza e forse nell’imperizia dei soccorritori. Così nel magazzino dei Bagni, dove offrirà dal ‘56 fino agli anni Novanta prove esemplari della sua sapienza di albergatrice, Vera accumulò materiali per il soccorso: corde, barelle, confezioni di medicinali. Per mantenere e aggiornare questo piccolo patrimonio Vera non esitò a fare leva sulla generosità di clienti facoltosi (e di sicuro lo erano i suoi affezionati clienti, in gran parte della ricca borghesia di Lecco, Como, Brianza e dintorni).

Manicaretti, simpatia, accoglienza impeccabile, garbo, eleganza: Vera sapeva come conquistare i clienti in quel grande albergo. Dove per sua iniziativa nacque negli anni Cinquanta il collegamento via radio con i rifugi Omio e Gianetti, avamposti di quella lotta con l’alpe che qui si colora spesso di epopea. Tutti i giorni puntualmente Vera si collegava con l’amico Dino Salis che sull’altro versante del Badile, nella svizzera val Bondasca, teneva sotto controllo le cordate dirette alle Sciore, al Badile, al Cengalo. E’ intuibile che in piena stagione quel telefono rosso squillasse in continuazione, anche trenta volte al giorno. Per questo gli alpinisti, i grandi dell’alpinismo, le erano tutti vicini, con affetto e gratitudine. Nel 1965 entrò ufficialmente nel Cnsa, prima donna in Italia. Nel 1975 venne nominata capo stazione onoraria del Soccorso di San Martino in Val Masino e fino al 1991 fu membro volontario emerito.

Ha sofferto e si è esaltata, Vera, per le imprese di tanti ideali compagni di cordata. Lo si intuiva nella penombra della bella casa di Morbegno quando per raggiunti limiti di età aveva accantonato l’epopea della Val Masino ed ebbi l’onore di essere invitato da lei a colazione insieme con l’amico Pino Marcandalli, presidente della Sem e segretario del Cai. Nello studio, fra tanti libri di montagna, spuntava la piccozza che Carlo Mauri le regalò nel 1969, di ritorno dall’Antartide. In un angolo i non pochi diplomi di benemerenza: dalla Stella al merito dell’Ordine del Cardo del 1963, alla Rosa Camuna della Regione Lombardia del 1982. Nella corsa alla vita delle cordate impegnate fra quei graniti è però capitato che questo angelo della Val Masino abbia una volta perso la partita. Il mese di aprile del 1959 restava infatti tenacemente legato nei suoi ricordi a quattro ragazzi poco attrezzati, saliti all’assalto del vertiginoso Spigolo Vinci al Cengalo. “Ero a Morbegno quando seppi che da due giorni non c’erano notizie di loro”, mi raccontò. “Mio marito mi portò subito in Valmasino. Nevicava e in alto c’era bufera, le squadre di soccorso alla Gianetti erano rientrate. I quattro avevano perso l’orientamento e anziché trovarsi al Cengalo erano finiti sul versante settentrionale del Badile. D’estate Carlo Mauri, arrampicando su quel versante, ritrovò i corpi. Erano sepolti nella neve”. (Ser)

La Val Masino, regno del granito, è considerata un’università dell’alpinismo (ph. Serafin/MountCity)

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