Martini, classe di ferro: 70 candeline,14 ottomila
Il Corriere del Trentino del 28 luglio 2019 ha dedicato una pagina a Sergio Martini, il più discreto dei grandi alpinisti, accademico del CAI, quattordici ottomila collezionati…conquistati. L’occasione? Il settantesimo compleanno festeggiato con gli amici in una baita delle Dolomiti. “Sono arrivato a 70 anni e sicuramente come alpinista avrei voluto fare anche di più. Eppure una vita non basterebbe, perché il desiderio cresce all’infinito, ma le possibilità che la vita ti concede sono invece per forza limitate”, ha confidato Martini al giornalista Guido Sassi.”Martini”, sostiene Sassi, “è come il suo alpinismo: rispettoso del sé e degli altri, riservato anche nella grandezza”. Martini conquistò la cima del K2 nell’83 per la via dei Giapponesi sul versante nord. Poi fu la volta dell’Everest e di tutti i 14 Ottomila. Oggi è noto soprattutto per essere stato il terzo italiano di sempre ad avere toccato la vetta di tutte le più alte montagne del Pianeta. Gli amici lo hanno festeggiato alla fine di luglio in val Duron e lo hanno fatto sapere in FB a festeggiamenti conclusi. “Una gran bella festa”, si è limitato a raccontare Almo Giambisi, anch’egli uomo di poche parole. Ma chi è, come vive in realtà Sergio Martini? Per saperne più di quanto possa essere trapelato da un’ordinaria intervista con un giornalista, vale forse la pena di rileggere la laudatio che nel 2006 gli dedicò Franco Giacomoni, allora presidente della SAT e consigliere centrale, in occasione della sua nomina a socio onorario del CAI.

Himalaya, la sua seconda casa. Due sentimenti si sovrappongono nel mio animo presentando la candidatura di Sergio Martini. Sono cosciente che altri, tra i suoi amici, saprebbero, più e meglio, illustrare il suo essere alpinista e uomo; e qui ringrazio Antonella Cicogna e Mario Manica per il prezioso aiuto generosamente datomi nel costruire la storia alpinistica e umana di Sergio. E’ però la SAT, Sezione del CAI, con la mia presenza, che vuole sottolineare sino in fondo quanto questa proposta di nomina appartenga a tutto il Trentino della montagna e, di conseguenza, a tutto il Club Alpino Italiano. Ecco allora la consapevolezza di vivere un momento alto, che impegna e onora, assieme al timore di non essere atti ad illustrare la figura di Sergio rischiando, nel contempo, di smarrirsi nel prevedibile. Sarebbe infatti scontato sottolineare la caratteristica che lo contraddistingue, la riservatezza, l’assenza di fragore e posa, in ultima analisi, il silenzio. Lo descrive così Edoardo Covi nell’Annuario edito per il 100° anniversario del Club Alpino Accademico: ‘Il suo riserbo e soprattutto il suo assoluto e inconsueto disinteresse, per qualsiasi forma di celebrità, ne fanno uno degli alpinisti ‘romantici’ nel circo himalaiano. Il suo è un alpinismo fatto di curiosità ed equilibrio, rispetto e contemplazione: mai clamore e ostentazione, secondo il più puro spirito accademico. In un contesto sociale, praticamente in ogni luogo del vivere ahimè chiamato ancora civile, che vede l’urlare, il nulla logorroico, in definitiva lo starnazzo, diventare, con rarissime eccezioni, l’unico modo del comunicare, è bello parlare di silenzio’.
Accademico del CAI, Istruttore nazionale di Alpinismo e Sci Alpinismo, membro del Gruppo di Alta Montagna francese, Sergio Martini nasce a Rovereto nel 1949. Insegnante di educazione fisica, la sua storia alpinistica inizia sulle montagne di casa, alle quali è molto legato e che non ha mai abbandonato. Non è infatti difficile incontrarlo sui sentieri che le percorrono, sulle Piccole Dolomiti con gli sci d’alpinismo, sulle falesie attorno a Rovereto o sulle vie della Valle del Sarca. E’ nel 1966 la sua prima rilevante esperienza dolomitica quando, all’età di 17 anni, con Graziano Maffei, salirà lo spigolo Nord dell’Agner e realizzerà il suo primo bivacco notturno.

A 19 anni, con Marino Stenico salirà in Marmolada il pilastro Micheluzzi. In quell’occasione sarà lui a guidare la cordata. Una salita ardita, che servirà da trampolino di lancio a tutte le successive realizzazioni giovanili; tra queste, a 22 anni, la prima invernale del diedro Aste al Crozzon di Brenta con Mariano Frizzera e Donato Ferrari. Seguiranno l’apertura di nuove vie in Marmolada, Civetta e su altre splendide pareti dolomitiche. Tra il 1971 e 1972 giunge la sua prima esperienza extraeuropea. Martini partecipa infatti alla Spedizione Città di Rovereto al Fitz Roy in Patagonia, con Franco Solina. Sono presenti Graziano Maffei, Mariano Frizzera, Angelo Miorandi. Tutti esponenti della grande tradizione alpinistica roveretana, la più significativa del Trentino, come ama sempre rilevare il socio onorario Armando Aste, anche lui protagonista di quella spedizione. L’incontro fatale con le montagne più alte della terra avverrà alcuni anni più tardi, nel 1976, in occasione della spedizione delle Aquile di S. Martino, le Guide Alpine di S. Martino di Castrozza. Sarà un incontro che lo segnerà per tutta la vita, profondo, vero, a partire dal quale l’Himalaya diverrà la seconda dimora dell’ alpinista roveretano. In quell’occasione il Dhaulagiri, con i suoi 8172 metri gli resisterà e Sergio riuscirà a scalarlo fino a 7500 metri. Sarà poi la volta del Nun Kun a 7135 metri con la cima nell’agosto del 1977. E’ all’Everest (con Giuliano De Marchi) nel 1980 con un grande tentativo sventato a 80 metri dalla cima. Dal 1983 iniziano i pieni successi. In quell’anno Martini raggiungerà la vetta della Montagna degli Italiani, lo spietato K2, 8611 metri, lungo lo spigolo nord. In cordata con lui anche Fausto De Stefani, suo compagno di tanti altri Ottomila.
Nel 1985 farà parte della cordata che realizzerà la prima italiana al Makalù salito per la parete nord – ovest. Il Nanga Parbat 8125 metri lungo la via Kinshofer e l’Annapurna 8091 m. sono saliti da Sergio nel 1986. Il 1987 sarà l’anno del Gasherbrum II mentre l’anno successivo, a distanza di 12 giorni l’una dall’altra, Martini inanellerà Shisha Pangma 8046 metri e Cho Oyo 8201.
Nel 1989 chiuderà il conto con il Dhaulagiri raggiungendone la vetta lungo la nord-ovest. Quattro anni più tardi, nel 1993, Martini completerà il suo nono 8000, il Broad Peak 8047 m. Il 1994 lo vedrà sul Gasherbrum I, già tentato nel 1991, lungo il couloir dei Giapponesi. L’anno successivo affronterà il Kanchenjunga, 8586 metri, già tentato nel 1991, toccandone con successo la cima il 14 ottobre. Il 1996 registrerà il suo dodicesimo 8000 con il Manaslu. Sarà poi la volta del Lhotse 8511 metri, montagna che raggiungerà con De Stefani il 15 ottobre del 1997. Con l’Everest, raggiunto dal versante nepalese nel 1999, Martini concluderà tutti e quattordici gli Ottomila e sarà così il terzo italiano ad aver raggiunto questo record. Lhotse, Cho Oyo e Shisha Panama li ripeterà una seconda volta rispettivamente nel 2000, 2001 e 2003.
Ma vi è altro che ci consente di rendere onore a Sergio Martini: è quell’esserci, quelle presenze discrete ma importanti, anche in momenti di normalità quali possono essere la sua partecipazione di accademico in occasione dei festeggiamenti per i vincitori del Premio Paolo Consiglio presso una piccola Sezione o nell’essere assieme a Fausto De Stefani in occasione del suo agire per la solidarietà. E, ancora, nel segno dell’amicizia e della memoria, assieme a tanti altri esponenti dell’alpinismo roveretano e trentino, in un pomeriggio malinconico, dare l’ultimo saluto ad Annetta Stenico, medaglia d’oro del CAI, anche, pensiamo, nel ricordo di quella salita al pilastro Micheluzzi con Marino. Ecco quindi che la riflessione iniziale sul silenzio si riempie di senso. E mi si consenta un’ulteriore considerazione.
Mentre scopriamo, giorno per giorno, approfondimento dopo approfondimento, quanto ricca, moderna, antesignana dell’Europa sia la cultura che nei secoli si è sviluppata nelle Alpi, assistiamo a una sua pervicace sottovalutazione. Il mondo dell’alpinismo e della montagna è attualmente chiuso dentro mura costruite in piccola parte dalla nostra inadeguatezza a comunicarne i valori, ma in gran parte dalla ignoranza e dimenticanza dei mondi della cultura, dell’informazione, della politica contro le quali dobbiamo reagire. L’assenza di fragore, l’ostinazione nel prefiggersi e raggiungere il risultato nell’operare di Sergio Martini diventa quindi per noi un doppio invito e insegnamento: la necessità di non rinunciare a difendere i nostri valori, senza incertezze, con pazienza, con umiltà ma anche con caparbietà e senza timidezze; la consapevolezza che il nostro troppo parlare senza operare rischia di produrre echi che finiranno per confonderci.
Questo è l’alpinismo di Sergio Martini. Un percorso, come dice lui, dove c’è ancora spazio per rimanere incantati dalla natura e dove permane la voglia di contatti umani per vivere l’esperienza nella sua totalità. Ecco ciò che rende ancora più pregnante la proposta di nominarlo, oggi, socio onorario del Club Alpino Italiano.
Franco Giacomoni