Una Greta per la montagna

Greta manipolata dalle lobby verdi. Greta fantoccio dei suoi genitori avidi di denaro. Qualunque cosa si pensi di Greta Thurnberg, resta inteso che da un po’ di anni a questa parte c’è una forte impronta femminile su tutte le battaglie per la difesa del pianeta, la “più importante della nostra epoca” a detta della performer serba Marina Abramovich, una che di battaglie artistiche di insolita durezza ne ha ingaggiate per mezzo secolo. Quando l’inverno scorso la trentaquattrenne capolista dei Grünen tedeschi Katharina Schulze si è imposta alle elezioni bavaresi frenando per la prima volta l’onda bruna che sembrava destinata a travolgere l’Europa, i media hanno cominciato a guardarsi intorno scoprendo militanti meno conosciute come l’insegnante ed ecologista casalese Luisa Minazzi, morta nel 2010 per le conseguenze dell’amianto contro cui aveva lottato da assessore e titolare oggi di un premio ambientalista a suo nome.

Greta a parte, una rete rosa-verde tesse di questi tempi la sua trama fin oltre i confini del vecchio continente, con l’afro-americana Francia Márquez, leader della protesta femminile contro l’estrazione aurifera illegale in Colombia, la vietnamita Khanh Nguy Thi che si sgola contro l’inquinamento di un Paese determinato a crescere ma a carbone, le sudafricane Makoma Lekalakala e Liz McDaid, una bianca e una nera, conosciute per il risoluto boicottaggio dell’accordo nucleare tra il governo di Pretoria e Mosca. E non può che far notizia l’iniziativa della premier etiope Abiy Ahmed, 42 anni, che vuole piantare un miliardo di alberi, con una gigantesca mobilitazione popolare, per riforestare il suo paese e arginare la siccità. Tante Grete, ma nemmeno una che si occupi in esclusiva dell’ecosistema alpino oggi in grave pericolo. In Italia perlomeno, dove pure la presenza della donna nelle valli assicura da sempre un freno allo spopolamento e su questo aspetto valgono gli studi approfonditi anche se poco frequentati di una studiosa come l’antropologa Michela Zucca.

Poco sembrano di sicuro contare sulle Alpi le donne che assumono cariche finora credute appannaggio dei maschi guidando musei e rassegne, animate da impulsi che male si accordano con associazioni d’impronta irrimediabilmente maschilista come il Cai. Fuochi di paglia sono dal punto divista mediatico le rare alpiniste in odore di santità, fin troppo adulate, che collezionano ottomila. E sfiorano il patetico quelle che, fiere delle loro conquiste alpinistiche e di encomi ricevuti, scendono in piazza per battersi con chi sostiene gli interessi degli impiantisti infischiandosi delle posizioni ambientaliste.

Eppure la montagna avrebbe tutto da guadagnare da militanti al femminile con le idee chiare in fatto di ambiente che non si limitino a soddisfare ambizioni di carriera o ad appuntarsi benemerenze. Non c’è tempo da perdere. Secondo Hans-Jörg Trenz, esperto di movimenti politici contemporanei a Copenhagen, l’identikit di chi vota verde nel nuovo Millennio è assai definito, ed è “giovane, istruito e donna”. La storia e la scienza mostrano che gli uomini preferiscono un’azione immediata, diretta, vigorosa, meccanica e tendono ad accentuare il lato competitivo della personalità umana valutando più il guadagno immediato delle conseguenze mentre le donne “hanno una mentalità più legata a quello che lasciano in eredità, guardano più lontano”, come osserva la ricercatrice Gaia Dell’Ariccia, una delle due italiane che nel 2018 hanno partecipato alla più grande spedizione di scienziate in Antartide. C’è solo da stupirsi, ripetiamo, che tanto debole sia l’impronta femminile nelle battaglie in corso per la difesa della montagna.

Ma intanto in Europa avanzano i movimenti ambientalisti radicali come Extinction Rebellion (vedere il logo qui riprodotto e, in apertura, una manifestazione a Copenhagen). Intanto si diffondono i consumi etici. Intanto Greta prende il volo dal vecchio continente e continua il suo viaggio a New York e Santiago del Cile con una barca a vela (i velisti Boris Herrmann e Pierre Casiraghi porteranno oltreoceano la sedicenne, suo padre e un regista. Il loro obiettivo: il vertice delle Nazioni Unite sul clima del 23 settembre e la conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima che si tiene in Cile a dicembre). E intanto istituzioni alpine ormai mummificate stanno alla finestra a guardare e tutto fa pensare che non tengano conto che il Mediterraneo figura, nel recente rapporto dell’Onu, tra le aree a maggiore rischio climatico. Ma perché dovrebbero sentirsi in colpa? Questo rischio è fortemente sottovalutato anche dall’opinione pubblica italiana e dai decisori politici. Eppure il rilievo dato dai media italiani al rapporto sulla situazione ambientale del pianeta fa sperare che possa crescere anche nell’opinione pubblica del nostro paese la consapevolezza dell’urgenza di affrontare la questione climatica che sempre più condiziona lo sviluppo delle nostre terre alte. (Ser)

 

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