Mitici Squinobal. Un libro ne racconta l’epopea

Riproposto da Corbaccio dopo una trentina d’anni, il libro “Due montanari” di Maria Teresa Cometto racconta la vita dei fratelli valdostani Arturo e Oreste Squinobal che compirono imprese straordinarie, come la salita senza ossigeno agli 8586 metri del Kangchendzonga, senza mai venir meno alla quotidianità della loro attività di falegnami e guide alpine. E’ la Società Escursionisti Milanesi a ospitare giovedì 6 giugno alle ore 21 la presentazione del libro che esce ora con la postfazione di Paolo Cognetti. Un’occasione imperdibile per fare conoscenza con questi indimenticabili valligiani (Oreste purtroppo scomparve nel 2004 per malattia) e, insieme, rivedere l’affresco della valle di Gressoney al cui mito tanto hanno contribuito gli Squinobal. Intervengono alla serata (vedere qui la locandina), assieme all’autrice, tre grandi amici della montagna: la scrittrice Anna Girardi, lo storico Stefano Morosini e l’economista nonché alpinista Marco Vitale.

Arturo Squinobal

Chi ha frequentato da turista in anni ormai lontani l’incantevole valle del Lys non dimentica le apparizioni invernali dei due fratelli lungo l’anello che si sviluppava intorno al laghetto di Gover e poi su su fino alla villa dei Savoia attraversando i prati di Gresmatten dove ci si fermava a comprare la moccetta da Angela Laurent, già custode con il marito Corrado del lago artificiale del Gabiet. Chiuso il laboratorio di falegnameria, Arturo e Oreste s’impegnavano all’imbrunire negli allenamenti con gli sci in vista delle loro ascensioni e del Trofeo Mezzalama in cui si distinsero tra i ghiacci del Monte Rosa. Nell’ardita traversata sciistica dal Breuil a Gressoney, lo stile era ancora quello pioneristico: sci stretti da fondo eventualmente rinforzati con mezze lamine, con pelli di foca (ovviamente) in salita e con discese a rotta di collo tra i crepacci, i bastoncini tenuti “a raspa” per fare da freno tra le gambe o lateralmente.

Sullo sfondo della vallata gli ultimi raggi di sole incendiavano il “naso” e le altre asperità del Rosa. E quello era il momento in cui nell’anello tracciato lungo le sponde del Lys si affacciava, con le sue eleganti falcate, anche Luigino Filippa. Luigino era preside della scuola media di Gaby. I ragazzini suoi allievi che lo seguivano in fila indiana ripetevano i gesti del maestro come in un impeccabile balletto di Pina Bausch. Più su il sontuoso albergo Busca-Thedy, oggi ridotto a un rudere, accendeva i lampadari di cristallo, e i camerieri in guanti bianchi si accingevano a mettere in tavola prelibati piatti di carbonada con polenta. La passione di Luigino per gli sci stretti lo induceva a definirli provocatoriamente “normali” rispetto a quelli da sci alpinismo che all’epoca erano dotati di attacchi imperfetti, facili a sganciarsi nei pendii più impegnativi. Di sua creazione era la Monterosalauf, gran fondo di sci tracciata in quel fondovalle tutto a saliscendi dove era richiesta una più che discreta tecnica sciistica.

Fu il 1972, lo stesso anno in cui gli Squinobal salirono per primi in inverno l’inviolata parete sud del Cervino, che sul Monte Bianco i due fratelli scalarono per la prima volta in invernale la cresta di Peuterey. Quell’anno, dopo un primo tentativo, causa le condizioni meteo avverse, furono respinti dalla montagna. Tornarono a casa. Il giorno successivo, con le condizioni meteo in miglioramento, ritornarono alla base della Aiguille Noire di Peutérey, raggiunsero la vetta quindi con innumerevoli “doppie” si calarono nel baratro del lato opposto, fino alla base delle Dames Anglaises. In quel punto, inaspettatamente, Arturo e Oreste raggiunsero una cordata di quattro, altrettanto forti, alpinisti francesi che avevano lo stesso obiettivo dei due gressonari, ovvero, compiere la prima salita invernale integrale della cresta. Alla guida dei quattro alpinisti d’oltralpe c’era Yannick Seigneur. Arturo e Oreste erano più veloci ma non esitarono a rimanere con i francesi con i quali condivisero il successo dell’impresa. Un atteggiamento altruista, responsabile e meritorio fu questo dei fratelli Squinobal, provante la loro bontà d’animo, l’umiltà e il reale disinteresse a volere emergere individualmente ad ogni costo. Una dimostrazione che la montagna e l’alpinismo, anche di alto livello, talvolta, non sempre, possono significare amicizia. (Ser)

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