Mezzo secolo vissuto pericolosamente
Si conclude “doverosamente” con un’analisi del termine dialettale genovese “belin” il libro “Un sogno lungo 50 anni” di Alessandro Grillo (Versante Sud, 323 pagine, 19,90 euro) dedicato a storie dell’arrampicata finalese 1968-2018. Che di questa parola o meglio parolaccia si faccia largo uso nei dialoghi del libro giustifica solo in parte tanto scrupolo, visto che basta digitarlo sul computer questo termine per ottenere chiarimenti anche più approfonditi. Ma il lessico sembra ossessionare particolarmente l’autore, genovese, laureato in chimica pura, specializzato in Psicologia applicata, arrampicatore di lungo corso. Non a caso Grillo boccia il termine “outdoor” visto che siamo un paese che ha dato i natali a Dante Alighieri e a Petrarca, primo alpinista della storia. Gli piace insomma mostrarsi purista, ne fa una questione di principio.
Diviso in due parti, la seconda delle quali dedicata ai racconti degli amici, questo di Grillo è insieme un libro colto per le tante citazioni letterarie ma anche plebeo per un certo tono dissacratorio e la schiettezza dell’eloquio a cui si è fatto riferimento. E’ altresì un’occasione importante per guardare dentro a una passione (quella per l’arrampicata) che l’autore coltiva da mezzo secolo e più. E che ora mette a fuoco chiedendo il contributo di diversi amici-complici, chiamando in causa anche quelli che questa impegnativa e talvolta rovinosa passione l’hanno pagata con la vita. In possesso di un’invidiabile vena di narratore, Grillo conquista il lettore di racconto in racconto facendo muovere nel teatrino del Finalese protagonisti di quel particolare alpinismo nato ai piedi della Lanterna insieme con noti sassisti valtellinesi e tipetti francesi un po’ matti come l’insigne e compianto Patrick Berhault capitato da quelle parti a bordo della sua “bagnole” (che bel racconto ne viene fuori!) per scalare con Grillo. Il tono del libro è sempre improntato a una disinvolta cordialità da “zingaro saraceno”, mai enfatico, anche quando Grillo racconta della volta in cui ha rischiato seriamente la pelle affrontando dopo un’impressionante disavventura giù per i dirupi una non indifferente trafila ospedaliera. Segno che talvolta, come sostiene Manolo, gli scalatori (non tutti) possono non soltanto ritenersi immortali ma concretamente rivelarsi tali. A proposito, Grillo scrive da par suo per riviste e tiene conferenze e presentazioni. E arrampica ancora, belin, con entusiasmo. (Ser)