Mallory e l’Everest, diari di un lungo duello
Il 24 giugno 1924 George Leigh Mallory, 37 anni, padre di tre figli, diplomato a Oxford, amico di Virginia Woolf la celebre scrittrice, membro di uno dei più importanti circoli letterari londinesi, era un uomo colto e raffinato, strenuamente impegnato nel tentativo di salire sull’Everest. Ci riuscì? Mistero. Il suo corpo, per espresso volere della famiglia, è stato tumulato dove à stato ritrovato nel maggio del 1999 sulla montagna che voleva scalare semplicemente “perché è là”, come una volta lui stesso rispose a un giornalista durante un giro di conferenze negli Stati Uniti. Irvine, il suo compagno, venne invece ritrovato nel 2010. Nella traduzione di Massimiliano Borelli esce ora nella collana Stelle Alpine della Hoepli diretta da Marco Albino Ferrari “Everest, la montagna di una vita” (190 pagine, 22,90 euro) con i suoi piacevolissimi diari. “Memorie di un uomo riemerso dai ghiacci” è precisato nella copertina di questo libro in origine pubblicato all’epilogo della lunga contesa con l’Everest che gli sarebbe costata la vita 75 anni fa insieme con il suo compagno Andrew Irvine a poche centinaia di metri dalla cima.
La morte li aveva sorpresi sulla via del ritorno dopo aver raggiunto la vetta, oppure mentre ancora stavano salendo? Se si fosse trovata la macchina fotografica di Mallory, oggi forse il mistero sarebbe chiarito. Nei suoi diari, già noti al pubblico anglosassone e adesso pubblicati per la prima volta in italiano, Mallory racconta la sua ossessione per quella vetta. Aveva tentato nel 1921 e l’anno dopo. Quella del 1924 doveva essere la terza volta decisiva. Dalla sua limpida prosa si possono ricavare molte informazioni sulle modalità delle spedizioni di allora. In appendice troviamo anche un suo saggio sull’alpinismo come arte dove paragona una giornata sulle Alpi a una sinfonia.
Mallory ebbe per sua fortuna un fisico invidiabile, era una vera macchina da guerra corazzata contro i disturbi dell’altitudine. Ma al tempo stesso, altro che un duro!, era un uomo raffinato e sentimentale che portava con se il ritratto della moglie per deporlo sulla sospirata vetta del mondo, qualora ce l’avesse fatta. L’apparizione dell’Everest in una fase dell’avvicinamento gli dettò parole che è raro trovare in un libro di alpinismo. “Sopra la nebbia”, annota, “emerse davanti a noi il massiccio dell’Everest, imponente, enorme, inafferrabile. Non si trattava di un’allucinazione fluttuante, di un sogno: nulla avrebbe potuto essere più solido ed eterno…”. (Ser)