L’emergenza nascosta nelle valli
La catastrofe ambientale nelle montagne del Veneto e del Trentino è subito scivolata il 2 novembre nel quotidiano La Repubblica a pagina 20 e grazie all’aspetto più spettacolare: quel quinto del “bosco dei violini” che non esiste più travolto dal vento. Il giornale si riferisce alla foresta di abeti rossi più musicale al mondo, il bosco ferito a morte della Val di Fiemme dove i maestri liutai della scuola di Cremona vanno ad attingere quando devono acquistare legno armonico con cui forgiare gli strumenti a corda più ricercati. Dove trecento anni fa salivano Antonio Stradivari e Guarnieri del Gesù a scegliersi la materia prima. Ma perché stupirsi? Presto s’inizia la stagione dello sci e gli alberghi invitano gli ospiti a immergersi in un “idilliaco mondo alpino”. Che la festa abbia ragionevolmente inizio, dunque.
E’ pur vero che la catastrofe di questi giorni s’inquadra in un più generale e scontato (purtroppo) andamento del clima per cui fanno notizia il bosco dei violini ammalorato e la basilica di Venezia disastrosamente allagata mentre anche sui ghiacciai che stanno per sparire si preferisce stendere un pietoso silenzio per non annoiare il lettore. Ma ciò che si può desumere anche dalle parole di Stefano Lovison in Facebook, è che esiste una montagna minore, di serie b, una montagna disastrata che fa notizia soltanto sui giornali locali. Che infatti il 2 novembre sono pieni zeppi in prima pagina delle immagini del governatore del Veneto in divisa di ordinanza che vaga in elicottero con la Protezione civile per prendere atto di tanto sfacelo. La politica innanzitutto. “Una montagna molto spesso trattata con superiorità o sufficienza”, puntualizza Lovison a proposito delle valli messe in ginocchio prima da incendi inusitati e poi dalle trombe d’aria, “sbancata e valorizzata per far passare energia o nuove piste da sci; sfruttata fino all’osso per le sue risorse utili, legna, rocce e acqua eppoi dimenticata, lasciata ai suoi vecchi e all’abbandono”.

Sul Manifesto del 2 novembre con l’acume e la competenza che gli riconosciamo, Stefano Ardito invita poi a riflettere sul fatto che per i primi due o tre giorni, telegiornali e quotidiani nazionali hanno ignorato la tragedia sulle Alpi e si sono concentrati sulle coste, sull’acqua alta a Venezia e sugli alberi caduti a Roma. “L’ho scritto più volte”, spiega Ardito, “pensando a realtà ben diverse, come l’Abruzzo e le regioni vicine. All’Italia ‘ufficiale’, della politica e dei media, la montagna interessa solo come cartolina o come meta di vacanze, con il verde dell’estate o con il bianco dell’inverno. Viviamo in un Paese che è fatto per tre quarti di montagne, dal Monte Bianco fino all’Etna, ma che concepisce sé stesso come un luogo di città, di dolci colline e di spiagge. Un Paese dove l’escursionismo, l’alpinismo e gli sport invernali fuori dalle piste battute vengono praticati da mezzo milione di persone, ma interessano a chi ci governa solo se qualcuno si fa male. Le Regioni e le Province alpine, chiunque amministri il potere, sono governate meglio del resto del Paese, e questo aiuta la colpevole miopia dei media”.
“Ma la montagna, come il mare”, conclude Adito, “non è solo un luogo di svago. La montagna è la nostra vita, la montagna siamo noi. Tra qualche giorno, in televisione e sui giornali, la pubblicità delle vacanze invernali ci farà rivedere le Alpi spettacolari e imbiancate, pronte ad accogliere il riposo e la voglia di sport di chi vive nelle città affollate e inquinate. La montagna serena è bellissima, e merita certamente una visita. Quando la montagna soffre, però, girarsi dall’altra parte è un’infamia”. (Ser)