Togliete quei chiodi, è un ordine!
Pagine gloriose della storia dell’arrampicata sono state scritte sulle volte del Buco del Piombo, in Brianza. Ma ora che la grotta è chiusa al pubblico per motivi di sicurezza (come è stato riferito l’estate scorsa da mountcity.it) anche gli scalatori sono invitati a sloggiare. E’ di questi giorni la notizia apparsa sulle colonne del quotidiano “Il Giorno” che al Comune a Erba, ai carabinieri di Monza e all’associazione Ragni di Lecco è stata recapitata una lettera dei proprietari in cui si chiede, anzi si ingiunge, di togliere tutti i chiodi e i “ganci” messi negli ultimi anni durante l’apertura di alcune vie di roccia. Si tratta di piccole manomissioni, alcune delle quali risalgono agli anni Sessanta quando alpinisti illustri come Graziano Bianchi hanno percorso quelle pareti chiodandole e offrendo grandi prove del loro talento.
Più di recente alcune performance alpinistiche ad altissimo livello sono state compiute da giovanissimi rocciatori, due dei quali, Luca Schiera e Simone Pedeferri (quest’ultimo In azione nella foto qui sopra), fanno parte dei mitici “Ragni di Lecco”. La loro via chiamata “Divina Commedia” ha riacceso l’interesse per queste pareti. “Hanno forse oltraggiato, rovinato l’ambiente questi ragazzi rocciatori, celebri anche per le belle imprese compiute in altre celebri montagne del mondo?”, si chiede perplesso Emilio Magni, storico dell’alpinismo, sul quotidiano La Provincia? “Questi chiodi tanto odiati prima di tutto sono pochi e poi non si vedono nemmeno con il binocolo. So che i rocciatori invece di deturpare hanno bonificato parecchio la roccia, togliendo qualche vecchia corda. Hanno ripulito molto, di quali colpe possono essersi macchiati?”. Da che cosa nasce allora questo accanimento contro i rocciatori? “A Erba”, fa notare Federico Magni sul Giorno, “si è preferito ‘abbandonare’ il Buco del Piombo a se stesso, mentre diversi curiosi si avventurano ugualmente all’interno della grotta nonostante i divieti. E così si fa solo finta di non sapere. Difficile immaginare una frequentazione di massa di scalatori all’interno della volta visto che le vie tracciate sono così complicate da essere esclusiva di pochissimi fuoriclasse”.
E’ illecito violare la proprietà privata – tanto da parte di emeriti ignoti che di illustri o valenti sportivi – e per piantare chiodi sul muro del Signor Chicchessia servirà sempre il di lui permesso. Che poi non lo si chieda per consuetudine è un altro discorso, ma il nocciolo della questione sfugge al romanticismo latente di cui si nutre la Grande Narrazione della Montagna. Il Pollino centra eccome, e i proprietari del Buco del Piombo probabilmente sono soltanto i primi che si sono ‘destati’. Nel momento in cui una risorsa viene sfruttata per scopi turistici, da uno o cento individui che siano, non c’è gloriosa impresa o nomea di sodalizio che tenga, bensì la parola più indigesta agli Italiani: responsabilità. Se il più forte rocciatore di tutti i tempi si frattura una falange nel mio cortile saltando da un bonsai, e io non gli ho vietato di farlo (o addirittura impedito, potrebbe rgomentare il giudice in caso di conoscenza di un pericolo insito nel saltare dal bonsai), lui potrebbe rivalersi su di me se ravvedesse gli estremi per tutelarsi (o approfittarsene …). Il problema non è se salgono soltanto campioni e le schiappe se ne stanno alla larga, il problema è banalmente creare le condizioni a norma di legge affinché il proprietario – sia esso privato o pubblico ! – possa debitamente essere escluso dalle conseguenze delle azioni di terzi svolte o condotte entro la sua proprietà (che SONO eccome pericolose, e fatte inoltre a sua insaputa). Il resto è aria fritta.
Il modo notoriamente c’è ed ha trovato attuazione ovunque si tenga al TURISMO senza neanche il bisogno di scomodare questo o quel gruppo di volontari o di selezionati sportivi – che pure ne fruirebbero come e quando vogliono. E per la precisione: ovunque si mantenga la storia dell’alpinismo al suo posto e non la si faccia assurgere a presunto valore socio-economico. La storia dell’alpinismo NON è un volano del turismo; lo è invece l’alpinismo e, dove lo si sfrutta a tal fine, si mette in condizione chiunque ne abbia le capacità, a proprio rischio e pericolo, di fruire di un data risorsa.
Un privato può avere interesse a far questo se a) c’è un minimo tornaconto e soprattutto b) se non incappa in rischi di sorta; un soggetto pubblico invece dovrebbe farlo per attrarre visitatori sul territorio, e possiede tutti gli strumenti per farlo tutelandosi contestualmente dai rischi che comporta.