Falò sul Cervino, una “scempiaggine” d’antica data
Per promuovere la candidatura olimpica della città elvetica di Sion per i Giochi invernali del 2026 l’ex campione di sci Pirmin Zurbriggen si è fatto trasportare in elicottero sulla cima del Cervino dove ha dato fuoco all’olio contenuto in un grande bidone. “Le fiamme che ne sono scaturite, secondo la fantasia di chi ha inventato una simile scempiaggine dovevano simboleggiare la fiamma olimpica”, riferisce la Gazzetta dello Sport. Per sapere chi ha inventato una simile “scempiaggine” occorre risalire al regime fascista che si celebrava incendiando le vette dell’Appennino e quelle eccelse delle Alpi come si può leggere in questo brano del saggio “Scarpone e moschetto” (Centro Documentazione Alpina, 2002).

Le “serpeggianti fiaccolate” delle camicie nere
L’undicesimo anniversario della Marcia su Roma viene festeggiato con un’iniziativa di scarso contenuto ecologico ma di forte richiamo. “Le vette dell’Appennino e quelle eccelse delle Alpi”, annota Lo Scarpone del 15/11/’33, “sono apparse, la sera del 28 ottobre e quella del 4 novembre, ardenti di fuochi. Serpeggianti fiaccolate sono salite da ogni villaggio, da ogni casolare ai monti, ad accendere lassù, su quegli alti tripodi, il futuro della fede. Ali nel cielo, guizzanti e sibilanti, sono stati i razzi multicolori esplodenti in mille scintille d’oro, la gioia di mille petti saldi, abbronzati dal sole, resi forti dal lavoro della terra. Fantastiche luminarie del monte, partecipi dell’esultanza dalla città! Simbolo ardente di un popolo giovane. Fiamme d’amore, espressione viva di fede. Fiamme dai colori della gagliarda giovinezza d’Italia, in marcia sulle vie di Roma imperiale. Tripudio di genti unite attorno a un altro Cesare, un altro Duce che, dalla città immortale, insegna al mondo la nuova civiltà di Roma a cui è ridata l’antica potenza e l’imperiale splendore. La montagna non poteva partecipare in modo migliore alle celebrazioni del’11° anniversario della Marcia su Roma”.
C’è fuoco e fuoco, l’importante è che divampi fin dentro ai petti abbronzati in questo tripudio incendiario dell’Italia montanara. “Fuochi poveri accesi dai pastori con la poca paglia sacrificata al già umile giaciglio della malga. Fuochi alti e luminosi accesi sulle vette e dai rifugi dai volontari della montagna. Fuochi resinosi e densi di fumo, quelli delle torce incendiate dal solitario milite, vigile là sul nevaio, al confine della patria. Fiaccola d’inestinguibile amore che arde nel cuore delle madri orbate dei figli che, col loro sangue, bagnarono le piazze e fecondarono le zolle di una terra fin’allora ingrata. Luci e fuochi e bagliori. Cento fiammelle strette attorno a un grande fuoco. Un grande fuoco dalla luce smagliante d’acciaio, raggiante da un’alta croce la cui luce è anche quella del cielo, è l’aureola del martirio, è un nembo di gloria in cui i cento e cento Scomparsi sorridono, col murmure ‘Presente’, per la Patria immortale”. Con torce e gagliardetti salgono dal rifugio Dux ai 3778 metri del Cevedale ad accendere un grande falò anche le camicie nere del gruppo rionale “A. Sciesa” di Milano. Un rito che si conclude, a quanto si apprende dallo Scarpone, “con l’appello degli eroici caduti del Gruppo stesso”.
da “Scarpone e moschetto” di R. e M. Serafin (Centro Documentazione Alpina, 2002)
Meglio QUEI fuochi piuttostoo che bruciare vie,vetrine,auto ecc