L’incerto futuro del Devero
Sull’Alpe Devero, uno dei posti più belli delle Alpi, tiene alta la guardia il Comitato Tutela Devero recentemente fondato in seguito all’annuncio che una cordata d’imprenditori intende “avvicinare le montagne” collegando con impianti l’Alpe Devero e il comprensorio sciistico di San Domenico in Val Divedro che si sviluppa all’Alpe Ciamporino. Il controverso progetto ha tra i firmatari i Comuni di Varzo, Trasquera, Crodo e Baceno. Contrari si dichiarano invece, per ciò che possono contare (cioè poco o nulla a fronte degli interessi in gioco e dei cospicui investimenti annunciati), i firmatari del citato Comitato dal quale peraltro il Club Alpino Italiano ha ritenuto giusto defilarsi. Tra questi firmatari figura Alberto Paleari, ossolano doc, scrittore di romanzi e guide, uno che ha il coraggio di dire sempre quello che pensa. Dal 1974 Paleari ha esercitato a tempo pieno fino allo scorso anno la professione di guida alpina. Benché sia un grande conoscitore delle Alpi, ha sempre avuto l’Ossola come riferimento geografico e culturale. E’ evidente che merita la massima attenzione il suo giudizio sull’incerto destino che incombe sulla naturalezza di quest’area protetta delle Alpi Lepontine. E ciò mentre, oltre ai sindaci citati, anche la Provincia e la Regione sono in questi giorni chiamate a esprimersi per sciogliere l’ingarbugliata matassa, anche alla luce di un fatto incontestabile: oggi, sebbene lo sci alpino rimanga lo sport più praticato, crescono a dismisura nuove forme di turismo invernale. Si tratta di pratiche più vicine alla naturalità dei luoghi, alla ricerca di esperienze uniche e irripetibili. Un turismo lontano dal caos, che non vuole ritrovare in montagna una riproposizione della vita frenetica di città.
L’intervista a Paleari
• Come certo saprai, Alberto, nelle Alpi ci sono oggi 12.000 chilometri di impianti di risalita, e non sembrano bastare: secondo il progetto di espansione della San Domenico Ski fra qualche anno se ne aggiungeranno 11,5. Sono a tuo avviso da considerare una goccia nel mare?
“Forse, ma c’è l’aggravante che questi nuovi impianti dovrebbero essere costruiti in uno dei pochi santuari alpini dove la natura è rimasta com’era nell’Ottocento: il parco naturale Veglia-Devero”.
• Sulla copertina di un rinomato periodico turistico l’Alpe Devero in tenuta invernale viene presentata come “il regno del silenzio”. C’è il rischio che quest’area protetta nelle Alpi Lepontine frequentata da turisti di tutto il mondo in cerca di pace possa perdere tale clientela?
“E’ un rischio possibile. In una situazione come quella odierna in cui le zone selvagge sulla carta geografica delle Alpi si sono ridotte a poche macchioline, ‘avvicinare le montagne’ (con la costruzione di altri impianti di risalita) non ha alcun senso: semmai le montagne andrebbero allontanate. Gran parte della loro bellezza, infatti, deriva dalla lontananza, dall’essere inavvicinabili, dal mistero, dall’aura di sacralità che le circonda: le montagne più belle sono quelle che non riusciamo a salire e non è un caso che il sogno, spesso realizzato, di molti turisti, viaggiatori e alpinisti sia di andare in Patagonia, in Himalaya o chissà dove, quando le montagne le avrebbero a poche ore di auto o di treno dalle loro città”.
• Stando agli ultimi dati elaborati da Legambiente e Vivilitalia, ciaspole e scialpinismo sono due attività sempre più amate: se nel 2010-2011 il numero di praticanti in ciaspole si attestava a 322mila, nel 2016-2017 ha toccato quota 506.500 registrando un incremento del +57,3%. Stesso discorso per lo scialpinismo che è passato da 33.000 praticanti nel 2010-2011 a ben 91.000 nel 2016-2017, con un incremento del +175,7%. Come è possibile non tenerne conto e investire su impianti che sono l’antitesi di questo trend ormai consolidato?
“Potrebbe appunto essere l’annunciata distruzione delle Alpi considerate il ‘cuore selvaggio dell’Europa’ a obbligare i turisti, per trovare zone incontaminate, ad andare sempre più lontano. L’esperienza estetica, il poter godere della bellezza delle montagne, non è data solo dalla loro bellezza oggettiva, ma è l’insieme della loro bellezza e di come noi la percepiamo. Vedere un panorama dall’arrivo di una funivia è molto diverso che vederlo da una cima raggiunta con fatica, o comunque con un impegno personale”.

• E’ singolare che a rendersi conto del danno che potrebbero provocare i nuovi impianti siano stati per primi tre albergatori del Devero interessati a uno sviluppo sostenibile della zona. In una lettera del 25 settembre 2017 alla presidenza della Regione Piemonte che aveva tra i destinatari anche Mountain Wilderness, sono stati infatti Alessandro Francioli (Antica Locanda Alpina), Luca Vanini (Bar pensione Fattorini) e Michele Galmarini (Rifugio E. Castiglioni del Cai Gallarate) a chiedere che questo collegamento non venga fatto. Come spiegare questo atteggiamento?
“Chi si oppone alla costruzione di nuovi impianti viene spesso accusato di egoismo, di appartenere a una élite di sportivi che possono permettersi di salire a piedi dove la massa non può arrivare. Nulla di più falso: tutti, dai bambini agli ottantenni, sono in grado di camminare in montagna e, aumentando l’allenamento con la frequentazione, di raggiungerne di sempre più lontane. Di questo sono quotidianamente testimoni gli albergatori del Devero. Sta di fatto che la fatica, la solitudine e il silenzio sono i requisiti necessari per apprezzare in pieno la bellezza delle montagne, requisiti che sono vanificati dalla costruzione di impianti di risalita”.

• Hanno ragione alcuni abitanti della valle quando dicono che questi escursionisti non portano nulla, che sono turismo povero, ben diverso da quello degli sciatori?
“Non è vero. Specialmente in valle Antigorio, di cui l’alpe Devero fa parte, gli escursionisti lasciano sempre qualcosa: si fermano a bere, a pranzare, a comprare prodotti locali alla latteria sociale, o il pane e i dolci alla panetteria di Crodo o in altri esercizi commerciali. Il problema, come sempre avviene nel commercio, non è la domanda ma l’offerta: dove l’offerta è valida e buona, dove ci sono esercizi commerciali che offrono prodotti di qualità a un prezzo adeguato (e qui ce ne sono molti) ci si ferma e si compera”.
• Chi tra i frequentatori potrebbe cercare altre mete se quest’area venisse trasformata dai nuovi flussi sciistici?
“Soprattutto durante la settimana, estate e inverno, in inverno con le ciaspole, s’incontrano pensionati anziani o molto anziani, che percorrono sentieri e itinerari anche lunghi e difficili. Sarebbero i primi a opporsi alla costruzione degli impianti; a loro Devero piace così com’è, non hanno bisogno che si trasformi in un carosello di funivie, e quando saranno più vecchi e le forze mancheranno sarà per loro ancora bello fare il giro della piana e guardarsi le montagne rimaste intatte che hanno salito pochi anni prima”.
• Questo genere di clientela non sembra però offrire garanzie per un ulteriore sviluppo in termini economici…
“Vorrei dire che se anche non consumassero niente e non lasciassero niente oltre il biglietto del posteggio, questi escursionisti, a patto naturalmente che siano educati e non lascino immondizie, dovrebbero essere ugualmente i benvenuti perché quelle montagne, che essi amano, non appartengono ai valligiani, e direi di più, non appartengono neppure all’umanità, ma a tutti gli esseri viventi, lupo e agnello, fragola e ortica”.
• I Comuni di Varzo, Trasquera, Crodo e Baceno si dichiarano favorevoli al collegamento. Facendo crescere il consenso popolare al progetto lo si rende in qualche modo inevitabile?
“Si può comprendere questo atteggiamento. Non passa giorno senza che siti turistici vengano dichiarati ‘patrimonio dell’umanità’ ma l’umanità è solo una parte degli abitanti della Terra, parte che per la sua stessa esistenza ha bisogno di tutti gli altri componenti: senza la biodiversità moriamo anche noi, e inoltre il solo fatto di abitare un luogo non dà diritti su quel luogo, ma solo doveri. Ognuno è responsabile del luogo che abita. Sta di fatto che un recente documento della Provincia del VCO, che pure è ricco di dati e numeri ed elenca i milioni di euro stanziati sia dai costruttori privati degli impianti sia dagli enti pubblici per il miglioramento delle infrastrutture, non fa alcun accenno alla reale situazione della valle Antigorio, né presenta un piano economico con previsioni attendibili di rientro degli investimenti: questi impianti si devono fare perché è così e basta. Se poi, dopo avere investito milioni e rovinato un parco naturale, si dimostreranno un colossale flop e rimarranno per sempre soltanto le loro rovine che cosa importa?”
• Al paragrafo 2 della relazione introduttiva del documento “Avvicinare le montagne” si legge che scopo dell’opera è quello di “risolvere alcune criticità ambientali legate in generale ad una condizione di crisi sociale, economica (e culturale) delle aree di margine, ma anche, nello specifico, allo stato di fatto dell’accessibilità e delle attrezzature di servizio (strade, parcheggi, ospitalità) che non riescono a reggere in modo equilibrato la pressione turistica”. Quali dati fornisce la Provincia sulla presunta crisi economica e sociale ed economica della zona?
“Nessun dato, che io sappia. Né la Provincia paragona i dati di alcuni anni fa, quando si è assistito a una rinascita del turismo dolce all’alpe Devero, con quelli di oggi, in cui quel tipo di turismo si sta affermando. Non dice se intende aiutare l’attuale tipo di turismo dolce invece di quello degli impianti di sci. Per contro la zona, soprattutto per quanto riguarda la valle Antigorio, oggi non sembra affatto in crisi: la maggior parte delle case sono ristrutturate di recente, sorgono sempre nuove imprese commerciali e ricettive, è palpabile la sensazione di un recente benessere, trainato in parte dal turismo dolce ed ecologico che si pratica all’alpe Devero”.
• I nuovi impianti possono rappresentare la soluzione per risolvere la crisi?
“Questa eventuale crisi non andrebbe risolta a spese dell’ambiente. Anzi, l’ambiente è una risorsa che se non viene sperperata servirà a vincere la crisi economica. La crisi culturale invece non si risolve né costruendo funivie né costruendo parcheggi ma costruendo scuole, biblioteche, in generale favorendo l’istruzione, valorizzando le opere d’arte sul territorio e facendole conoscere agli abitanti stessi, dando a tutti accesso facile alla banda larga, aiutando le pubblicazioni che fanno conoscere la zona, partecipando alle fiere del turismo e dei libri”.
• Come possono accordarsi i nuovi impianti con attività come lo scialpinismo o le ciaspole?
“Vorrei raccontare un aneddoto che riguarda il mio carissimo amico Erminio Ferrari. Qualche anno fa abbiamo scritto insieme un libro di itinerari in Ossola che si potevano compiere sia con le ciaspole che con gli sci. Uno di questi è il pizzo Diei, sopra San Domenico, la cui descrizione della salita invernale a piedi toccava a Erminio. Il Diei prima della costruzione degli impianti, in inverno lo si raggiungeva direttamente da San Domenico; con la loro costruzione è stato vietato risalire le piste sia a piedi che con le pelli di foca, per cui è diventato obbligatorio prendere gli impianti per un tratto della salita. Senza di quelli non c’è altro modo di fare le cime scialpinistiche che partono dal colle di Ciamporino e dalla Punta del Dosso (per esempio Diei, Scatta d’Orogna, Cima di Valtendra e accesso invernale all’alpe Veglia) e un intero versante di una valle è in inverno monopolizzato da una società di impianti sciistici, col divieto di frequentarlo se non usando i suoi impianti. Se questo è operare per l’avvicinamento delle montagne…Sempre a proposito di Ciamporino, Erminio sapendo del divieto di salire (e scendere) a piedi lungo le piste, si è presentato alla biglietteria chiedendo un biglietto di andata e ritorno per il Dosso. Gli hanno chiesto se faceva scialpinismo, lui ha risposto che non aveva gli sci ma le ciaspole, al che non c’è stato verso: con le ciaspole non solo non si poteva salire lungo le piste, ma non si poteva neppure salire sugli impianti (che non sono, si badi bene, ski-lift, ma seggiovie). Tutto ciò, sottolineo, da parte di una società che usa il claim ‘avvicinare le montagne’ e che dichiara di voler tenere aperti gli impianti anche in estate per gli escursionisti, ma di fatto per ora impedisce loro di frequentarle in inverno”.

• Devero o San Domenico: a chi dei due giova di più “avvicinare le montagne”?
“Mi accorgo che sto parlando soprattutto dell’alpe Devero e non di San Domenico, che come l’alpe Devero (o meglio il villaggio di Goglio alla sua base) viene decritto nel rapporto come uno dei tre punti nodali dei trasporti di un triangolo che ha per vertice Domodossola. La mia impressione è che senza San Domenico il problema della costruzione di nuovi impianti sciistici non sarebbe neppure stato posto: l’alpe Devero stava bene così com’era, prova ne è che il comitato che si oppone alla costruzione degli impianti è nato su iniziativa di tre albergatori di Devero (e credo sia l’unico posto al mondo). É alla stazione sciistica di San Domenico che soprattutto interessa espandersi verso i pendii di Devero e in più appropriarsi della sua immagine di luogo naturale incontaminato”.
• Resta aperto il problema dei trasporti pubblici fra Domodossola e Devero e fra Domodossola e San Domenico…
“Qui i trasporti sono sicuramente carenti. Dopo aver effettuato la meravigliosa traversata Veglia – Devero, i cui panorami tra l’altro verranno non poco compromessi dai nuovi impianti, l’escursionista non sa come tornare a San Domenico a prendere la macchina. Il vero problema in Ossola sono i trasporti pubblici per le valli che non sono in grado di accontentare né gli abitanti né gli escursionisti che in estate attraversano di valle in valle e tanto meno in inverno gli scialpinisti. Come per miracolo adesso spunta il potenziamento dei trasporti pubblici, ma perché lì e non per esempio in val Formazza, che è veramente una valle isolata, lontana e malissimo servita? Bisognerà aspettare un collegamento funiviario Devero – Formazza per avere finalmente qualche bus in più per raggiungerla?”.
• Nel progetto si notano piattaforme di cemento e acciaio e simili amenità da piazzare nei punti panoramici. Se ne sente la mancanza?
“Questo è uno dei punti che più connotano l’insipienza di chi propone questo collegamento. Come se il panorama non lo si vedesse già adesso dal prato su cui sarà steso del cemento o sedendosi su un sasso che in quel cemento sarà inglobato. Probabilmente presso tali piattaforme ci sarà anche una rosa dei venti con indicati i nomi delle cime, ma ogni buon escursionista porta sempre una cartina dei luoghi che visita. Invece di educare alla semplicità di sedersi su un prato o su un sasso, la provincia del VCO vorrebbe che si guardasse il panorama da una piattaforma di cemento, invece che camminare nella bellezza della natura incontaminata vorrebbe che si prendesse una funivia, invece di alpinisti consapevoli che si informano prima di partire, leggono le guide, consultano le cartine, preferirebbe un branco di pecore che, sceso dalla funivia, si ammassasse sulla piattaforma dei cartelli che tutto spiegano ma nessuno legge”.
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Per completezza d’informazione va segnalato, a quanto informa La Stampa del 18 aprile 2018, che “per il momento” il collegamento effettivo tra Ciamporino e il Devero non si potrà fare. “Il piccolo impianto per unire i versanti”, viene precisato dal giornale, “è bloccato da vincoli e leggi: si tratta di un chilometro di fune sul crinale. A spiegare le ragioni è stato Aldo Reschigna, vice presidente della Regione”.
Condivido le parole di Paleari.
Il Devero e i suoi dintorni sono tra i luoghi di montagna più belli che io conosca e dobbiamo difenderli dall’invadenza degli impianti di sci e dalla stupidità degli uomini.